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sei in: INTERVENTI>FATTA LA RIFORMA BISOGNA FARE I "RIFORMATI"

 

Fatta la riforma, bisogna fare i “riformati”: antropologia della 508

di Paolo Troncon
direttore del Conservatorio di Vicenza
e presidente del CCVEN (Consorzio dei sette Conservatori del Veneto)

  

Trienni ordinamentali, licei musicali, corsi di base… punti chiave di una riforma che nel decimo compleanno della legge 508 pare possa finalmente realizzarsi compiutamente dal finire del 2010.
 

Le cose di cui si è parlato molto...

Nelle interviste ai direttori, nei vari interventi apparsi su questo sito, sono state bene approfondite un po’ tutte le questioni più contingenti dell’attualità. Un’attualità rappresentata da urgenze che però da almeno sei anni sono sempre le stesse!
Chi infatti ha seguito da vicino lo sviluppo delle cose sa che da quando i Conservatori hanno scritto i propri statuti (in base al DPR 132/2003) e da quando è uscito il DPR 212/2005 si è molto parlato - nei luoghi istituzionali preposti, tra direttori, in molte istituzioni - di tutte le questioni oggi in discussione (ordinamento dei corsi accademici, contratto di lavoro, corsi di base, licei musicali, ecc.).
 

 

Non è però stato facile in questi anni mettere all’ordine del giorno, confrontarsi e discutere di altri argomenti, anche tecnici, che fin dal principio risultavano dirimenti, da affrontare subito per aiutare a far fronte alle profonde novità introdotte dalla riforma.

Per esempio: come materialmente gestire il nuovo assetto organizzativo delle istituzioni, i nuovi organi di governo, le strutture didattiche interne nel funzionale rapporto tra loro stesse e con gli organi di governo? Come adattare la nuova cultura didattico-formativa prevista per i corsi di alta formazione a quella che da decenni costituisce per molti l’abito mentale del conservatorio tradizionale? Come far convivere corsi di studio organizzati per crediti e con nuove regole “universitarie” in concomitanza con i corsi del vecchio ordinamento ancora basati sui regi decreti del 1918 e 1930? Come far assumere ai Conservatori il nuovo ruolo territoriale richiesto, anche dalla società, attraverso le convenzioni, le produzioni, le cooperazioni con enti culturali pubblici e privati circostanti? Come far comprendere tutte queste novità all’interno del Conservatorio, cioè ai docenti, al personale, agli studenti, e all’esterno ai rappresentanti degli enti locali, alle associazioni e al mondo culturale che collabora con il Conservatorio?
 

...e quelle di cui si  è parlato poco

Ogni istituzione, come si è voluto, ha trovato autonomamente le proprie risposte e soluzioni, con più o meno successo. Se è mancata la voglia di affrontare a livello di sistema tutti questi aspetti problematici della riforma è stato un po’ perché, erroneamente a mio parere, non sono state considerate queste delle vere e proprie “urgenze” (ce ne sono sempre altre, anche più prosaiche!, ma anche perché sono mancati gli strumenti concettuali idonei per analizzare e affrontare al meglio ed efficacemente la nuova situazione, gli originali problemi scaturiti soprattutto nell’applicazione dell’autonomia. Se l’obiettivo prefigurato sarà quello di creare un sistema integrato composto da 54 autonomi Conservatori (+21 IMP) e non tanto una semplice somma, o stratificazione di Conservatori, sarebbe un errore sottovalutare questo aspetto.

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Necessità di "fare sistema" anche sugli aspetti culturali e concettuali

Ma cosa è rimasto irrisolto, cosa in qualche modo influisce ancora oggi nel modo di affrontare e risolvere i problemi in discussione? Cosa è cambiato nella mentalità di chi lavora nelle istituzioni, dopo questi anni di sperimentazione della riforma?

Risulta infatti difficile per chi ha la responsabilità di traghettare il vecchio conservatorio nel nuovo (i dirigenti in primis, ma chiaramente tutti i docenti e il personale nelle istituzioni) pensare di affrontare e poter risolvere problemi anche pratici, come il realizzare e dare efficace seguito ad una convenzione con un liceo musicale, oppure il definire, organizzare regolamentare un dipartimento (all’interno del nuovo conservatorio riformato!), se non c’è piena consapevolezza e conoscenza dell’ambiente culturale dove queste decisioni e innovazioni saranno calate, dell’ambiente che le dovrà assorbire.
 

