Trienni
ordinamentali, licei musicali, corsi di base… punti chiave di una
riforma che nel decimo compleanno della legge 508 pare possa finalmente
realizzarsi compiutamente dal finire del 2010.
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Le cose di cui si è parlato molto... |
Nelle interviste ai
direttori, nei vari interventi apparsi su questo sito, sono state bene
approfondite un po’ tutte le questioni più contingenti dell’attualità.
Un’attualità rappresentata da urgenze che però da almeno sei anni sono
sempre le stesse!
Chi infatti ha seguito da vicino lo sviluppo delle cose sa che da quando
i Conservatori hanno scritto i propri statuti (in base al DPR 132/2003)
e da quando è uscito il DPR 212/2005 si è molto parlato - nei luoghi
istituzionali preposti, tra direttori, in molte istituzioni - di tutte
le questioni oggi in discussione (ordinamento dei corsi accademici,
contratto di lavoro, corsi di base, licei musicali, ecc.).
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Non è però stato
facile in questi anni mettere all’ordine del giorno, confrontarsi e
discutere di altri argomenti, anche tecnici, che fin dal principio
risultavano dirimenti, da affrontare subito per aiutare a far fronte
alle profonde novità introdotte dalla riforma.
Per esempio: come materialmente gestire il nuovo assetto organizzativo
delle istituzioni, i nuovi organi di governo, le strutture didattiche
interne nel funzionale rapporto tra loro stesse e con gli organi di
governo? Come adattare la nuova cultura didattico-formativa prevista per
i corsi di alta formazione a quella che da decenni costituisce per molti
l’abito mentale del conservatorio tradizionale? Come far convivere corsi
di studio organizzati per crediti e con nuove regole “universitarie” in
concomitanza con i corsi del vecchio ordinamento ancora basati sui regi
decreti del 1918 e 1930? Come far assumere ai Conservatori il nuovo
ruolo territoriale richiesto, anche dalla società, attraverso le
convenzioni, le produzioni, le cooperazioni con enti culturali pubblici
e privati circostanti? Come far comprendere tutte queste novità
all’interno del Conservatorio, cioè ai docenti, al personale, agli
studenti, e all’esterno ai rappresentanti degli enti locali, alle
associazioni e al mondo culturale che collabora con il Conservatorio?
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...e quelle di cui si è parlato poco |
Ogni istituzione,
come si è voluto, ha trovato autonomamente le proprie risposte e
soluzioni, con più o meno successo. Se è mancata la voglia di affrontare
a livello di sistema tutti questi aspetti problematici della riforma è
stato un po’ perché, erroneamente a mio parere, non sono state
considerate queste delle vere e proprie “urgenze” (ce ne sono sempre
altre, anche più prosaiche!, ma anche perché sono mancati gli strumenti
concettuali idonei per analizzare e affrontare al meglio ed
efficacemente la nuova situazione, gli originali problemi scaturiti
soprattutto nell’applicazione dell’autonomia. Se l’obiettivo prefigurato
sarà quello di creare un sistema integrato composto da 54 autonomi
Conservatori (+21 IMP) e non tanto una semplice somma, o stratificazione
di Conservatori, sarebbe un errore sottovalutare questo aspetto.
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Necessità di "fare
sistema" anche sugli aspetti culturali e concettuali |
Ma cosa è rimasto
irrisolto, cosa in qualche modo influisce ancora oggi nel modo di
affrontare e risolvere i problemi in discussione? Cosa è cambiato nella
mentalità di chi lavora nelle istituzioni, dopo questi anni di
sperimentazione della riforma?
Risulta infatti difficile per chi ha la responsabilità di traghettare il
vecchio conservatorio nel nuovo (i dirigenti in primis, ma chiaramente
tutti i docenti e il personale nelle istituzioni) pensare di affrontare
e poter risolvere problemi anche pratici, come il realizzare e dare
efficace seguito ad una convenzione con un liceo musicale, oppure il
definire, organizzare regolamentare un dipartimento (all’interno del
nuovo conservatorio riformato!), se non c’è piena consapevolezza e
conoscenza dell’ambiente culturale dove queste decisioni e innovazioni
saranno calate, dell’ambiente che le dovrà assorbire.
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Mentalità e
ambiente culturale |
Parafrasando Cavour,
si dovrebbe dire che fatta la riforma dei Conservatori bisogna adesso
fare i docenti dei Conservatori riformati! Le istituzioni (dirigenti,
docenti, personale) vanno sostenute e aiutate a comprendere l’intima
natura della profonda trasformazione in atto. Interessa allora qui
mettere in luce alcuni atteggiamenti linguistici e mentali, molto
diffusi, che difficilmente potranno trovare cittadinanza nel
Conservatorio riformato.
