Dialogo fra un vecchio professore di
Pianoforte
e un giovane professore di Cultura musicale generale
su alcune cose che non vanno nella formazione degli studenti
di un Conservatorio italiano qualunque
Giovanni Grosskopf insegna
Cultura musicale generale (più nota come Armonia complementare) a Milano dal
2007, dopo aver insegnato in altri Conservatori e scuole. E' attivo come
compositore, pianista e musicologo. Si interessa in particolare
di
armonia e
accordalità nel Novecento e nella musica contemporanea, di rapporti tra
tradizioni etniche popolari e composizione colta, di etnomusicologia, di
rapporto tra analisi ed interpretazione.
Sergio Lattes insegna Pianoforte a Genova, dopo aver insegnato a Milano dal 1971
al 2009. Ha tenuto per vari anni, nell'ambito dell'alta formazione, i nuovi
corsi di Tecniche della
lettura a prima vista e dell'accompagnamento per il triennio, e di
Pianoforte in orchestra per il biennio di specializzazione. E' fra i soci
fondatori dell'Associazione per l'abolizione del solfeggio parlato.
S.L.
Caro Giovanni, sono stato un convinto sostenitore della riforma dei Conservatori
– ahimè ancora in mezzo al guado – e ho assunto con entusiasmo l’insegnamento di
due discipline “nuove” del corso di Pianoforte. Una di queste è dedicata
principalmente alla lettura a prima vista. Il mio punto di partenza era ed è che
la lettura a prima vista non sia solo un dono di natura, ma possa essere
educata. Tuttavia ho dovuto molte volte prendere atto che una parte degli
studenti trova nel mio corso delle difficoltà che sono conseguenza di lacune
pregresse nella loro formazione musicale. Ti parlo di studenti, come minimo, del
I anno del Triennio (che corrisponde al settimo dell’ordinamento tradizionale).
Ho incontrato ragazzi che non riescono a riconoscere all’ascolto e riprodurre
una semplice triade consonante, talvolta neppure un bicordo, talvolta neppure un
singolo suono, pur avendo la possibilità di “cercarlo” con calma su tutta la
tastiera. E ho trovato studenti che non sanno “fare” sulla tastiera i più
elementari procedimenti armonici, mentre hanno conoscenze armoniche teoriche
molto più avanzate.
Certo noi italiani scontiamo l’assenza di una educazione
musicale organica nella scuola generale. Ma almeno gli studenti di
Conservatorio....
G.G. Hai ragione a partire dalla scuola generale, mancano in
Italia le colonne portanti: il canto corale nelle scuole di ogni ordine e grado,
a partire dalla più tenera età; il dettato armonico, dai livelli di difficoltà
più semplici (parlo dell'educazione musicale di base nelle scuole elementari e
medie inferiori: in Ungheria, nelle scuole elementari, arrivano al
riconoscimento delle triadi maggiori e minori in tutti i loro rivolti e
disposizioni, incluso il riconoscimento del rivolto). E nei Conservatori
all'estero si arriva al riconoscimento non solo dei rivolti e dei raddoppi, ma
anche della strumentazione e di alcuni semplici accordi non tonali e non
tradizionali, come fanno tutti in America.
Inoltre, per quanto riguarda gli studenti di Conservatorio,
c’è anche il problema dell’interruzione degli studi teorici tra la fine
dell'attuale corso di solfeggio e l'inizio dell'attuale corso di armonia
complementare. Lo studio dell'armonia andrebbe cominciato da subito, fin dai
primi anni di corso, con metodiche pratiche e legate alla propria vita pratica
di musicista.
S.L.
Dunque parli di
anticipare lo studio dell’armonia e di legarlo alla pratica. Potrei essere
d’accordo, ma prova a fare qualche esempio concreto... E poi non dobbiamo fare i
conti con le attitudini individuali, con la “musicalità” che sempre - nel
nostro settore - ha tanta influenza nel successo dei ragazzi e nelle valutazioni
dei docenti?
G.G.
