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ASSOCIAZIONE PER L'ABOLIZIONE DEL SOLFEGGIO PARLATO
L'alta formazione musicale in Italia

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  Amatori? Sì grazie

Tre conversazioni e un saggio su un argomento tabù


Lo spunto per questo piccolo quaderno di conversazioni è offerto da una iniziativa di AIMA (Associazione Italiana Musicisti Amatori) che in collaborazione con MaMu (Magazzino Musica, Milano via Soave 3) organizza una serie di tavole rotonde sull'amatorialità musicale e sulle sue relazioni con la cultura musicale e con la società, che riportiamo anche in home page.

Tabù, s'intende, per il mondo della formazione musicale ufficiale, o almeno per gran parte di esso. Lo abbiamo verificato - se mai ce ne fosse stato il bisogno - con un piccolo test: nello scorso febbraio-marzo, come Associazione per l'abolizione del solfeggio parlato abbiamo mandato una breve lettera ai direttori delle istituzioni Afam chiedendo fra l'altro se avessero iniziative destinate agli amatori. Solo una piccola parte degli istituti ha risposto, e sopratutto solo 4 di loro (su oltre un’ottantina) ha risposto positivamente. Ma al di là dell’episodio, una testimonianza autorevole del sostanziale disinteresse delle istituzioni musicali "professionalizzanti" (come costantemente si autodefiniscono i Conservatori e assimilati) nei confronti dell'amatorialità musicale la si può trovare nella lucida risposta che su questo argomento ha dato Antonio Ligios, presidente della Conferenza dei direttori dei Conservatori di musica, nella conversazione che ci ha dedicato su questo sito nello scorso marzo. Ne riportiamo qui solo una frase: Trascurare l'importanza dell'amatorialità musicale è un atteggiamento miope, tanto da parte nostra quanto da parte dei teatri. Se non si diffondono gli strumenti per poter "leggere", e non solo in senso letterale, la musica e lo spettacolo di teatro musicale, il rischio che si corre è l'estinzione del pubblico.

A questo si può aggiungere che la pratica amatoriale ha un ruolo centrale nella genesi della domanda di istruzione musicale diffusa nella società: di cui alla fine, direttamente o indirettamente, finiscono per essere beneficiarie anche le istituzioni "professionalizzanti". Le quali peraltro sono giunte vicino alla novantina e continuano a produrre diplomati (5790 nell'anno 2017, solo negli istituti statali), senza essersi attrezzate di strumenti per monitorarne gli esiti professionali. Come giustamente si chiede AIMA,  che fine fanno, cosa e con chi suonano i musicisti che non riescono a svolgere una carriera professionale?
Troppo spesso coloro che lasciano a un certo punto il percorso conservatoriale conservano una cicatrice di frustrazione e di sconfitta. Non continuano a suonare o a cantare per passione, come in altri Paesi europei. Con il risultato che, pur disponendo di un numero così elevato di istituzioni formative, l’Italia è vagone di coda per numero di orchestre e di gruppi amatoriali, per il loro livello tecnico e organizzativo, e per l’indotto economico che questo mondo produce – che in Gran Bretagna, per fare un esempio, ammonta a diecine di milioni di sterline all’anno.

Offriamo al lettore, qui in calce, tre conversazioni con personaggi che hanno un ruolo significativo rispetto alla questione della pratica amatoriale. E proponiamo una parte (tradotta in italiano) di un saggio che all’argomento ha dedicato, una quindicina d’anni fa, un sociologo francese. Il quale, seppure con il linguaggio astratto tipico della disciplina, e di quella francese in particolare, descrive efficacemente uno scenario non molto diverso da quello italiano.
Da queste testimonianze emergono, oltre quanto detto fin qui, alcuni nodi caratteristici.