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Atteggiamenti e
abitudini da cambiare: |
Sono ancora molti i
docenti che pensano, anche attraverso atteggiamenti linguistici, che:
a)
Il
lavoro del docente debba continuare a svolgersi solo nel chiuso della
propria aula, a tu per tu con i “propri” allievi cui “infondere” il
proprio personale sapere, la propria personale esperienza. Il docente
nel nuovo conservatorio dovrà invece necessariamente avere (e cercare)
un maggiore confronto con i colleghi e dovrà interagire con tutte le
strutture del conservatorio (organi, uffici), sforzandosi di
comprenderne il funzionamento per migliorare o implementare il proprio
servizio agli studenti (che chiedono sempre di più) e al conservatorio
nel suo insieme. Insomma il docente dovrà comprendere di far parte di un
organismo più ampio che lui stesso contribuisce a connotare e dal quale
riceverà input importanti e imprescindibili anche per il suo stesso
lavoro in classe. |
- non c'è solo il
lavoro che si fa in aula, occorre interagire con organi e colleghi
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b) Gli
allievi siano un “possesso” del docente di strumento o canto, dal punto
di vista della responsabilità didattico-formativa complessiva (talvolta
anche per la vita professionale esterna al conservatorio degli stessi
allievi). La cosa talvolta causa problemi agli studenti che devono
seguire, di più rispetto ad una volta, maggiori insegnamenti e con
diversi professori/maestri. Gli studenti pur trovando un punto di
riferimento importante e ineliminabile in alcuni docenti (se non in uno
solo), sono sempre e solo studenti del conservatorio. Questa mentalità
si riflette per esempio nella nuova concezione della prova finale, dove
a differenza di una volta il peso della disciplina e del docente
“principale” influisce molto meno (ma ci sono Conservatori che cercano
di resistere a questa “novità”). |
- superare il rapporto "di bottega" fra
docente unico e studente |
c) Le
discipline del conservatorio continuino culturalmente a caratterizzarsi
come “principali” e “complementari”. Questa mentalità tradisce la
volontà di differenziare ruoli, pesi e funzioni esistenti tra le diverse
discipline di un piano di studi, ponendo come fattore discriminante non
tanto il rapporto tra i contenuti formativi degli specifici insegnamenti
e gli obiettivi finali del corso di studi, quanto un principio di natura
storico-genetica ideologicamente superata e fuorviante. |
- superare la
gerarchia fra discipline |
d) Il
giudizio artistico (quando per esempio si valuta un’esecuzione musicale
in un esame di profitto o finale) non possa essere criticamente
inquadrato in predeterminati e precisi criteri di valutazione. Ancora è
diffuso il pensiero che il giudizio estetico, essendo “soggettivo” per
sua natura, non debba essere “motivato” e quindi in qualche modo si nega
che possa essere “giudicato” da altri (per esempio dai colleghi della
stessa commissione d’esame). Non è ancora matura in molti docenti la
consapevolezza della distinzione tra contenuto del giudizio estetico
(che è liberamente espresso dal singolo, e quindi è per principio
“inconfutabile”) e l’ambito, il limite, normalmente definito
collegialmente, entro il quale tale giudizio può e deve essere generato
ed espresso. |
- accettare la
possibilità di criteri di valutazione |
e) La
“libertà” di insegnamento significhi che il docente può insegnare quel
che vuole (e magari quanto e a chi vuole!). Tanto più nel sistema basato
sui crediti formativi gli obiettivi didattici sono quantitativamente
connessi al rapporto ore di lezione-crediti definiti dal Conservatorio
(nel range del DM 154/2009), mentre molti ancora credono che più sono i
crediti attribuiti ad un insegnamento, maggiore è la sua importanza! Si
fa ancora fatica a spiegare che la libertà didattica è esercitata dal
docente nell’autonoma scelta del metodo di insegnamento, non certo
nell’indipendente scelta (rispetto al contesto istituzionale) degli
orari, delle durate dei corsi di insegnamento, delle modalità di
verifica, ecc. |
- libertà
d'insegnamento non vuol dire prescindere da un contesto organizzativo |
f) La
competenza artistica o scientifica del docente discenda esclusivamente
dalla titolarità giuridica di servizio, e l’autorevolezza dei dirigenti
dalla carica pro-tempore che rappresentano. Fuori dall’Italia si ritiene
invece che ciò dipende anche (se non del tutto) dalla specifica storia
professionale di ogni persona, e dal possesso di carisma e
leadership, nel caso dei dirigenti. Questa concezione, purtroppo,
troppo spesso impedisce in Italia di sfruttare a pieno le competenze
interne “nascoste” esistenti in ogni istituzione.
