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sei in: DIDATTICA>QUADERNI DELLA RIFORMA/STRUMENTISTI/DAMERINI

I quaderni della riforma/Strumentisti


Le risposte di
MASSIMILIANO DAMERINI
 

Pianista genovese, Massimiliano Damerini ha compiuto gli studi musicali nella sua città, diplomandosi in pianoforte e composizione. Considerato uno degli interpreti più rappresentativi della sua generazione, ha suonato in alcuni dei più importanti teatri e sale da concerto del mondo: Konzerthaus di Vienna, Barbican Hall di Londra, Teatro Alla Scala di Milano, Teatro Colón di Buenos Aires, Herkules Saal di Monaco, Gewandhaus di Lipsia, Salle Gaveau e Cité de la Musique di Parigi, Tonhalle di Zurigo, Auditorio Nacional di Madrid, ecc., suonando in qualità di solista con molte prestigiose orchestre sinfoniche.
Ha inciso per molte etichette discografiche, tra cui: EMI, Etcetera, Arts, Ricordi-BMG, Accord, Marco Polo, Col Legno, Musikstrasse, Warner, ecc. Moltissime le opere pianistiche a lui dedicate da importanti autori tra i quali: Di Bari, Donatoni, Ferneyhough, Gaslini, Sciarrino, Sotelo, Tanaka, Vacchi, ecc.
Attivo anche come compositore, ha presentato in importanti rassegne e festival numerosi suoi lavori, alcuni dei quali pubblicati da Rai Trade e da Edipan.

Il famoso compositore Elliott Carter, dopo averlo ascoltato a New York, ha detto di lui:
Ogni suo concerto è un’esperienza indimenticabile.
La critica italiana gli ha conferito il prestigioso Premio Abbiati 1992 quale concertista dell’anno.

 
Molti fra i fautori della riforma consideravano necessaria una migliore formazione musicale dello strumentista al di là dello studio dello strumento, più di quanto fosse previsto dall’ordinamento del 1930. I nuovi percorsi comprendono dunque armonia, analisi, storia, e la presenza di Teoria della musica e di Esercitazioni corali anche nel periodo superiore. Qual è la tua opinione in proposito?

La mia opinione è sicuramente positiva. Materie come: analisi, armonia, estetica musicale, ecc. devono far parte del bagaglio di ogni studente a vari livelli. Penso che ad esempio si potrebbe sfruttare la Teoria della musica nel biennio superiore lavorando con le nuove grafie (che ormai tento nuove non sono più...), ma penso anche che una materia bistrattata e quasi sempre mal realizzata, soprattutto per mancanza di tempo, come la vecchia Armonia complementare  debba diventare irrinunciabile per la cultura del futuro musicista. Quanto all'esperienza corale la ritengo utilissima e formativa. Lo “stare insieme” è una condizione che apre la mente del musicista più di qualunque altra esperienza. Essendo pianista, quando mi rivolgo agli studenti pianisti (che hanno a disposizione uno strumento che non necessita di altri “supporti”) cerco sempre di stimolarli a suonare assieme ad altri: fiati, archi, voce o, in mancanza d'altro, almeno a quattro mani con qualche collega. Il mondo è pieno di pianisti che suonano Petrouchka o le Brahms-Paganini senza sbagliare una nota, ma non sono in grado di accompagnare Una furtiva lacrima. Quindi, ben venga anche il coro.

Il nuovo assetto didattico prevede che la competenza dell’insegnamento dello strumento si articoli su più discipline. Per esempio: Prassi esecutive e repertori (che è il vero e proprio insegnamento dello strumento), Metodologia dell’insegnamento strumentale, Trattati e metodi, Letteratura dello strumento, Fondamenti di storia e tecnologia dello strumento, Tecniche di lettura estemporanea, Improvvisazione allo strumento.
Tutte queste discipline – o meglio quelle che ogni istituzione sceglierà – sono di competenza dei docenti dello strumento “principale”. Tuttavia è prevedibile che lo studente le studi sotto la guida di diversi docenti dello stesso strumento.
Come vedi questa articolazione su più discipline della competenza strumentale?
E come vedi l’ipotesi che i tuoi studenti studino altri aspetti dello strumento con altri colleghi docenti dello stesso strumento?

