I corsi pre-accademici
Le risposte di Mario Borciani
Nella prospettiva che i Conservatori continuino per un lungo periodo a
offrire la formazione musicale fin dall’inizio degli studi, quali aspetti
dell’ordinamento del 1930 (fin dall’inizio degli studi musicali) ti sembrano
richiedere innovazioni, e quali viceversa ritieni siano da preservare?
La struttura del percorso scolastico come è
prevista dall’ordinamento del 1930 è, a mio parere, tutt’altro che priva di
significato. Gli aspetti da modificare, come è ovvio, sono quelli che riguardano
i contenuti musicali dei programmi, specie in relazione alla musica del
Novecento. Quelli da preservare sono la scansione delle verifiche (che anzi sono
forse da infittire) e il senso generale della visione storica.
E,
in particolare, per quanto riguarda la formazione musicale complessiva?
Come docente di pianoforte mi sono trovato
spesso a dover constatare che la teoria musicale è insegnata in modo troppo
“teorico”. Manca, per le materie complementari, il senso di “fare” sulla
tastiera (ritmi, modulazioni e quant’altro) e il senso del “far musica” insieme.
L’ordinamento del 1930 tende molto a isolare lo studente, e questo ne è secondo
me l’aspetto più negativo.
E,
in particolare, per quanto riguarda l’insegnamento strumentale?
Come dicevo prima, la scansione delle
verifiche di apprendimento deve rimanere, e anzi forse essere annuale. In
generale si potrebbe parlare di “annualità” e non di “corso”. La tecnica “pura”
(scale, arpeggi) non dovrebbe essere abolita, ma inserita nelle prime tre
annualità e non costituire materia d’esame. Sono in genere favorevole a una
maggiore libertà nelle scelta dei programmi (che però devono essere approvati da
una commissione o dal Coordinamento), fermo restando che uno degli aspetti da
conservare del Decreto del 1930 è il concetto che, per fare il musicista, la
capacità di apprendere molta musica in relativamente poco tempo è un fatto
importante. Ventiquattro Preludi e Fughe di Bach possono essere troppi, ma sei
sono pochi. E’ evidentemente carente la scelta della musica del primo e
soprattutto del secondo Novecento: ma è inutile inserirla se poi ci si trova di
fronte a commissioni d’esame che ascoltano distrattamente un pezzo di
Stockhausen in attesa di valutare l’allievo solo su Chopin. Vanno potenziate la
lettura a prima vista, cui si potrebbero aggiungere, come a Milano si fa per il
Biennio, prove ln quindici giorni, tre ore e mezz’ora, vanno inserite prove di
accompagnamento (di strumentisti e cantanti) e prove di musica da camera. Un
aspetto da verificare è l’improvvisazione, ma temo che prima degli studenti
sarebbero gli insegnanti a doverla imparare.
Come valuti la possibilità che la
formazione ante-triennio venga progettata in autonomia dalle singole
istituzioni, senza un modello centrale?
In modo misto. Come sempre, si tratta di
persone e non di concetti. E’ bene che la storia di ogni singolo Conservatorio,
delle sue sperimentazioni, dei suoi fermenti culturali abbia un peso; ma è anche
giusto che ci sia un modello centrale cui tutti facciano riferimento. Non sono
molto competente in materia, ma penso che una commissione nazionale che raccolga
un certo numero di docenti provenienti da aree geografiche differenti potrebbe
fare all’uopo.
Quale procedura interna alle singole
istituzioni giudichi appropriata per pervenire a un buon risultato?
La formazione di una commissione (come a
Milano è stato fatto) che ha elaborato, in alcuni incontri, una bozza di
programma che poi è stata sottoposta a tutti i colleghi.
Ritieni opportuno tener conto
dell’impianto didattico e disciplinare del nuovo liceo musicale? E perché?
Non ho molta dimestichezza con le
problematiche del Liceo musicale. Le mie esperienze di insegnante con allievi
del Liceo non sono state positive: il rischio è quello di appiattire la
formazione culturale rispetto a quella propriamente strumentale. Quanto poi ai
licei musicali esterni, la situazione è troppo vaga perché se ne possa dire
qualcosa.
Mario Borciani ha studiato pianoforte con Bruno Canino, composizione con Franco
Donatoni, Massimo Toffoletti e Bruno Bettinelli. Insegna pianoforte principale
dal 1976, prima a Riva del Garda, poi a Parma, Como e Piacenza, e infine a
Milano dal 1997. A Milano ha anche tenuto per sei anni la cattedra di Lettura a
prima vista per il Biennio superiore. Ha fatto parte di varie commissioni
interne per la definizioni di programmi sia del nuovo sia del vecchio
ordinamento.
(febbraio 2011)
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