Alta formazione e educazione
musicale sul territorio:
il caso della Civica Scuola di Milano
Conversazione con Andrea Melis
di Sergio Lattes
In
occasione della cerimonia di intitolazione della Civica Scuola di Musica di
Milano al nome di Claudio Abbado, si è svolta una tavola rotonda dal titolo
Un'educazione musicale accessibile a tutti.
Alla discussione, moderata da
Andrea Melis, direttore della
Scuola, sono intervenuti Luigi
Berlinguer, presidente del Comitato nazionale per
l’apprendimento pratico della musica;
Filippo Del Corno, assessore alla cultura del Comune di
Milano;
Cristina Tajani,
assessore Politiche per il lavoro, sviluppo economico, università e ricerca
del Comune di Milano;
Annalisa Spadolini,
Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica;
Ciro Fiorentino,
referente nazionale di COMUSICA.
Sui temi trattati nella
tavola rotonda abbiamo ragionato con Andrea Melis, direttore della Civica Scuola
di Musica, recentemente accreditata come istituzione Afam.
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Con la tavola rotonda di
giugno la Civica Scuola, ora in veste di istituzione Afam, mi è sembrata volersi
porre in relazione con l’educazione musicale sul territorio offrendosi come
punto di riferimento. Vorrei sapere da te se così è, e quali possono essere i
possibili contenuti di questa relazione.
Certamente questa intenzione da parte nostra c’è. Il quadro
generale dell’educazione musicale mi sembra quello di un arcipelago, dove ci
sono isole di funzionalità in un contesto fortemente disomogeneo. C’è in più il
fatto che molti Conservatori sembrano non volersi più occupare della formazione
“di base”, ritirandosi nel segmento dell’alta formazione: una tendenza che mi
sembra preoccupante. Il liceo musicale, peraltro, non viene percepito dai
Conservatori come segmento anteriore della formazione, come bacino di
provenienza. Chi dunque deve formare gli studenti che entreranno poi nell’Afam?
E, contemporaneamente è logico chiedersi, c’è bisogno di un’ottantina di sedi
Afam?
Certo non si può chiedere ai Conservatori di risolvere
tutto il problema, e ci sono scuole di pensiero molto diverse su questi temi.
Personalmente sono convinto che, in assenza di un progetto territoriale
unitario, si debba comunque cercare di mantenere attiva una filiera formativa
“lunga”, dalla formazione di base all’alta formazione. Se se ne hanno le forze e
la massa critica, si può farlo all’interno di una medesima istituzione.
Altrimenti, attraverso il concerto con altre istituzioni, la costruzione di
reti.
Il segmento Afam, inoltre, è numericamente esiguo rispetto
a quello anteriore. E’ quindi logico anche per questo aspetto che ci si occupi
di quanto avviene prima. Ed è anche giusto così, se non vogliamo che l’alta
formazione si riduca a una “officina riparazioni” di danni formativi che sono
stati fatti prima. Perché “prima” il contesto adatto ad alimentare il sistema
Afam – parlo di garanzie di qualità formativa - non esiste, o meglio esiste solo
episodicamente, diciamo a macchia di leopardo.
Perciò da un lato cerchiamo un dialogo di tipo
istituzionale, e la tavola rotonda ne è stato un momento, dall’altro lavoriamo
per costruire una rete di scuole civiche, almeno a livello lombardo. Per
cercare, ad esempio, di concordare degli standard di ingresso e di uscita per i
diversi livelli formativi. Provando a generare uno scambio di metodologie, di
obiettivi, di metri di valutazione. A creare un soggetto riconosciuto – magari a
livello regionale - come portatore di una proposta unitaria e condivisa per la
formazione musicale di base. Questo corrisponderebbe sia all’interesse degli
allievi, che sarebbero inseriti in un percorso riconosciuto e garantito, sia a
quello delle scuole stesse che non rischierebbero più di essere delle monadi
disperse.
Tornando al quadro nazionale,
mi è sembrato di cogliere in alcuni interventi alla tavola rotonda l’idea che la
situazione non sia più così ferma come qualche anno fa.