Per me, nella
musica tonale, per qualsiasi musicista minimamente serio, essere “musicali”
significa avere sempre, in ogni istante, in tempo reale (anzi, con leggero
anticipo), la coscienza di quale grado della scala si sta eseguendo e di qual è
la sua funzione. Questo dovrebbe essere irrinunciabile per i cantanti, ma di
importanza fondamentale per tutti. Pensa che in Ungheria – e parlo ancora di
scuola “di tutti” - quando fanno canto corale in classe alle scuole elementari,
fermano all'improvviso gli studenti in un punto qualsiasi del canto, scelto a
caso, e chiedono loro: "bambini, in questo momento la musica verso quale nota
stava puntando, dove sarebbe andata a concludere? Quale sarebbe la tonica in
questo momento?" E la classe, all'unisono, canta la tonica. Lo stesso per quanto
riguarda gli altri gradi.
In Italia molto spesso si insegnano il dettato (melodico)
ed il cantato secondo un metodo per me molto dannoso: ogni intervallo avrebbe
cioè un deteminato suono, considerato astrattamente.
Invece ciascun intervallo suona in modo totalmente
differente e dà sensazioni radicalmente diverse (comportando un diverso senso
musicale e quindi una diversa esecuzione, e qui si ha l'identificazione tra
riconoscimento del grado e musicalità) a seconda dei gradi della scala che lo
formano. Una terza minore discendente do-la in la minore (funzione di tonica
minore, stabile) è cosa totalmente diversa dalla stessa considerata in Si bem.
maggiore (II-VII, si va su una sensibile, funzione di dominante, sospesa),
oppure in fa maggiore (V-III, arpeggio su tonica maggiore ma senza la nota della
tonica, stabile ma non completamente conclusa), oppure in sol maggiore (IV-II,
che dà sensazioni diverse a seconda che ci sia un'armonia di settima di
dominante (re-fa diesis-la-do) oppure un'armonia nella regione di sottodominante
(ad esempio do-mi-sol, IV, seguito da do-mi-la, II6), per non parlare dei casi
con note alterate (ad es. in Mi bem. maggiore, VI-IV alzato, col la bequadro che
tenderà a salire sulla dominante, si bemolle).
Queste sono cose per me fondamentali ed irrinunciabili fin
dall'inizio di una seria educazione musicale, senza aspettare i livelli alti:
bisogna cominciare con i piccoli.
Dovrebbero essere cose irrinunciabili e fondamentali, però,
per tutti gli insegnanti di strumento, innanzitutto, e soprattutto di
canto, e, di conseguenza, per i loro allievi. Voglio dire: dovrebbe
diventare un'usanza spontanea e diffusa occuparsene non solo in eventuali classi
di didattica o di educazione musicale, ma anche, quotidianamente e come cosa
ovvia, nelle classi di interpretazione strumentale o vocale. Altrove, fuori
dall'Italia, accade. E i musicisti stranieri non si rendono conto che da noi
queste cose non si fanno, e quando tenti di raccontarlo non se ne capacitano.
S.L.
Torna sempre il
legame fra educazione musicale di tutti e istruzione specialistica: se parliamo
di “piccoli”, non possiamo pensare che entrino tutti in Conservatorio fin da
piccoli e che solo quei pochi continuino gli studi musicali. Per fortuna
comincia ad esserci la rete delle scuole medie a indirizzo, e fra poco – a
quanto pare - ci saranno i licei a indirizzo.
D'altra parte la questione del talento si presenta nel tuo
discorso in una luce diversa, perché tu parli di competenze ed abilità da
educare. E’ un po’ quello che spinge me a sostenere che “a leggere a
prima vista si impara”. Ma come dicevo al principio, gli impacci dello
studente “meno dotato” vengono spesso da lacune dell’educazione musicale
antecedente.
A questo proposito, voglio raccontarti un’altra esperienza
che mi è spesso toccato di fare. Lo studente di pianoforte – diversamente da un
dilettante di jazz, per esempio, ma anche da un cembalista – è spesso
legato al testo (a “un” testo purchessia) in modo esclusivo. Non fraintendere:
sono abbastanza rigoroso nel principio della fedeltà al testo nell’esecuzione.
