I corsi pre-accademici
Comprendere le radici della
complessità
di Paolo Rotili
I corsi pre-accademici, previsti già dalla legge 508 con
il nome di corsi di base, devono cercare di far fronte a quella domanda
di formazione musicale delle fasce inferiori che la riforma ha lasciato
senza risposta. In teoria dovrebbero essere attivi sino a che il liceo
musicale si affermi come istituzione deputata alla formazione
professionale del musicista, creando quel percorso che dalle medie ad
indirizzo arrivi sino alle accademie superiori. Come del resto accade
per la formazione degli artisti del settore visivo.
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Perché i Conservatori
continuano a fare la formazione di base |
Personalmente però vedo molte difficoltà a che questo
avvenga. Alcuni motivi che mi fanno ritenere che il conservatorio non
solo possa, ma debba garantire la formazione dei livelli di base:
l’esperienza per certi versi deludente delle medie ad indirizzo; il
fatto che ci saranno sempre famiglie che nella fascia di età in
questione preferiscono per il figlio una doppia formazione, sia musicale
che di altro tipo; l’esorbitante costo organizzativo dei nuovi licei (a
fronte di conservatori che sono già attrezzati di tutto); il dover
garantire la piena occupazione per il personale in servizio e
soprattutto il non disperdere il grande patrimonio di conoscenze e
competenze che risiede nei conservatori.
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In questo senso il rischio per un settore disciplinato in
regime di totale autonomia, è quello di non garantire su livello
territoriale nazionale uno stesso standard formativo. Questo, però, e
purtroppo, già accade con una dirigenza e/o un personale docente non
tutto dello stesso livello… L’autonomia, come sempre, può rendere
migliore una istituzione già di per se virtuosa nei suoi funzionamenti,
ma può sprofondare nel caos quella che ha già difficoltà.
Per quello che mi risulta, comunque, una commissione
della Conferenza dei Direttori, ha stilato un articolato e completo
percorso formativo dei corsi pre-accademici con obiettivi da
raggiungersi in tre differenziati periodi di studio. I Consigli
Accademici delle varie istituzioni potrebbero adottare, anche con
modifiche, tale modello.
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Autonomia e standard
formativi nazionali |
Qualche considerazione, invece, sugli obiettivi e sui
contenuti della formazione pre-accademica. Se vogliamo formare un
musicista classico come nel passato, dal punto di vista della formazione
strumentale mi sembra basti aggiornare i programmi del ’30,
alleggerendoli di inutili ripetizioni e integrandoli con repertori e
studi ad oggi mai affrontati. Il tipo di training, essenzialmente
basato sulla lezione individuale, appare comunque il più adatto.
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Che cosa insegnare |
Integralmente da rivedere, a mio avviso, invece, la
formazione teorica che è ad oggi veramente deficitaria. Le competenze di
sviluppo della percezione, di teoria, di analisi, di storia della
musica, sono assolutamente al di sotto degli standard internazionali. La
comprensione di ciò che si esegue è spesso minima.
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La formazione teorica,
e le sue lacune: comprendere quel che si esegue |
E purtroppo anche la prospettiva che con cui si tenta di
migliorare l’esistente è a mio avviso spesso sbagliata. Faccio un
esempio pratico che riguarda la composizione. Secondo molti docenti, per
arrivare ad una migliore comprensione di un brano musicale da parte
degli studenti di strumento, bisognerebbe incrementare l’esercitazione
pratica della scrittura musicale (bassi più difficili, contrappunto,
ecc.). Non che questo non sia utile, ma si confonde completamente
l’abilità del comporre con quella dell’analizzare, i cui metodi
didattici e gli obiettivi formativi sono del tutto diversi. In questo
senso, sempre per continuare nell’esempio, la pratica della scrittura
mantiene in auge modelli didattici tipo la “scala armonizzata”, magari
utili a far raggiungere a tutti una tecnica meccanica per la
realizzazione di bassi, ma assolutamente fuorvianti in sede di analisi
musicale.