Mentalità e ambiente culturale

Parafrasando Cavour, si dovrebbe dire che fatta la riforma dei Conservatori bisogna adesso fare i docenti dei Conservatori riformati! Le istituzioni (dirigenti, docenti, personale) vanno sostenute e aiutate a comprendere l’intima natura della profonda trasformazione in atto. Interessa allora qui mettere in luce alcuni atteggiamenti linguistici e mentali, molto diffusi, che difficilmente potranno trovare cittadinanza nel Conservatorio riformato.
 

Atteggiamenti e abitudini da cambiare:

Sono ancora molti i docenti che pensano, anche attraverso atteggiamenti linguistici, che:

a)     Il lavoro del docente debba continuare a svolgersi solo nel chiuso della propria aula, a tu per tu con i “propri” allievi cui “infondere” il proprio personale sapere, la propria personale esperienza. Il docente nel nuovo conservatorio dovrà invece necessariamente avere (e cercare) un maggiore confronto con i colleghi e dovrà interagire con tutte le strutture del conservatorio (organi, uffici), sforzandosi di comprenderne il funzionamento per migliorare o implementare il proprio servizio agli studenti (che chiedono sempre di più) e al conservatorio nel suo insieme. Insomma il docente dovrà comprendere di far parte di un organismo più ampio che lui stesso contribuisce a connotare e dal quale riceverà input importanti e imprescindibili anche per il suo stesso lavoro in classe.

- non c'è solo il lavoro che si fa in aula, occorre interagire con organi e colleghi
 

b)    Gli allievi siano un “possesso” del docente di strumento o canto, dal punto di vista della responsabilità didattico-formativa complessiva (talvolta anche per la vita professionale esterna al conservatorio degli stessi allievi). La cosa talvolta causa problemi agli studenti che devono seguire, di più rispetto ad una volta, maggiori insegnamenti e con diversi professori/maestri. Gli studenti pur trovando un punto di riferimento importante e ineliminabile in alcuni docenti (se non in uno solo), sono sempre e solo studenti del conservatorio. Questa mentalità si riflette per esempio nella nuova concezione della prova finale, dove a differenza di una volta il peso della disciplina e del docente “principale” influisce molto meno (ma ci sono Conservatori che cercano di resistere a questa “novità”).

- superare il rapporto "di bottega" fra docente unico e studente

c)    Le discipline del conservatorio continuino culturalmente a caratterizzarsi come “principali” e “complementari”. Questa mentalità tradisce la volontà di differenziare ruoli, pesi e funzioni esistenti tra le diverse discipline di un piano di studi, ponendo come fattore discriminante non tanto il rapporto tra i contenuti formativi degli specifici insegnamenti e gli obiettivi finali del corso di studi, quanto un principio di natura storico-genetica ideologicamente superata e fuorviante.

- superare la gerarchia fra discipline

d)    Il giudizio artistico (quando per esempio si valuta un’esecuzione musicale in un esame di profitto o finale) non possa essere criticamente inquadrato in predeterminati e precisi criteri di valutazione. Ancora è diffuso il pensiero che il giudizio estetico, essendo “soggettivo” per sua natura, non debba essere “motivato” e quindi in qualche modo si nega che possa essere “giudicato” da altri (per esempio dai colleghi della stessa commissione d’esame). Non è ancora matura in molti docenti la consapevolezza della distinzione tra contenuto del giudizio estetico (che è liberamente espresso dal singolo, e quindi è per principio “inconfutabile”) e l’ambito, il limite, normalmente definito collegialmente, entro il quale tale giudizio può e deve essere generato ed espresso.

- accettare la possibilità di criteri di valutazione

e)    La “libertà” di insegnamento significhi che il docente può insegnare quel che vuole (e magari quanto e a chi vuole!). Tanto più nel sistema basato sui crediti formativi gli obiettivi didattici sono quantitativamente connessi al rapporto ore di lezione-crediti definiti dal Conservatorio (nel range del DM 154/2009), mentre molti ancora credono che più sono i crediti attribuiti ad un insegnamento, maggiore è la sua importanza! Si fa ancora fatica a spiegare che la libertà didattica è esercitata dal docente nell’autonoma scelta del metodo di insegnamento, non certo nell’indipendente scelta (rispetto al contesto istituzionale) degli orari, delle durate dei corsi di insegnamento, delle modalità di verifica, ecc.