Ma lo studente di cui parliamo è come smarrito davanti alla tastiera se gli si
chiede di fare qualunque cosa che non sia riprodurre un testo. Se gli si
chiede, per esempio, di fare il più semplice giro armonico, o di suonare lo
scheletro armonico di una romanza di Mendelssohn che ha sul leggìo e conosce
benissimo, o di mettere degli accordi sotto una canzoncina infantile, sembra
messo di fronte a un compito ardito. Non parlo poi della tortura, che qualche
volta ho loro inflitto, di leggere di qualche Valzer di Schubert solo il rigo
superiore, cercando a orecchio un basso possibile...
G.G. Penso che nella nostra tradizione accademica si
sottovaluti gravemente l'importanza enorme della pratica dell'improvvisazione
armonica su base data. In alcuni Paesi (ne sono certo per la Germania)
rappresenta una fetta molto importante delle ore frequentate dagli studenti di
un qualsiasi istituto musicale (intendo: almeno un quarto sul totale delle ore,
forse di più). La sua utilità è molto nota a tutti, all'estero.
Di cosa si tratta? Ad esempio, per fare un caso di partenza
molto semplice, un insegnante (ci sono classi apposite) ospita simultaneamente
tre giovanissimi allievi dei primi corsi: un violinista, un pianista, un
cantante.
Qualche altro insegnante ha già spiegato loro in precedenza
cosa sono le armonie di tonica e di dominante e che effetto fanno. Basandosi su
una tonalità tecnicamente facile per quegli strumenti (nel nostro caso, sol
maggiore, che nel violino ha corrispondenza con le corde vuote) l'insegnante
dice qualcosa come: "Ragazzi, allora, metronomo a 72 al quarto, tempo tre
quarti. Sui primi due quarti facciamo un'armonia di tonica, sul terzo quarto
facciamo un'armonia di dominante. Pronti… uno, due, tre, via!". A quel punto gli
allievi sanno che possono suonare sul primo quarto una qualsiasi nota, scelta da
loro a piacere, tra sol, si, e re. Sul secondo quarto la stessa cosa, magari
cambiano nota. Sul terzo devono eseguire a piacere re, fa diesis o la.
Naturalmente non devono eseguire sempre tutti la stessa nota, ed impareranno
così il concetto di accordo, e ascolteranno quale grado stanno suonano loro ed i
loro compagni. Chi suona il fa diesis sa che poi deve suonare il sol, gli è
stato spiegato.
Scegliendo liberamente la nota, acquistano confidenza con
lo strumento e si sentono in grado di improvvisare, senza dipendere sempre da
istruzioni altrui.
Sapranno poi riconoscere gli stessi gradi sulle musiche
scritte che dovranno leggere in seguito quando faranno la lezione principale di
strumento. E tutto ciò servirà anche come pratica di musica d'assieme.
In seguito, si introdurranno anche due note dell'accordo
per ogni movimento, e poi anche le armonie di sottodominante e gli altri
accordi, e le note estranee (passaggio, volta, appoggiatura, ritardo), che così
riconosceranno nei brani che affronteranno nella propria vita musicale.
L'improvvisazione su base armonica data è una pratica molto
importante, che DEVE, secondo me, occupare una buona fetta dell'orario
scolastico, e che si deve prolungare per parecchi anni durante tutto l'iter di
studi musicali.
S.L. Hai collegato l’improvvisazione con l’idea di acquistare
confidenza con lo strumento e quella di fare musica d’insieme. Nella pratica
didattica tradizionale la “confidenza con lo strumento” è affidata solo allo
studio individuale del repertorio e della “tecnica”, oltre che alle doti
naturali. Invece tu dici che la confidenza con lo strumento, l’abilità anche
manuale possono dipendere anche dall’educazione all’improvvisazione. Come dire:
imparo il libero uso di una “lingua” prima di imparare a recitare le poesie
composte in quella lingua.
Analogo discorso riguarda, mi sembra, la musica d’insieme,
che in questa visuale andrà coltivata dall’inizio – come del resto si fa in
molte scuole “non conservatoriali”. Del resto ogni insegnante di pianoforte sa
per esperienza che quando – seppur tardivamente – il suo allievo comincia
finalmente a frequentare Musica da camera, o anche solo ad accompagnare i suoi
compagni che suonano altri strumenti, fa un “salto” che vale più di molte, molte
lezioni individuali di strumento.