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- il valore delle
persone non sta solo nel ruolo che ricoprono. Valorizzare le competenze
reali |
Il secondo grande
problema irrisolto, di natura più intellettuale, riguarda, come si
diceva, la carenza di strumenti di analisi della nuova situazione
creatasi con l’autonomia, e di conseguenza l’oggettiva difficoltà nel
trovare soluzioni adeguate in tempi coerenti e sostenibili. Analizzare
il nuovo, il futuro e il futuribile, richiede “occhiali” diversi da
quelli di una volta. Credo che i tempi lunghi ed estenuanti cui abbiamo
assistito nell’attendere il completamento della riforma possano essere
stati causati anche da questa carenza.
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Strumenti intellettuali
nuovi per guardare il presente e il futuro |
D’altronde non c’è
mai stata una riflessione seria a riguardo. I problemi erano sorti già
in fase di elaborazione degli statuti, poi sono esplosi nelle
discussioni, nelle liti sul metodo di lavoro e sulla definizione delle
cosiddette “declaratorie” (in verità sulla scelta e sulle nomenclature
dei campi disciplinari).
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In questo momento
credo che il rischio maggiore per il sistema sia la parcellizzazione di
soluzioni individuali a problemi che sono generali, e viceversa l’attesa
di indicazioni nazionali a problemi che sono stretta competenza delle
singole istituzioni. Il rischio è cioè che ogni istituzione cerchi e
trovi le proprie “soluzioni” in maniera disordinata, o che blocchi
decisioni importanti per aspettare inutilmente il “Godot” che indichi la
strada, creando una certa confusione nel sistema generale.
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Comprendere che cosa va
deciso al centro e che cosa in autonomia |
Non si è infatti mai
affrontato il problema nazionale della gestione complessiva delle
autonomie delle istituzioni, novità e caratteristica culturale
principale della riforma. Non si sono presi in considerazione, nei vari
ragionamenti sulla riforma, importanti problemi tipici della convivenza
(talvolta ristretta) nello stesso ambiente di più soggetti aventi la
stessa identica missione. Come limitare, per esempio, la “concorrenza
sleale” che si genera quando qualche istituzione adotta soluzioni un po’
troppo “spregiudicate”? come evitare e risolvere la sovrapposizione e la
sovrabbondanza di offerta didattica che spesso insiste sulla stessa
domanda?
Laddove questi problemi, e altri, sono stati affrontati, come nel Veneto
dove dal 2005 i sette Conservatori regionali hanno creato un Consorzio
per lo sviluppo di attività non altrimenti realizzabili dalle singole
istituzioni e per l’interscambio di informazioni ed esperienze, anche
quando l’esempio si è dimostrato concreto e positivo non è stato
adeguatamente studiato.
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Gestione dell'autonomia
e inefficienze del sistema |
Ma quali sono gli
aspetti tecnici problematici connessi alla realizzazione dei corsi
accademici riformati, quelli dove si riscontra una maggiore difficoltà a
comprenderli, proprio forse per la novità che essi rappresentano?
Vediamone alcuni.
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Aspetti tecnici nuovi,
da comprendere: |
a)
Definizione dei livelli di accesso ai corsi di Triennio: questi livelli
sono intimamente connessi ai livelli di uscita non solo dai licei
musicali, ma anche dai corsi di base che spesso si dimentica
rappresenteranno (chiuso il vecchio ordinamento conservatoriale) i
curricoli di riferimento per tutti i docenti di musica che prepareranno
(privatamente, nelle scuole di musica civiche e private, nelle scuole
medie ad indirizzo, nei licei non musicali che attiveranno in autonomia
corsi di strumento) gli aspiranti studenti ad entrare dopo il diploma di
scuola secondaria di II grado in Conservatorio. Ma mancando un progetto
integrato di sistema per la formazione preaccademica, ogni istituzione
farà un po’ come crede e si rischierà di avere differenze che potrebbero
mettere in crisi la credibilità del titolo di studio finale rilasciato
da Conservatorio a Conservatorio (con problemi per i riconoscimenti!) |
- livelli di accesso da
coordinare, in assenza di un disegno nazionale per i corsi di base |
b)
Nuovo
orario di servizio. Prima o poi passerà nel CCNL la proposta delle
250+100 ore. Ma non sarà facile far comprendere ai docenti che non si
tratta solo di una risistemazione numerica del monte orario di servizio
(piccola modifica per chi oggi fa 324 ore!), ma di un modo diverso di
organizzare il lavoro! Sarà difficoltoso, per chi dovrà farlo, lo stesso
regolamentare la cosa, cioè definire esattamente cosa andrà nelle 250 e
cosa nelle 100: bisognerà infatti definire come si articola esattamente,
anche dal punto di vista concettuale, il lavoro del docente nel nuovo
Conservatorio riformato, e questa è operazione ardua da fare in questo
momento. Quale rapporto tra insegnamento frontale e attività didattica
funzionale? quale quota oraria per la partecipazione agli esami, alle
attività di organizzazione della didattica (nelle strutture didattiche)?