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Confusione fra
composizione e analisi |
A queste riflessioni aggiungerei che le conoscenze di
acustica e l’uso da subito delle nuove tecnologie devono essere il
bagaglio imprescindibile del futuro musicista.
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Poi si pone il problema di come si forma un musicista di
tradizione non classica, legato all’improvvisazione e a repertori spesso
non tonali (vogliamo dire che sarà probabilmente il futuro?). Qui tutta
l’impostazione salta e bisognerebbe affrontare in modo appropriato nodi
concettuali come: tradizioni musicali non scritte; competenze teoriche e
pratica strumentale nell’improvvisazione; definizione dei repertori di
riferimento (con annesse specifiche grammatiche), oggi genericamente
inseriti in un orizzonte jazzistico, ma in realtà spesso afferenti ad
altre tradizioni; ibridazioni stilistiche; multimedia, ecc.
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La tradizione
non-classica |
L’avvio dei corsi pre-accademici coincide con quello del
nuovo liceo musicale. Sembra logico pensare per un momento alla
relazione fra i due sistemi. Se si crea un doppio canale
(liceo/conservatorio) che permette di accedere alle fasce accademiche,
mi sembra corretto che i due percorsi non si differenzino del tutto.
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Pre-accademici e liceo
musicale |
In relazione con quanto detto prima, il liceo mi sembra
impostato in modo ragionevole, ma forse non in modo attento verso le
nuove istanze musicali che si producono nella società attuale. Ed è
sintomatico di un ritardo culturale che nei licei non se ne parli
affatto e che non siano attualmente previsti in conservatorio i corsi
pre-accademici di jazz e musica elettronica.
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La questione è molto, molto seria: se i criteri per
l’accesso e i contenuti di studio nei licei e nei corsi pre-accademici
sono quelli derivati dall’impostazione culturale classica, si rischia di
non intercettare le nuove istanze culturali ed espressive della società
attuale. Ma se non si imposta lo studio in modo serio, definendo quali
siano i contenuti formativi imprescindibili da acquisire, si rischia
d’altro canto di dare voce al dilettantismo, di essere succubi di una
cultura di massa che annichilisce le grandi culture del passato.
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In questo senso credo
sia importantissimo nella fase attuale far conoscere ai nostri studenti
l’evoluzione storica, e non solo musicale, della nostra cultura. Non
irrigidendo il percorso di studio ipostatizzando i contenuti di
specifici repertori, ma cercando di risalire alle condizioni cognitive
e percettive generali, oltre che sociali, che sono comunque agenti nel
fare artistico al di là delle differenze di stile, epoca, ecc. Nella
società dell’informazione e del mondo globalizzato, dell’eterno e
immobile presente, la sfida è dare le coordinate per una lettura del
reale, delle sue radici e delle sue prospettive future. La sfida è
comprendere le radici della nostra attuale complessità, salvaguardandone
la dimensione umanistica.
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Comprendere la musica:
comprendere le radici della complessità |
Questa credo sia una
strada da percorrere tra i due corni della questione, quello
dell’acquisizione della competenza musicale specifica, che nel modello
attuale rischia di essere molto alta, ma completamente sproporzionata o
fuorviante rispetto alla situazione sociale della musica oggi; e quello
della qualità e dell’eccellenza. |
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Paolo Rotili, compositore, è
nato a Roma nel 1959. Si è formato al Conservatorio di S. Cecilia diplomandosi
in composizione, strumentazione per banda e musica elettronica. Le sue musiche
sono eseguite nei principali paesi della UE, in Sud-America, in Cina ed edite
da Berben, Edipan, Polish Music e Sconfinarte. Attivo nell’organizzazione
musicale, ha pubblicato saggi di analisi sulla musica del novecento per le
riviste Analisi e Diastema.
E’ titolare della cattedra di Composizione al Conservatorio di Latina.
(novembre 2010)
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