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DIDATTICA

sei in: DIDATTICA>QUADERNI DELLA RIFORMA/STRUMENTISTI/RIGHINI

I quaderni della riforma/Strumentisti


Le risposte di
FEDERICA RIGHINI
 

Federica Righini concertista e didatta, insegna Pianoforte al Conservatorio di Vicenza e Psicofisiologia dell'esecuzione musicale nei Conservatori di Adria, Trieste e Vicenza. Con Riccardo Zadra ha creato un percorso mirato allo sviluppo delle potenzialità creative del musicista. Il loro progetto è stato approvato dal ministero come materia di studio nei Conservatori. Di prossima uscita il loro libro “Maestro di te stesso. PNL per musicisti” per le Edizioni Curci


Molti fra i fautori della riforma consideravano necessaria una migliore formazione musicale dello strumentista al di là dello studio dello strumento, più di quanto fosse previsto dall’ordinamento del 1930. I nuovi percorsi comprendono dunque armonia, analisi, storia, e la presenza di Teoria della musica e di Esercitazioni corali anche nel periodo superiore.
Qual è la tua opinione in proposito?

Sono d’accordo in linea di principio, credo però che l’eccessivo numero di ore di frequenza previste per le materie teoriche vada a scapito del tempo che lo studente dovrebbe dedicare quotidianamente allo studio dello strumento.

Il nuovo assetto didattico prevede che la competenza dell’insegnamento dello strumento si articoli su più discipline. Per esempio: Prassi esecutive e repertori (che è il vero e proprio insegnamento dello strumento), Metodologia dell’insegnamento strumentale, Trattati e metodi, Letteratura dello strumento, Fondamenti di storia e tecnologia dello strumento, Tecniche di lettura estemporanea, Improvvisazione allo strumento.
Tutte queste discipline – o meglio quelle che ogni istituzione sceglierà – sono di competenza dei docenti dello strumento “principale”. Tuttavia è prevedibile che lo studente le studi sotto la guida di diversi docenti dello stesso strumento.
Come vedi questa articolazione su più discipline della competenza strumentale?

Ho sempre pensato che i classici 10 anni con lo stesso insegnante fossero uno dei maggiori limiti del nostro sistema istituzionale. Sono dunque convinta che per un livello universitario la pluridocenza sia fondamentale.  Nel 2003/2004 al Conservatorio di Adria insieme ad altri docenti di pianoforte ho realizzato un progetto di “lezioni aperte” in cui allievi di una classe facevano lezione con un altro docente, in un contesto in cui erano presenti allievi e docenti di tutte le classi. A conclusione del progetto abbiamo selezionato alcuni allievi che hanno suonato in un saggio in cui erano presenti la maggior parte dei docenti  e degli studenti di pianoforte della scuola. E’ stato un successo, sia per gli studenti che hanno potuto apprezzare i diversi approcci didattici, che per gli insegnanti che hanno visto valorizzate le proprie competenze specifiche. Questo esperimento che ha poi portato alla creazione della pluridocenza  nel Biennio sperimentale. Anche in questo caso gli studenti hanno reagito molto positivamente.

E come vedi l’ipotesi che i tuoi studenti studino altri aspetti dello strumento con altri colleghi docenti dello stesso strumento?

Da quando ho cominciato ad insegnare non ho mai considerato gli allievi come una mia “proprietà”. Ho sempre creato occasioni che permettessero agli allievi della mia classe di fare lezioni con altri colleghi, considerandola come una parte integrante e fondamentale della formazione, quindi sono assolutamente favorevole. Noto che la domanda specifica “altri aspetti” dello strumento; personalmente non avrei alcuna preclusione anche se lo studente studiasse “ gli stessi aspetti” con altri docenti, soprattutto se volesse approfondirli. Si presuppone che uno studente universitario sia dotato di capacità critiche e di capacità di scelta: ascoltare opinioni diverse è un’occasione per allargare i suoi orizzonti.

Uno dei motivi di diffidenza da parte di non pochi docenti di strumento verso il curricolo dell’alta formazione è il timore che lo studio dello strumento possa perdere la centralità che ha nell’ordinamento del 1930.
Condividi questa preoccupazione? Se sì, pensi che questo rischio possa essere ridotto dalle singole istituzioni nella fase di definizione del proprio curricolo locale?

Credo che il problema sia a monte: vogliamo una istituzione di alto livello ma non vogliamo selezionare gli insegnanti, questo fa sì che non si pensi ad istituire livelli diversi di curricolo, e a creare quelli che, come nelle Hochshule, sono quasi totalmente dedicati allo studio dello strumento. In questo modo perdiamo gli studenti più bravi e preparati a livello strumentale che preferiscono iscriversi alle Accademie o fare il biennio all’estero proprio perché l’organizzazione permette loro di studiare moltissimo lo strumento, preparare concorsi ecc.. Non so se le istituzioni possono ridurre questo rischio, ho spesso la sensazione che la preoccupazione dominante sia come sempre quella di salvaguardare gli interessi e l’immagine della classe docente piuttosto che di offrire un effettivo servizio all’utenza.

La musica da camera assume nel curricolo un ruolo che non vi aveva nell’ordinamento del 1930. Sia come quantità, sia per la regolare verifica con esami.
Come giudichi questa innovazione dal punto di vista del docente di strumento (se questo è il tuo caso) e da quello del docente d’insieme (se questo è il tuo caso)? Potranno generarsi delle “contese territoriali”?

Sono senz’altro favorevole all’incremento della musica da camera.

Pensi che le convenzioni fra Conservatori e Licei per dar vita ai nuovi Licei musicali possano comportare un rischio di “secondarizzazione” dei Conservatori, o portare a modificare in qualche modo lo stato giuridico dei docenti?

Probabilmente il vero problema è la qualifica del personale docente di livello universitario, questione che nessuno osa porre, un tabù che nemmeno la riforma  è riuscita a superare. Tengo a dire che la solita obiezione del “chi giudica chi” è, a mio parere, soltanto un modo per evitare di prendersi la responsabilità di creare una scuola di qualità e di alto livello, obiettivo che sembra spesso dimenticato. Se vi fossero regolarmente dei concorsi e un monitoraggio serio del lavoro svolto molti musicisti di valore oggi disoccupati avrebbero la possibilità di intraprendere la carriera di insegnante.

Altro?

Il rischio è che le riflessioni sulla riforma dei Conservatori vengano orientate, di fatto, su come conservare i privilegi dell’attuale corpo docente, su come nascondere o proteggere tante magagne, piuttosto che a chiedersi come alzare il livello dell’offerta formativa e diventare competitivi a livello europeo. Manca sovente una visione di come vorremmo fosse la scuola migliore per i giovani oggi.

(marzo 2010)

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