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INTERVENTI

 

Ripartire dalla  formazione iniziale

di Giuseppe Bagni, presidente nazionale CIDI

 

Il presidente CIDI interviene in occasione del convegno “Formazione iniziale degli insegnanti: scorciatoie o qualità?” (Roma, Palazzo dei Gruppi parlamentari, 4 dicembre 2019 ore 10-14) organizzato congiuntamente da ANFIS (Associazione nazionale formatori insegnanti supervisori), CIDI (Centro iniziativa democratica insegnanti) e DDM-GO (Docenti di Didattica della musica – Gruppo operativo).
 

*****

Il motivo del convegno di dicembre sulla formazione iniziale dei docenti è principalmente quello di tentare di riportare al centro della discussione questo nodo che purtroppo pare rimosso nel dibattito attuale sulla scuola. Ma certo è tutta la scuola rimossa sotto la pressione delle continue emergenze che ci colpiscono.

Eppure la qualità del Paese di domani è legata a quella del nostro odierno sistema d'istruzione a cui è affidato il compito fondamentale di fornire ai giovani gli strumenti culturali indispensabili per scegliere e realizzare il mondo futuro in cui vorranno vivere.

Ma la qualità della scuola non può prescindere da quella dei suoi insegnanti, per questo ci preoccupa l'assenza di una riflessione seria su quale sia il percorso necessario per formare un docente capace di interpretare al meglio il ruolo decisivo che lo Stato gli affiderà.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a cambiamenti continui nella formazione iniziale dei docenti con il moltiplicarsi dei canali per acquisire l'abilitazione e il passaggio a ruolo, ma mentre per il ciclo primario si è giunti ad un livello di chiarezza e anche di efficacia significativo lo stesso non può dirsi per la scuola secondaria.

Per questo livello scolare, dopo le esperienze delle SISS, e poi dei TFA e dei PAS sembrava che con la legge 107 si fosse delineata e imboccata una strada nuova che prevedeva il cosiddetto FIT, concorso con percorso triennale per arrivare all'assunzione a tempo indeterminato. Con l'ultima legge di bilancio tuttavia siamo tornati indietro, e non di poco. Da un percorso che era stato criticato perché giudicato tra i più lunghi d'Europa siamo passati a uno che è sicuramente tra i più brevi.

Allo stato attuale è sufficiente una laurea magistrale con l'aggiunta di 24 CFU (poco più di un trimestre universitario) e il superamento del concorso per entrare a ruolo nella scuola. Se qualcuno pensa che sia sufficiente evidentemente significa che ritiene insegnare una semplice trasmissione di ciò che si sa a chi non lo sa.


Noi sappiamo che non è così, che non di trasmissione si tratta ma di co-costruzione di un sapere che deve fondarsi sulla comprensione profonda se vogliamo che si radichi nella testa dei nostri studenti. Altrimenti non si trasformerà in loro in un modo di pensare e di agire personale e duraturo ma rimarrà come indottrinamento, sterile e volatile.

Crediamo che vada rivista in profondità l'attuale normativa recuperando l’idea di una specializzazione per l'insegnamento che abbia la durata e il valore di almeno un anno accademico con 60 crediti, da acquisire dopo la laurea magistrale e prima del concorso.

Ovvio che possono essere previste diverse forme di flessibilità, riconoscendo ad esempio i 24 crediti attualmente richiesti all'interno dei 60, oppure garantendo diverse forme di accesso alla specializzazione per chi abbia crediti legati ad esperienze scolastiche già svolte.

Ma non è questo il punto principale, e nemmeno lo è in questo momento come questi crediti debbano essere ripartiti tra i vari insegnamenti disciplinari e traversali.


Il punto fondamentale è sancire una volta per tutte che per insegnare occorre essere specificatamente formati, e che questo grande impegno deve vedere l’assunzione congiunta di responsabilità da parte dell’Università e della Scuola. Ciascuna ovviamente con ruoli e compiti specifici, ma entrambe disponibili a svilupparsi nel segno di quella collaborazione che è indispensabile per formare docenti in grado oggi di svolgere il ruolo che li attende.


Novembre 2019

 


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