A parte le nuove norme – mi riferisco al D.M. 8/2011 e alla
sua ricaduta – c’è certamente un progresso nella consapevolezza diffusa che
l’educazione musicale debba costituire parte integrante del patrimonio formativo
di ogni studente, a prescindere da scelte di indirizzo più specifiche. Non può
dipendere solo dalle condizioni socioculturali della famiglia il fatto che uno
studente si avvicini - o no - alla musica. C’è certo da lavorare perché questo
si traduca in progetto unitario e generale.
Torniamo allora a vedere come
una istituzione Afam possa offrirsi come riferimento a una rete territoriale. Su
quali obiettivi, su quali contenuti.
Ci sono vari piani. Uno certamente, e lo ha messo bene in
risalto Luigi Berliguer nel suo intervento, è quello della “formazione dei
formatori”. Non si tratta più di “aggiungere” questo pezzo di competenze
all’insegnante generalista nella scuola primaria, ma di formare delle persone
preparate a fare questo lavoro. Le istituzioni Afam dovrebbero poter operare in
questo senso. Un altro piano è quello della filiera formativa che conduce
all’alta formazione. E va sottolineato che non è una filiera lineare: non si può
più pensare che un bambino decida di fare il musicista. Per i più, le scelte si
chiarificano strada facendo. In altri termini: vogliamo occuparci solo dei
talenti eccezionali, quelli che si manifestano in modo clamoroso fin
dall’infanzia, o vogliamo fare un discorso che riguardi a tutto tondo la cultura
musicale del cittadino? Altrimenti, per quale pubblico suoneranno gli
strumentisti che formiamo? In quale deserto disabitato di musica li manderemo ad
operare? Il discorso va fatto dunque dalla scuola elementare, e dev’essere ad
amplissimo spettro. Poi, all’interno del percorso, si manifesteranno i talenti e
le vocazioni specifiche.
Questo discorso è molto
sensato, ma contiene implicitamente delle conseguenze complicate dal punto di
vista di chi insegna. Se la scelta pre-professionale o vocazionale viene fatta
più avanti nel percorso, se i meccanismi di orientamento (e di selezione) verso
questa scelta devono essere progressivi lungo il curricolo, per chi insegna le
cose cambiano di molto. Un conto è insegnare in una cornice “conservatoriale”
ben definita, dove chi non corrisponde agli standard viene rapidamente escluso,
e un conto è una didattica nella quale si fa comunque educazione musicale per
tutti. Sono due filosofie diverse, e fonderle non è facile.
Più che di fonderle, direi che si tratta di tenerle
presenti simultaneamente. E’ vero però che questa è una problematica
squisitamente didattica, ed è uno dei temi che si può provare ad affrontare se
si stabilisce un terreno di relazione fra istituzioni diverse che hanno compiti,
finalità e responsabilità diverse. Questo terreno non c’è ancora, va costruito.
Ti faccio ancora un esempio. I docenti delle scuole a indirizzo musicale
insegnano a tanti ragazzi che continueranno ad avere un interesse di tipo
amatoriale, e a qualcuno che farà delle scelte professionali verso la musica. A
questi docenti bisognerebbe fornire le competenze per poter ri-adattare ogni
anno il repertorio d’insieme agli organici strumentali effettivamente
disponibili. Questo significa competenze di ordine compositivo,
armonico-contrappuntistico, di arrangiamento, di scrittura per piccoli ensemble
eccetera. Questo può essere un ambito ben preciso di collaborazione fra
istituzione Afam e sistema dell’educazione musicale.
Certo, dal punto di vista didattico si tratta di un
rovesciamento di paradigma. Ragionare sull’emersione graduale di una scelta
vocazionale in un bambino o in un adolescente è molto più complicato che non
stabilire delle soglie di accesso e di uscita da un canale “conservatoriale”. E
su questo tipo di questione non vedo fare molti ragionamenti: si è rimasti per
lo più attaccati a un’idea lineare e diciamo così chiusa del percorso formativo
che conduce al diploma in uno strumento.
Possono invece esistere paradigmi diversi, che non separino
alla radice la formazione del futuro musicista da quello del futuro amatore e da
quello del futuro ascoltatore competente. Voglio dire che preferisco un
approccio organico, che vada ad attivare tutte le valenze comuni a questi
aspetti. Altrimenti (e purtroppo lo si vede spesso) si assiste alla
disintegrazione del terreno stesso su cui può farsi strada l’interesse alla
musica da parte di un bambino - che non abbia la fortuna di vivere in una
famiglia benestante e culturalmente attrezzata. Questo vuol dire perdere la
scommessa, perdere tutto.