Insegno Musica da camera da 34 anni, e per fortuna non mi è mai capitato di entrare in conflitto con qualche collega.
Sebbene io sia contrario a un'esperienza di questo tipo nei primi anni della formazione, in quanto ritengo che lo studente giovanissimo abbia necessità di una guida unica e certa per quanto riguarda il suo strumento, mi sembra comunque una posizione “intelligente” da parte dell'insegnante lasciare che lo studente, appena raggiunto un minimo di maturità e di consapevolezza, ascolti più voci.  Con il passare del tempo è sacrosanto che si renda conto che esistono altre idee, altri punti di vista, che possono essere a loro volta complementari al lavoro svolto, e che sia messo in condizione di confrontare fra loro tali idee: è senza dubbio un'occasione stimolante in più. D'altronde alcuni argomenti risultano talmente “specifici” che diviene naturalmente necessario affidarli a docenti diversi. Dal momento che parliamo di trienni e bienni, si presume che stiamo parlando comunque di studenti già grandi. Ritengo invece giusto che lo studente, durante l'intero percorso, abbia pur sempre un insegnante di “riferimento”, un tutor che lo possa consigliare sulle scelte e sul da farsi: tale insegnante può non essere necessariamente la stessa persona per tutto quanto il periodo.

Uno dei motivi di diffidenza da parte di non pochi docenti di strumento verso il curricolo dell’alta formazione è il timore che lo studio dello strumento possa perdere la centralità che ha nell’ordinamento del 1930.
Condividi questa proccupazione? Se sì, pensi che questo rischio possa essere ridotto dalle singole istituzioni nella fase di definizione del proprio curricolo locale?

Ovvio che lo strumento debba mantenere la sua centralità. Credo dipenda dai modi in cui gli insegnanti collaborano e interagiscono. Non vedo preoccupazioni “sulla carta”.

La musica da camera assume nel curricolo un ruolo che non vi aveva nell’ordinamento del 1930. Sia come quantità, sia per la regolare verifica con esami.
Come giudichi questa innovazione dal punto di vista del docente di strumento (se questo è il tuo caso) e da quello del docente d’insieme (se questo è il tuo caso)? Potranno generarsi delle “contese territoriali”?

Come ho detto prima, la mia materia è proprio Musica da camera. Ribadisco che il carattere squisitamente “formativo” di questa materia è fondamentale per ogni persona che voglia diventare “musicista” a tutto tondo. Non posso che essere favorevole a un'apertura maggiore a tutte le materie che vedono lo studente relazionarsi con gli altri strumentisti (o cantanti).

Pensi che le convenzioni fra Conservatori e Licei per dar vita ai nuovi Licei musicali possano comportare un rischio di “secondarizzazione” dei Conservatori, o portare a modificare in qualche modo lo stato giuridico dei docenti?

Allo stato attuale delle cose, non riesco a definire con precisione la sensazione che provo. Premetto che (contrariamente a tantissimi colleghi) sono da sempre favorevole a una riforma dello studio della musica. I vecchi programmi sono obsoleti e andavano comunque ristudiati e ridisegnati ex novo: ce lo diciamo tra noi da una vita, e credo su questo siamo tutti d'accordo. Certo, la riforma che stiamo vivendo è piena di contraddizioni e difetti. Non so fino a che punto noi insegnanti possiamo modificare in meglio tali difetti: ci possiamo (anzi, ci dobbiamo) provare. L'errore più grossolano è stato di iniziare questo percorso dall'alto, e a questo errore non possiamo certo porre rimedio noi. Se i Licei musicali sono di là da venire (e ogni giorno che passa sembra ne nascano sempre meno!), il lavoro all'interno dei Conservatori non può che risultare irto di difficoltà. Se avessimo numerosi Licei già funzionanti in tutta Italia, potremmo indubbiamente avere maggiori benefici. Purtroppo questa è la situazione attuale, non credo molto modificabile. Il rischio della “secondarizzazione” esiste: il fatto di aver creato in anni passati troppi conservatori sul territorio (ma soprattutto mal distribuiti, perchè lo studio della musica non è mai troppo) credo porterà la necessità quanto meno di un ridimensionamento. Il pericolo quindi esiste. Dall'altro lato penso anche che l'apertura (speriamo non troppo in là nei decenni) dei nuovi Licei musicali potrebbe finalmente significare nuova fonte di lavoro per i nostri studenti, in un momento di crisi nel quale i teatri e le orchestre sono sull'orlo del fallimento.

Sullo stato giuridico degli insegnanti bisognerebbe ragionare: lo studio della musica non è assimilabile a un qualunque altro percorso universitario: è di per sé assolutamente anomalo. Sarebbe bene che questo argomento delicato fosse valutato con attenzione.

(marzo 2010)

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