I Conservatori pubblici e privati continuano a crescere,  e le risorse economiche che il Paese dedica alla produzione musicale continuano a restringersi. Si forma nella vita musicale una "zona grigia" costituita dalle molte persone che hanno ricevuto un'istruzione musicale formale, vorrebbero diventare professionisti della musica e non ci riescono. E di qui il crearsi di un’area di “cattivo professionismo”, basato su finti rimborsi spese, spesso in nero, che costituisce una pesante distorsione del mercato del lavoro musicale. E talvolta una vera forma di sfruttamento: l’organizzatore è esposto alla tentazione di inserire nella programmazione la performance di un giovane, magari anche bravo, disposto a suonare gratis pur di farsi conoscere, o di un’orchestra amatoriale che suona anch’essa senza compenso. E così "fa borderò", fa numero, e abbatte i costi di produzione.
La questione del confine fra amatori e professionisti non è dunque oziosa. E coinvolge anche gli insegnanti di musica: quasi tutti i musicisti insegnano, ai più vari livelli. Molti non suonano affatto. Pochissimi suonano molto. E molti invece suonano più o meno sporadicamente. E spesso gratis. Sono professionisti o amatori? Se la discriminante è il compenso, suonando gratis sono amatori -  anche se per formazione sono musicisti, e non hanno un altro mestiere.

Un altro nodo complesso riguarda la didattica. Andrea Melis, direttore della Civica di Milano, dice giustamente che la scelta professionale dovrebbe compiersi “nel tempo” e non dall’inizio, come tradizionalmente avviene nei Conservatori. E che tutti gli allievi, fino al compimento di quella scelta, “sono tutti amatori”. Ma questo comporta la necessità di sviluppare e diffondere una didattica alternativa a quella conservatoriale che, come François espone nel saggio qui proposto, “impone un progetto di tipo professionale che agli amatori è estraneo a priori. Ed è immediatamente orientato verso l’eccellenza e la professionalizzazione”.

Altri temi e suggestioni che troverete nelle conversazioni attengono alla funzione educativa della musica, ben presente in altre culture europee, ma di cui il legislatore italiano è immemore quasi da sempre. Educazione della mente e del corpo, educazione ad ascoltare e ad ascoltarsi, educazione a stare insieme con gli altri, a coltivare progetti comuni. Ma di questi tempi, in cui tutte le discipline “formative” e non “utili” sono minacciate di soppressione e lottano l’una contro l’altra per non sparire dalla “griglia” oraria della scuola (prima è toccato alla Geografia, poi è venuto il turno della Storia, e fra proteste e petizioni non sappiamo se si sia salvata) la musica rischia bene di fare il vaso di coccio.

Alla funzione educativa, infine, si affianca quella di “fonte di felicità”, di strumento di benessere. Ne parla con il suo caratteristico entusiasmo Laura Riccardi: facendo la musica come “mestiere” si rischia talvolta di perderne di vista il significato etico. Gli amatori hanno passione, competenza, conoscenza approfondita della musica. Epperò non conoscono lo stress di “fare tutto giusto” che ossessiona il professionista. Non vivono i mille condizionamenti che di ogni professione sono tipici. Se hanno paura prima di suonare, contrariamente al professionista possono confessarlo candidamente, e così aiutarsi. E magari suonano anche molto bene...

Dunque, questi sono i nostri testimonials. Tommaso Napoli, copywriter e violinista, è fondatore e anima di AIMA, Associazione Italiana Musicisti Amatori. Andrea Melis, compositore, dirige la Civica Scuola di Musica Claudio Abbado di Milano. Laura Riccardi, violista e violinista, membro di prestigiosi ensemble, ha avuto lunga esperienza di tutor nell'orchestra amatoriale "La Verdi per tutti", espressione dell'omonima orchestra sinfonica, e presso Musicando Academy, in Italia e in Svizzera. Pierre François è direttore di ricerca al CNRS, Centro di sociologia delle organizzazioni, nell'ambito di Science PO (Istituto di studi politici di Parigi). Il suo saggio su professionisti e amatori è in internet (all'interno troverete l'indirizzo) e ne abbiamo tradotto per voi la sezione che parla degli amatori.

 

Tommaso Napoli Andrea Melis  Laura Riccardi
   

Cos'è un musicista? Professionisti e amatori
Estratto da un saggio di Pierre François (2004)

(s.l.)
Ottobre 2019


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