- libertà d'insegnamento non vuol dire prescindere da un contesto organizzativo

f)    La competenza artistica o scientifica del docente discenda esclusivamente dalla titolarità giuridica di servizio, e l’autorevolezza dei dirigenti dalla carica pro-tempore che rappresentano. Fuori dall’Italia si ritiene invece che ciò dipende anche (se non del tutto) dalla specifica storia professionale di ogni persona, e dal possesso di carisma e leadership, nel caso dei dirigenti. Questa concezione, purtroppo, troppo spesso impedisce in Italia di sfruttare a pieno le competenze interne “nascoste” esistenti in ogni istituzione.
 

- il valore delle persone non sta solo nel ruolo che ricoprono. Valorizzare le competenze reali

Il secondo grande problema irrisolto, di natura più intellettuale, riguarda, come si diceva, la carenza di strumenti di analisi della nuova situazione creatasi con l’autonomia, e di conseguenza l’oggettiva difficoltà nel trovare soluzioni adeguate in tempi coerenti e sostenibili. Analizzare il nuovo, il futuro e il futuribile, richiede “occhiali” diversi da quelli di una volta. Credo che i tempi lunghi ed estenuanti cui abbiamo assistito nell’attendere il completamento della riforma possano essere stati causati anche da questa carenza.
 

Strumenti intellettuali nuovi per guardare il presente e il futuro

D’altronde non c’è mai stata una riflessione seria a riguardo. I problemi erano sorti già in fase di elaborazione degli statuti, poi sono esplosi nelle discussioni, nelle liti sul metodo di lavoro e sulla definizione delle cosiddette “declaratorie” (in verità sulla scelta e sulle nomenclature dei campi disciplinari).
 

 

In questo momento credo che il rischio maggiore per il sistema sia la parcellizzazione di soluzioni individuali a problemi che sono generali, e viceversa l’attesa di indicazioni nazionali a problemi che sono stretta competenza delle singole istituzioni. Il rischio è cioè che ogni istituzione cerchi e trovi le proprie “soluzioni” in maniera disordinata, o che blocchi decisioni importanti per aspettare inutilmente il “Godot” che indichi la strada, creando una certa confusione nel sistema generale.
 

Comprendere che cosa va deciso al centro e che cosa in autonomia

Non si è infatti mai affrontato il problema nazionale della gestione complessiva delle autonomie delle istituzioni, novità e caratteristica culturale principale della riforma. Non si sono presi in considerazione, nei vari ragionamenti sulla riforma, importanti problemi tipici della convivenza (talvolta ristretta) nello stesso ambiente di più soggetti aventi la stessa identica missione. Come limitare, per esempio, la “concorrenza sleale” che si genera quando qualche istituzione adotta soluzioni un po’ troppo “spregiudicate”? come evitare e risolvere la sovrapposizione e la sovrabbondanza di offerta didattica che spesso insiste sulla stessa domanda?
Laddove questi problemi, e altri, sono stati affrontati, come nel Veneto dove dal 2005 i sette Conservatori regionali hanno creato un Consorzio per lo sviluppo di attività non altrimenti realizzabili dalle singole istituzioni e per l’interscambio di informazioni ed esperienze, anche quando l’esempio si è dimostrato concreto e positivo non è stato adeguatamente studiato.

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Gestione dell'autonomia e inefficienze del sistema

Ma quali sono gli aspetti tecnici problematici connessi alla realizzazione dei corsi accademici riformati, quelli dove si riscontra una maggiore difficoltà a comprenderli, proprio forse per la novità che essi rappresentano? Vediamone alcuni.
 

Aspetti tecnici nuovi, da comprendere:

a)     Definizione dei livelli di accesso ai corsi di Triennio: questi livelli sono intimamente connessi ai livelli di uscita non solo dai licei musicali, ma anche dai corsi di base che spesso si dimentica rappresenteranno (chiuso il vecchio ordinamento conservatoriale) i curricoli di riferimento per tutti i docenti di musica che prepareranno (privatamente, nelle scuole di musica civiche e private, nelle scuole medie ad indirizzo, nei licei non musicali che attiveranno in autonomia corsi di strumento) gli aspiranti studenti ad entrare dopo il diploma di scuola secondaria di II grado in Conservatorio. Ma mancando un progetto integrato di sistema per la formazione preaccademica, ogni istituzione farà un po’ come crede e si rischierà di avere differenze che potrebbero mettere in crisi la credibilità del titolo di studio finale rilasciato da Conservatorio a Conservatorio (con problemi per i riconoscimenti!)