Ma vengo a un'altra osservazione che, nella didattica delle
nuove discipline, mi è occorso di fare. Una volta ho preparato una specie di
test per i nuovi arrivati nel corso di lettura a prima vista. Non era inerente
la disciplina, ma piuttosto orientato a capire “chi avevo davanti”, ossia che
rapporto avessero maturato con la musica “classica”, quale conoscenza generale
di là dai “pezzi” studiati per il proprio strumento. D’altra parte si trattava
di studenti prevalentemente già “licenziati” in Storia della musica, o
all’ultimo anno.
Ho dunque preparato una compilation da ascoltare, ciascun
breve brano ripetuto 3 volte. Dopo l’ascolto si chiedeva agli studenti di
indicare l’opera, se la conoscevano, o l’autore, se lo riconoscevano, o almeno
l’ambito cronologico-stilistico. I brani erano di questo genere: inizio del
Finale della V Sinfonia di Beethoven, Ouverture del Guglielmo Tell di Rossini,
inizio del III movimento della Patetica di Ciaikovski, e simili. Il numero di
studenti che hanno riconosciuto i brani è stato prossimo allo zero. Il numero di
quelli che hanno azzeccato l’autore o l’ambito è stato ridottissimo. Beethoven è
stato dichiarato Wagner e Strauss. Un’altra domanda chiedeva di riconoscere il
metro del finale dell’Uccello di fuoco di Stravinski, nella parte in 7/4. Solo 1
su 12 studenti ha individuato il metro.
Questo test è rimasto un esperimento isolato, perché da noi
questo tipo di approccio “non si usa”. Posso aggiungere però ancora un’altra
esperienza. Nel corso di Tecniche della lettura a prima vista una delle attività
che gli studenti più amano è la lettura di Sinfonie sette/ottocentesche (Mozart,
Beethoven, Schumann) trascritte per 2 pianoforti a 8 mani. I ragazzi si
divertono, devono “per forza” stare in battuta per non fermare tutto il treno, e
i più deboli vengono trainati dai più bravi. Utile e dilettevole. Ma troppo
spesso risulta chiaro che si tratta di musiche che non “hanno nell’orecchio”, e
altrettanto spesso mi hanno comunicato la felicità di conoscerle per la prima
volta.
Cosa pensare?
G.G.
Della nostra
tradizione didattica non fa parte in modo sistematico la pratica di effettuare a
lungo e con regolarità, in tutto il corso di studi, obbligatoriamente per tutti
almeno in Conservatorio, un gran numero esercitazioni di riconoscimento dello
stile, del periodo e dell'autore, nonché di alcuni caratteri stilistici
riguardanti l'armonia, la forma ed i suoi momenti essenziali, il timbro ed altri
parametri del suono, o la polifonia, fatte tramite ascolti. Questa dovrebbe
essere una naturale conseguenza dello studio di Storia della musica, ma anche
del fatto stesso di suonare, e credo che sarebbe veramente molto importante.
Senza nulla togliere all'analisi svolta su partitura
scritta, che però è un'altra cosa, diversa, ed è pure davvero fondamentale,
specialmente se legata alle conseguenze sulla prassi interpretativa (o
compositiva).
A questo aggiungerei la necessità di una seria educazione
alla coscienza del fatto che esistono e sono esistiti vari linguaggi musicali,
così come esistono varie lingue parlate, ed un'attenta (e per me
importantissima) educazione alla parità di trattamento tra linguaggi tonali e
non tonali.
Del resto la conoscenza “pratica” della storia della
musica, dal Medioevo al Novecento incluso (con gli autori contemporanei atonali
adeguatamente compresi e valorizzati), dovrebbe essere presente non solo nel
curriculum dei Conservatori, ma nelle scuole di ogni ordine e grado, quantomeno
quanto si fa per la storia dell'arte figurativa, se non di più.
S.L.
Caro Giovanni, per una chiacchierata abbiamo messo fin
troppa carne al fuoco. Però è stato piacevole scambiare delle idee, attraverso
e nonostante la differenza di età che ci separa. Spero che qualcun altro possa
aver voglia di dire la sua su questi temi, o altri affini. E penso che di
discussioni di merito sul nostro mestiere ci sia davvero bisogno. Grazie.
(settembre 2009) |