C’è da chiedersi se la scuola
statale possa rispondere da sola. C’è una carenza culturale, diciamo così
storica, della società italiana nei confronti della musica. Ma c’è anche una
domanda diffusa di educazione musicale, che spesso trova risposta solo
nell’insegnamento privato.
Certamente. Per questo è importante tutelare il patrimonio
costituito dalle scuole civiche, e anche dalle scuole private migliori. Questo
patrimonio va censito, va raccordato. Per fare un esempio pratico: molte di
queste scuole fanno fatica a elaborare dei piani di studio propri. Le
istituzioni più grandi, senza paternalismo e senza rigidità, possono aiutarle
offrendo dei criteri, dei riferimenti. E anche creando una rete di scambi di
concerti, in cui gli studenti delle scuole minori possano avere occasioni di
suonare in ensemble o in orchestre che le loro scuole non arrivano a formare.
Questo significherebbe moltiplicare le possibilità per i ragazzi, e per le
scuole stesse.
Vengo a una questione più
specifica: il liceo musicale non gode di buona reputazione nei Conservatori, che
non lo ravvisano come bacino di provenienza per l’alta formazione.
Vedremo quando arriveranno i primi “maturi”. Il Liceo
dovrebbe essere “naturalmente” il segmento anteriore all’afam, fatto salvo che
solo alcuni dei suoi studenti avranno raggiunto il livello e l’orientamento per
proseguire nell’alta formazione, altri proseguiranno a livello amatoriale
facendo scelte diverse all’Università, altri magari abbandoneranno del tutto la
musica avendo però comunque ricevuto una formazione. C’è nel liceo, giustamente,
una grande differenziazione, ed è anche probabile che gli studenti già orientati
rafforzino la propria competenza musicale al di là di quella offerta dal liceo
stesso.
Certo nel momento in cui i Conservatori – o alcuni di loro
– vogliono collocarsi solo nell’alta formazione, il problema si
radicalizza: da un lato le sedi Afam sono molte, forse troppe per essere solo
Afam. Dall’altra parte gli studenti all’Afam da qualche parte dovranno pur
arrivare.
Quindi, torna la
vexata quaestio del numero
delle istituzioni...
Intendiamoci: non penso al modello francese, con solo due o
tre istituzioni “alte”. Abbiamo una storia diversa, da noi sarebbe
improponibile, chi è disposto a farsi declassare? E d’altro canto non
sottoscriverei che la semplice dimensione quantitativa di un istituto possa
essere la discriminante per una sua collocazione “gerarchica”. C’è invece un
problema di valutazione seria, e forse una bussola potrebbe essere quella di
costruire percorsi formativi a livello regionale, coordinando le risorse
didattiche presenti. E sviluppando le “vocazioni” dei singoli istituti, che non
sono tutti uguali. Continuo a ritenere che bisogna riuscire a tenere insieme i
diversi livelli formativi, che non devono slegarsi in compartimenti stagni,
senza osmosi e trasmissione di sapere tra loro. In questo senso credo che non si
debba neppure imitare astrattamente il paradigma Liceo-Università: nella musica
è un po’ diverso. Del resto i problemi si avvertono anche nell’Università, che
oggi percepisce talvolta se stessa come una sorta di super-liceo.
Per finire, una questione
delicata: oggi sembra di moda parlar male della riforma dei Conservatori – come
del resto di quella dell’Università.
Sì, nell’insieme vedo anch’io un deterioramento
complessivo, ma è complicato attribuirne le cause alle nuove norme o non
piuttosto a un cambiamento profondo del contesto sociale in cui la formazione
musicale si colloca, e al venir meno delle opportunità di lavoro musicale.
Certamente la riforma è tutt’oggi un’avventura incompleta.
Per quel che ci riguarda come Civica, è vero che grazie al
nuovo quadro normativo abbiamo potuto diventare parte del sistema Afam, ma è
anche vero che nel farlo ci stiamo sforzando di non perdere nulla della nostra
identità, che è quella di lavorare sulla verticalità del curricolo e non solo
sull’alta formazione. Non siamo però neppure soltanto “vecchio
ordinamento”, perché nella nostra storia c’è anche una radice di scuola popolare di musica, che
ci connota e alla quale non rinunciamo.
luglio
2014
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