I corsi pre-accademici
Le risposte di Simona Valsecchi
Nella prospettiva che i
Conservatori continuino per un lungo periodo a offrire la formazione musicale
fin dall’inizio degli studi, quali aspetti dell’ordinamento del 1930 (fin
dall’inizio degli studi musicali) ti sembrano richiedere innovazioni, e quali
viceversa ritieni siano da preservare?
I contenuti generali dei programmi di tutto l’ordinamento
del 1930 contengono, ancora oggi, molti aspetti visibili, validi, da conservare:
penso alla tradizione degli studi tecnici adeguati a formare un buon
strumentista, e penso alla crescita in questi ultimi trent’anni di buona parte
degli studi di didattica musicale generale nell’ambito delle cosiddette
discipline di base.
E, in particolare, per
quanto riguarda la formazione musicale complessiva?
Per non rimanere a un discorso vago e poco pertinente a
questa questione, auspicherei un sensibile miglioramento della formazione di
base complessiva soprattutto in queste due direzioni:
1) fin dall’inizio degli studi musicali verso un’attenzione particolare da parte
dei docenti rivolta allo studio dell’abilità musicale dei giovani
pre-adolescenti.
Durante questo primo percorso è necessaria l’adozione di un sistema di
valutazione oggettiva elaborata su test di livello dei gradi di musicalità dello
studente, che si inserisca all’interno di una lettura critico-scientifica, come
esiste da decenni nei paesi anglosassoni e non solo (cfr. per esempio: A.
Bentley, Music in education, a point of view, Windsor 1975).
Tale sistema, adattato all’ossatura dei corsi pre-accademici, alla fine di ogni
livello dovrebbe dimostrare in maniera efficace, e non casuale o arbitraria, il
progresso compiuto dagli allievi.
2) verso un lavoro mirato alla ricerca del suono e della percezione
musicale a tutto tondo per impostare, fin dall’inizio, una corretta e
positiva attività di apprendimento dei vari stimoli musicali. Penso ad attività
importanti quali quelle inserite nella sfera ritmica e di percezione melodica,
che si consolidano duranti i primi anni d’insegnamento della lettura e della
scrittura musicale.
Il futuro musicista deve essere formato fin dall’inizio in cammino verso il
suono, attraverso approcci differenti da quelli - seppur sempre validi - del
metodo tradizionale.
Gli ambiti di lavoro sono legati alla sfera fisiologica, a quella dell’unità dei
sensi e alle relative correlazioni psicologiche. (cfr. Gisela Rohmert e i suoi
lavori sul suono vocale e strumentale presso l’istituto Lichtenberg con il
gruppo sperimentale dell’Università di Darmstadt, negli anni Ottanta).
E, in particolare, per
quanto riguarda l’insegnamento strumentale?
A mio parere è importante consolidare, nei primi anni di
insegnamento strumentale, un metodo didattico teso a promuovere lo sviluppo
della creatività musicale sullo strumento, attraverso l’esecuzione di
esercizi nuovi all’interno di una attività collettiva in classe. Lo scopo
fondamentale di questo lavoro è, da parte dello studente, la ricerca e la
produzione di caratteristiche timbriche, ritmiche e agogiche sul proprio
strumento.
Così facendo si pone, all’interno di questo percorso
didattico, una verifica costante della consapevolezza corporea sullo strumento.
Naturalmente ritengo che tutti i docenti ai quali viene
affidata la responsabilità del percorso preaccademico, debbano seguire adeguati
e intensi corsi di formazione per aprirsi a una mentalità nuova, così da
rivoluzionare (con umiltà) il proprio concetto di lavoro didattico-strumentale.
Come valuti la possibilità
che la formazione ante-triennio venga progettata in autonomia dalle singole
istituzioni, senza un modello centrale?
In questa fase di elaborazione ritengo assolutamente
utopistico un progetto studiato sulla base di un modello centrale; la fase
storica che stiamo attraversando ci impone la scelta di affidare alle
potenzialità delle singole istituzioni la costruzione e, soprattutto,
l’immediata verifica di progetti seri e - ripeto - ben calati nelle specifiche,
oggettive realtà istituzionali.
Quale procedura interna
alle singole istituzioni giudichi appropriata per pervenire a un buon risultato?
Utile, forse, sarebbe che ogni singolo Conservatorio
formasse un paio di snelle commissioni costituite dai docenti più sensibili e
attenti ai problemi dei percorsi di base, soprattutto a quelli legati alla sfera
della ricerca pedagogico-musicale. Tali commissioni (penso una di strumentisti,
e ovviamente l’altra di colleghi delle discipline di base) dovrebbero lavorare
in tandem, quasi in osmosi, per creare un sistema solido, valido, sempre
suscettibile di verifica in corso d’opera, un modello innanzitutto di valori e
di pratica da seguire.
Ritieni opportuno tener
conto dell’impianto didattico e disciplinare del nuovo liceo musicale? E perché?
Credo che tale impianto non rispecchi la sacrosanta
necessità di formazione del nuovo musicista che vive nella realtà globalizzata,
che si trasforma rapidamente e richiede continuo sforzo di aggiornamento da
parte di tutti gli operatori culturali della scuola e del mondo del lavoro. Il
nuovo liceo musicale è vecchio, superato già da neonato, nei contenuti e nelle
finalità forse più aggiornati, dal modello costituito dal “ vecchio” liceo del
Conservatorio di Milano.
SIMONA VALSECCHI, nata a Milano, ha compiuto studi musicali e umanistici
diplomandosi in flauto a pieni voti. Ha studiato a Nizza con M. Larrieu e a
Londra con W. Bennett e E. Beckett. Ha collaborato con le principali orchestre
milanesi in qualità di primo e di secondo flauto. Svolge attività concertistica
in ensemble di musica barocca e in duo con il pianoforte. In campo didattico ha
svolto esperienze di lavoro con gruppi di studenti dei corsi di base
(“Musicassieme” 1997-2004 presso il Conservatorio di Brescia) e ha collaborato
all’iniziativa musicale bresciana “Giovani a concerto”. Si è laureata in lettere
moderne con una tesi in storia della musica dedicata al flauto nel periodo
barocco e galante. Ha insegnato nei Conservatori di Alessandria, Ferrara e
Brescia e dal 2005 è docente presso il Conservatorio di Milano.
(dicembre 2010)
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