- livelli di accesso da coordinare, in assenza di un disegno nazionale per i corsi di base

b)     Nuovo orario di servizio. Prima o poi passerà nel CCNL la proposta delle 250+100 ore. Ma non sarà facile far comprendere ai docenti che non si tratta solo di una risistemazione numerica del monte orario di servizio (piccola modifica per chi oggi fa 324 ore!), ma di un modo diverso di organizzare il lavoro! Sarà difficoltoso, per chi dovrà farlo, lo stesso regolamentare la cosa, cioè definire esattamente cosa andrà nelle 250 e cosa nelle 100: bisognerà infatti definire come si articola esattamente, anche dal punto di vista concettuale, il lavoro del docente nel nuovo Conservatorio riformato, e questa è operazione ardua da fare in questo momento. Quale rapporto tra insegnamento frontale e attività didattica funzionale? quale quota oraria per la partecipazione agli esami, alle attività di organizzazione della didattica (nelle strutture didattiche)? come computare il lavoro di ricerca, di produzione? e molto ancora… Credo che la soluzione a queste domande sarà delegata alle singole istituzioni, che però non sono in grado in questo momento di agire insieme con la dovuta coerenza.

- nuovi compiti per il docente, oltre a quello strettamente didattico

c)    Riconoscimenti (di titoli e attività): la riflessione si è svolta nelle istituzioni e le decretazioni interne si sono realizzate senza alcuna indicazione nazionale (a parte quelle ricevute per il corso abilitante di didattica a seguito del DM 137/2007). Le istituzioni hanno usano criteri molto diversi, e in alcuni casi le soluzioni adottate sono state “scorciatoie” per risparmiare incarichi interni o contratti esterni. Talvolta però si creano antipatiche situazioni di “concorrenza sleale”, assai critiche per l’immagine del sistema. Per esempio convenzioni con istituti (anche di non pari grado), per materie che caratterizzano specificatamente i Conservatori (strumento per esempio), riconoscimenti eccessivi di attività pregresse all’iscrizione (svolte in corsi di studio “inferiori” o in istituti di non pari grado al Conservatorio), esami di ammissione al Triennio che non contemplano la verifica di tutte le competenze richieste dai curricoli formativi precedenti riconosciuti dal Conservatorio, ecc.

- coordinare i criteri di riconoscimento titoli e crediti: rischi di "concorrenza sleale" fra istituzioni

d)    “Razionalizzazione” delle sedi. Per affrontare questo complesso, importante e delicato argomento, per una scelta da fare in un futuro non molto lontano che riguarda la riorganizzazione della distribuzione nazionale delle sedi dei Conservatori, bisognerà tenere conto della storia dei Conservatori italiani e degli effettivi valori che ogni istituzione oggi rappresenta, ma anche del contesto europeo della High Musical Education. Servirà fornire ai politici cui spetterà la scelta finale un valido, concreto, non ideologico e corporativo contributo conoscitivo sullo stato delle cose e sulle reali possibilità del sistema AFAM. Si tratterà di analizzare senza pregiudizi le soluzioni proposte per potenziare e armonizzare il sistema, cercando di evitare soluzioni “sbrigative” che smantellino le istituzioni ben funzionanti e radicate sul territorio.
 

- distribuzione e redistribuzione geografica: valutazione vera delle istituzioni, senza scorciatoie

Il problema in questo momento è rappresentato dalla grande differenza tra la situazione italiana e quella europea di riferimento, differenza sicuramente spesso vistosa dal punto delle risorse economiche impiegate, dell’organizzazione del lavoro, dei servizi e delle opportunità lavorative offerte agli studenti (che provengono molto più spesso dall’estero rispetto a quanto avviene in Italia), delle modalità di reclutamento dei docenti.
Ma si tratta anche di differenze culturali nel modo di affrontare i problemi. Per indicare la via “italiana” alla europeizzazione dei Conservatori (e credo che all’estero abbiano anche molto da imparare da noi!), servirà grande onestà e chiarezza intellettuale: ce la faremo?
 

Differenze vistose fra Italia ed Europa

Insomma i docenti e il personale dei Conservatori riformati forse ancora non sono stati fatti, e quindi probabilmente la riforma attecchirà con tempi più lunghi rispetto ai decreti ministeriali tanto attesi che concluderanno normativamente l’iter della legge 508. Ma non per questo è impossibile accelerare il processo, senza dover necessariamente aspettare le nuove generazioni. Dipenderà come sempre dalle singole istituzioni.

Necessità di "formare alla riforma"
   
(24 dicembre 2009)  

 

 
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