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INTERVENTI

Sulla legge di stabilità 2013
con emendamenti che riguardano l'Afam

 

Pubblichiamo, nell'ordine in cui li abbiamo ricevuti, alcuni commenti "a caldo" sulle norme riguardanti i Conservatori di musica contenute nella "legge di stabilità 2013" (ex "Finanziaria"), approvata dal Parlamento il 21 dicembre 2012.

Paolo Troncon>>                                        Paolo Rotili>>                                                   Claudio Proietti>>

 

Paolo Troncon
direttore del Conservatorio "Steffani" di Castelfranco Veneto
presidente del Consorzio dei Conservatori del Veneto

 

Due veloci e sintetiche considerazioni, una di merito e una "politica".
 
Nel merito mi pare un testo "affrettato". Difficile capire logicamente, per esempio, come un biennio dell'Accademia di Danza possa essere equipollente ad una laurea magistrale di Musicologia. Nel complesso è stato annullato il lavoro che il CNAM stava pregevolmente svolgendo in maniera più scientifica, distinguendo equivalenza da equipollenza.

Trovo invece corretto e inevitabile il paragone tra vecchio diploma (per fortuna con la correzione del limite al 2012 aggiunta in extremis nel comma 107) e biennio. Certamente è meglio ottenere qualcosa che nulla, e quindi in questo momento preferisco vedere il mezzo pieno piuttosto che il mezzo vuoto.
 

In generale però non c'è da stare allegri, e io non me la sento di festeggiare. Ieri la 508 ha compiuto 13 anni e per ottenere delle "briciole", anche solo dei necessari chiarimenti, dobbiamo inserire emendamenti con "colpi di mano" in leggi che non c'entrano nulla con noi! C'è un problema enorme nella percezione e nella definizione delle priorità da parte sia del sistema AFAM, sia della politica (che è stata ed è quasi inesistente nei nostri confronti da molto tempo). Per esempio si sono dimenticati il CNAM che scade a fine mese. Quindi i Conservatori pagheranno ancora per un 2013 bloccato dal punto di vista operativo.

Poi c'è la vexata quaestio dei privatisti, con la sentenza TAR Lazio del 3 dicembre scorso che porta le lancette ancora una volta indietro nel tempo. Non festeggio perché i problemi reali, quelli che le istituzioni vivono tutti i giorni e quelli generali (governance, autonomia, sviluppo), sono differenti e più importanti delle equipollenze, e ancora lontanissimi da essere seriamente affrontati e risolti. 

 

Paolo Rotili
direttore del Conservatorio di Latina

La sensazione è che sia comunque un pasticcio.

Sicuramente si è fatta giustizia rispetto alla precedente equipollenza del vecchio  diploma al triennio di primo livello, che, personalmente ho trovato una ingiustizia.  Ma, non potendo rendere retroattiva la norma appena approvata, tutte le persone che in questi anni hanno conseguito il diploma di secondo livello – spendendo un bel po’ di soldi in più -  si ritrovano un titolo che da accesso agli stessi concorsi. Sarà comunque valutato come titolo in più, ma, insomma, non può certo rendere felici.  Penso poi a chi in questo momento frequenta il decimo anno di un corso di vecchio ordinamento: il suo compagno di studi appena diplomato si vede riconoscere un titolo superiore e lui dovrà iscriversi per forza ad un biennio per avere un titolo superiore. Questa equipollenza dei vecchi titoli ad una laurea specialistica, poi, non tiene per nulla conto della differenza tra, ad esempio, un diploma di canto e uno di direzione d’orchestra. I livelli di competenza, il numero di anni di studio sono quantitativamente e qualitativamente differenti, ma il valore legale è lo stesso.

La sensazione è che si sia  messa una tardiva “pezza”. E che il settore sia sempre in uno stato di precaria confusione dovuta alla cattiva applicazione della legge 508.

 

Claudio Proietti
direttore del Conservatorio "Paganini" di Genova

Claudio Proietti ha inviato il suo commento sotto forma di lettera al responsabile di questo sito. Lo pubblichiamo conservando il carattere epistolare del suo scritto, e omettendo le parti di carattere più personale.

Caro Sergio,

[...] eppure avrei voluto scriverti delle belle sensazioni con cui sono uscito dalle ultime due Conferenze dei Direttori; della percezione di trovarmi in mezzo a tante persone sensibili, coscienti e fortemente motivate ad attribuire un senso di “sistema” al nostro operare. Avrei voluto scriverti che - a parte le endemiche lentezze, le mille incognite, le diversità di vedute, gli arcaismi di certi ruoli – avevo l’impressione che una coscienza condivisa e una similitudine d’impostazione stesse assumendo la forma di una maggioranza all’interno di quel consesso e che quindi, sperabilmente, sarebbe potuto diventare un sentire condiviso nella maggioranza delle istituzioni.

E invece? E invece ti scrivo il giorno dopo l’approvazione della “Legge di stabilità”. Non voglio entrare nel merito. Anzi non posso. Perché, se devo dirtelo francamente, non ci ho capito niente. Nella mailing list dei Direttori si susseguono interventi che dicono ogni cosa. Dai catastrofisti ai minimalisti ognuno prevede cosa succederà da oggi in poi e l’unica cosa certa è che non c’è alcuna idea certa. Perché i mille (o diecimila) casi che saranno investiti dalle conseguenze di quell’emendamento (e della sentenza del TAR del Lazio che dà ragione ad alcuni privatisti esclusi dalla possibilità di sostenere esami in conservatorio), saranno ancora una volta casi personalissimi che richiederanno “invenzioni” per interpretarli e risolverli. In altre parole il caos normativo.

Ma di una cosa sono certo e di questa ti voglio scrivere, caro Sergio. Quello che è successo in Parlamento ha di colpo ridicolizzato e annacquato il lavoro di chi negli ultimi 13 anni si è stremato in discussioni infinite, si è consumato la mente e gli occhi sui computer per documentarsi e scrivere, ha lavorato di giorno e di notte per elaborare schemi e progetti, si è “inimicato” cento colleghi, ha donato migliaia di ore alla causa di una riforma “a costo zero” con l’unico obiettivo di affermare un principio sacrosanto: che lo studio della musica è un fenomeno complesso che riguarda l’intera personalità dell’individuo e non solo la sua abilità tecnica. Che lo studio della musica ha bisogno, dall’inizio alla fine, di continuità di metodo e di visione (a prescindere dal fatto se ciò debba o possa avvenire con più docenti o sempre con lo stesso) perché il musicista che giunge al termine dei suoi studi abbia consapevolezza e gioia totale della propria individualità, unica e irripetibile.

Tutto ciò è stato messo in crisi con un gesto irresponsabile, soprattutto per chi l’ha agito ma è incapace di valutarne le conseguenze per limiti culturali. Crede di aver vinto (per ora) chi si gloria della propria ignoranza, del proprio settarismo, della propria abilità a guardare nell’orticello che ha sotto i piedi (fatto di titoli che sono solo pezzi di carta, di scale e arpeggi, di passi d’orchestra, di due studi in più o in meno nei programmi d’esame) senza curarsi del mondo che c’è intorno e che lascia lavorare e vivere da musicisti veri soltanto coloro che sanno confrontarsi con chi ha studiato in Inghilterra, in Francia, negli Stati Uniti e ormai anche in Cina e in Turchia.

Con amicizia.

Claudio Proietti

22/23 dicembre 2012

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