come computare il lavoro di ricerca, di produzione? e molto ancora…
Credo che la soluzione a queste domande sarà delegata alle singole
istituzioni, che però non sono in grado in questo momento di agire
insieme con la dovuta coerenza. |
- nuovi compiti per il
docente, oltre a quello strettamente didattico |
c) Riconoscimenti
(di titoli e attività): la riflessione si è svolta nelle istituzioni e
le decretazioni interne si sono realizzate senza alcuna indicazione
nazionale (a parte quelle ricevute per il corso abilitante di didattica
a seguito del DM 137/2007). Le istituzioni hanno usano criteri molto
diversi, e in alcuni casi le soluzioni adottate sono state “scorciatoie”
per risparmiare incarichi interni o contratti esterni. Talvolta però si
creano antipatiche situazioni di “concorrenza sleale”, assai critiche
per l’immagine del sistema. Per esempio convenzioni con istituti (anche
di non pari grado), per materie che caratterizzano specificatamente i
Conservatori (strumento per esempio), riconoscimenti eccessivi di
attività pregresse all’iscrizione (svolte in corsi di studio “inferiori”
o in istituti di non pari grado al Conservatorio), esami di ammissione
al Triennio che non contemplano la verifica di tutte le competenze
richieste dai curricoli formativi precedenti riconosciuti dal
Conservatorio, ecc. |
- coordinare i criteri
di riconoscimento titoli e crediti: rischi di "concorrenza sleale" fra
istituzioni |
d) “Razionalizzazione”
delle sedi. Per affrontare questo complesso, importante e delicato
argomento, per una scelta da fare in un futuro non molto lontano che
riguarda la riorganizzazione della distribuzione nazionale delle sedi
dei Conservatori, bisognerà tenere conto della storia dei Conservatori
italiani e degli effettivi valori che ogni istituzione oggi rappresenta,
ma anche del contesto europeo della High Musical Education. Servirà
fornire ai politici cui spetterà la scelta finale un valido, concreto,
non ideologico e corporativo contributo conoscitivo sullo stato delle
cose e sulle reali possibilità del sistema AFAM. Si tratterà di
analizzare senza pregiudizi le soluzioni proposte per potenziare e
armonizzare il sistema, cercando di evitare soluzioni “sbrigative” che
smantellino le istituzioni ben funzionanti e radicate sul territorio.
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- distribuzione e
redistribuzione geografica: valutazione vera delle istituzioni, senza
scorciatoie |
Il problema in questo
momento è rappresentato dalla grande differenza tra la situazione
italiana e quella europea di riferimento, differenza sicuramente spesso
vistosa dal punto delle risorse economiche impiegate,
dell’organizzazione del lavoro, dei servizi e delle opportunità
lavorative offerte agli studenti (che provengono molto più spesso
dall’estero rispetto a quanto avviene in Italia), delle modalità di
reclutamento dei docenti.
Ma si tratta anche di differenze culturali nel modo di affrontare i
problemi. Per indicare la via “italiana” alla europeizzazione dei
Conservatori (e credo che all’estero abbiano anche molto da imparare da
noi!), servirà grande onestà e chiarezza intellettuale: ce la faremo?
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Differenze vistose fra
Italia ed Europa |
Insomma i docenti e
il personale dei Conservatori riformati forse ancora non sono stati
fatti, e quindi probabilmente la riforma attecchirà con tempi più lunghi
rispetto ai decreti ministeriali tanto attesi che concluderanno
normativamente l’iter della legge 508. Ma non per questo è impossibile
accelerare il processo, senza dover necessariamente aspettare le nuove
generazioni. Dipenderà come sempre dalle singole istituzioni. |
Necessità di "formare
alla riforma" |
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(24 dicembre 2009) |
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