Intorno a un articolo di Alex Ross sul Guardian
Tutto sta a metterla nei programmi, e suonarla bene
di Pietro Borgonovo
Direttore d'orchestra, direttore artistico GOG - Giovane Orchestra
Genovese
Le
riflessioni di Baricco e Ross sono interessanti e provocano ulteriori
riflessioni ampie e destinate ad aprire una sorta di affollata e contradittoria
assemblea tra esse medesime. Una fatica insopportabile! Un tema
coinvolgente per chi si occupa di organizzazione musicale ed è allo stesso tempo
impegnato come musicista, come interprete della musica, anche come interprete
della musica del suo tempo.
Credo che in
questi giorni tutti si siano resi conto dello scarso interesse della politica
generale nei confronti della musica non di consumo. Già l’appellativo cui sono
obbligato a ricorrere per farmi capire è bruttissimo. Perché quella musica, la
musica che ci avvolge ovunque, dalla metropolitana alla pubblicità, alla sala
d’attesa dove sarebbe bello il silenzio, viene definita di consumo? Secondo me
perché chiamandola così si certifica che non viene istruito il tentativo di
capire. Si consuma e basta. Mentre la cosidetta musica colta va capita. Molte
volte sono stato avvicinato da abbonati o spettatori delle sale da concerto che
mi dichiaravano di non capire la musica composta dopo Debussy o, in casi più
estremi, dopo Beethoven. Ho sempre risposto loro che erano fortunati perché io
non capivo nemmeno Debussy o nemmeno Beethoven a seconda del caso. E non
scherzavo. Non ho mai conosciuto un lettore di Dostoevskij che dichiarasse di
non capire l’autore sebbene avesse sentito il dovere di rileggere chissà quante
volte le prime pagine per riconoscere gli stessi personaggi chiamati dall’autore
ogni volta con un diminutivo diverso. Ma per la musica bisogna capire. Non posso
continuare su questa strada perché potrebbe diventare un argomento noiosissimo e
improduttivo, oltre che polemico. A me sembra che ci sia solo bisogno di
ascoltare la musica. Con la musica non si interagisce, come oggi si “deve”
tentare con tutto. Con la musica o si ascolta e basta, o ci si mette a studiare
uno strumento e poi si continua a studiare tutta la vita.
Parliamo solo
del primo caso: si ascolta e basta. La musica ha una sua forza, una sua
narrazione, un suo scorrimento nel tempo. Ecco, la musica ha bisogno che il
nostro tempo si pieghi al suo, ovvero che l’ascoltatore sia disposto ad
impiegare tutto il tempo previsto dalla composizione musicale per ascoltarla e,
semmai di ancora dell’altro tempo per riascoltarla. Tutto qua. A questo punto
non c’è più il problema della data di composizione, resta solo il tempo per
ascoltare e, semmai, riascoltare.
Per la verità
bisognerebbe aggiungere che è meglio ascoltare musica suonata o cantata bene,
magari benissimo. Tutta la musica, non importa di quale epoca, deve essere
suonata bene, anzi benissimo. Sono convinto che nessun uomo abbia il diritto di
giudicare una composizione, ma il dovere di giudicare la qualità
dell’esecuzione. È comunque un discorso diverso dal tema.
Tornando
all’ascolto, posso dire che se il pubblico incontra difficoltà nei confronti
dell’ascolto della musica più recente è solo perchè essa è poco, se non
pochissimo, presente nei programmi dei concerti. Ovvero gli organizzatori,
temendo che il pubblico la rifiuti, preferiscono non programmarla. Così facendo
al pubblico manca totalmente la familiarità con il suono di quella musica. Ma
avete mai provato ad ascoltare in una normale stagione di concerti (ovvero non
specialistica, tipo festival barocco o contemporaneo…) una serata di madrigali
di Orlando di Lasso? Credo che gli organizzatori debbano sempre tenere presente
che tutta la musica può dare tante emozioni al pubblico più eterogeneo. Per ogni
ascoltatore ci sarà un motivo diverso per il quale è intervenuto al concerto, ma
ci sarà un carattere personalissimo nel piacere dell’ascolto e nessun
organizzatore potrà mai conoscerlo o prevederlo. In altre parole va benissimo
ideare programmi che affianchino opere del passato a opere contemporanee o
moderne. Ci sono infiniti legami tra le opere musicali che possono giustificare
e motivare gli accostamenti. È così del resto anche nella pittura, dove linee
curve di volti di Madonne del duecento sono sovrapponibili a quelle di visi di
donne di Modigliani. E poi bisogna continuare a spiegare che la cosidetta musica
moderna ha almeno cento anni e che i suoni della cosidetta musica da consumo
sono ben più nuovi di quelli di Stravinskij.
Insomma il
problema non è del pubblico, ma degli organizzatori di concerti. Il pubblico sa
ascoltare tutto e capisce tutto. Non deve essere accompagnato da nessuna parte,
deve solo ascoltare musica suonata bene, molto bene o benissimo. L’organizzatore
di concerti ha il compito di proporre quello che ritiene possa essere suonato
bene, meglio molto bene o, meglio ancora, benissimo. È una grande
responsabilità.
febbraio 2011
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