AlmaLaurea: una grande occasione di riflessione
A colloquio con Alvaro Lopes Ferreira,
docente di Musica da camera al Conservatorio dell'Aquila, componente del team
italiano dei Bologna Experts
Sergio Lattes - Vorrei dare uno sguardo
con te, che sei un musicista, a quali possono essere i significati di una
adesione ad AlmaLaurea delle istituzioni del nostro settore, con le loro
particolarità.
Alvaro Lopes Ferreira - In termini generali, il vantaggio per il sistema di formazione
musicale nei Conservatori, ovvero la possibilità di rilevarne la qualità e le
ricadute occupazionali, mi sembra evidente. AlmaLaurea è uno strumento di
grandissima efficacia, mette in condizione chi eroga il servizio di formazione
di verificare se sta lavorando bene oppure no. Il discorso di AlmaLaurea non
riguarda solo la verifica dell’occupabilità, ma si integra con il profilo dei
laureati, che è elaborato in parte sulla base di dati amministrativi che vengono
trasmessi dalle istituzioni al sistema AlmaLaurea, dall’altro con un
questionario estremamente denso di informazioni che i laureati compilano al
momento in cui concludono il loro percorso formativo.
Chiaramente questo diventa una specie di grande valutazione complessiva del
sistema, fatta in maniera omogenea sul territorio nazionale, che permette anche
di confrontare le migliori pratiche delle varie istituzioni in ordine a singole
prospettive o in ambito più generale. Per esempio per valutare la redditività
della forza da lavoro impiegata, per sapere se viene utilizzata per ampliare
l’offerta formativa, o magari per focalizzare l’attenzione sugli ambienti
tradizionali del lavoro delle nostre istituzioni.
Vedo AlmaLaurea come una grandissima occasione di riflessione, che estende con
coerenza le procedure di assicurazione interna della qualità. I nuclei di
valutazione si stanno estendendo alla generalità delle nostre istituzioni, e a
quanto mi risulta non si stanno limitando alla relazioncina annuale che sono
tenuti a fare al Ministero, dove forse nessuno la legge. Si stanno probabilmente
attrezzando con obiettivi più ampi, anche in virtù del fatto che su questo
specifico argomento abbiamo già avuto un paio di convegni a livello nazionale
promossi dal gruppo dei Bologna Experts. Il seminario di Trieste (dicembre 2007)
sulla qualità vedeva all’epoca solo 4 o 5 nuclei di valutazione esistenti nei
Conservatori e negli Istituti pareggiati e qualcuno di più nelle Accademie. Oggi
la situazione è nettamente migliorata, anche perché abbiamo colto quella volta
l’occasione di un incontro dei Direttori in modo da coinvolgerli - sia pure a
latere, perché il convegno era destinato ai rappresentanti per il “processo di
Bologna” nelle varie istituzioni. Dopo il 2007 c’è stata una generalizzata
costituzione di nuclei di valutazione: non voglio dire che tutto deriva da quel
seminario, ma certamente il fatto di mettere sul tavolo in una platea nazionale
il problema dell’assicurazione interna della qualità ha permesso non solo di
realizzare un obbligo normativo (avere i nuclei di valutazione che fanno quello
che devono fare, fra cui i questionari anonimi per gli studenti) ma di ampliarne
gli obiettivi.
Il questionario che voi state elaborando come gruppo di lavoro in
AlmaLaurea è quello destinato ai diplomati nel momento in cui si diplomano?
Sì, è esattamente il questionario che trovi sul sito di AlmaLaurea per i
laureati, ovviamente rivisto, in primo luogo per includere il sistema Afam con
le sue specifiche tipologie di titoli, con la casella giusta per ogni diploma, e
anche la possibilità di indicare altri titoli posseduti sia in ambito
universitario che in ambito Afam; poi ci sono delle componenti specifiche che
nel tracciato dei laureati non ci sono e che quindi vanno adattate. Questa
attività sul questionario è già praticamente conclusa, si tratta solo di
ratificarne il lavoro.
L’altro versante è quello del curriculum?
Come è noto, Almalaurea offre ai laureati la possibilità di mettere in linea il
proprio curriculum. Per fare un esempio: se io come impresa sto cercando un
esperto di musicoterapia, che abbia competenze di musiche folk e sia disposto a
fare un periodo di lavoro in un paese dell’est, sto cercando fra pochissime
persone. Queste persone attualmente non le trovo nel data-base Almalaurea in
quanto diplomate in Conservatorio. Le troverei soltanto, per continuare con
questo esempio, nel caso in cui un diplomato Afam avesse fatto in ambiente
universitario una tesi in musicoterapia: così scoprirei anche che è chitarrista,
piuttosto che pianista, piuttosto che compositore.
Quello che ora stiamo facendo è invece individuare le categorie che distinguono
le nostre tipologie lavorative. Questo è naturalmente più complicato, perchè si
tratta di individuare categorie strutturate, in modo da rendere possibile una
ricerca per campi a un terzo, per esempio un’impresa. Oggi il curriculum dei
musicisti – che si tratti di professionisti, ex studenti, studenti appena
diplomati, studenti in via di completamento del loro corso di studi - è fatto
nei modi più disparati: può essere molto tecnico per date, può essere un
curriculum in Europass, un curriculum stile sala da concerto, più o meno breve o
più o meno lungo, con citazione di commenti di critici e di stampa eccetera. Si
tratta di tirar fuori, da questa congerie di curricula così diversi, delle
categorie che permettano una ricerca più raffinata e al tempo stesso
automatizzata, che è lo strumento offerto dal data-base di Alma Laurea.
E’ un lavoro abbastanza complesso, che permette però di far emergere anche delle
caratteristiche dei nostri diplomati cui non sempre si dà la dovuta attenzione.
Per esempio la propensione al lavoro di gruppo, che nei mestieri musicali è
spesso componente fondamentale, è una caratteristica ben valutata in un
curriculum professionale; e così le competenze linguistiche.
Per quel che riguarda il monitoraggio degli esiti occupazionali, questo
implica che poi si facciano dei questionari anche a distanza di anni dopo il
titolo.
Alma Laurea ultimamente sta usando un sistema con intervista prima telematica, e
solo nei casi in cui questa non dia sufficienti risultati dal punto di vista
statistico si procede al contatto telefonico diretto; ma normalmente fino a
pochi anni fa, contattavano tutti i laureati iscritti ad Alma Laurea, un numero
rilevantissimo di ex studenti, a 1, 3 e 5 anni dopo la laurea, facendo loro una
serie di domande.
E questo questionario per il nostro ambito è stato già definito?
Non ancora. Similmente a quella famosa ricerca del Censis fatta nel 2003 per
verificare l’occupabilità degli studenti Afam, si tratta di individuare le
domande pertinenti: la congruità del lavoro che stai facendo rispetto alla
formazione che hai ricevuto, il grado di soddisfazione, il fatto che tu sia o
meno in ricerca di altro lavoro, che tu sia ancora studente o no, che tu stia
continuando a fare dei percorsi di formazione contemporaneamente al lavoro, ecc.
Tenendo fermo il rapporto annuale che Alma Laurea fa per i laureati, e
immaginando il nostro settore come una particolare facoltà, si deve concepire
come potrebbe essere per i nostri diplomati il questionario per una verifica a
1, 3, 5 anni dal conseguimento del titolo.
Chiaramente con attenzione alle specificità. Per esempio l’Accademia Nazionale
d’Arte Drammatica, che fa già un’autonoma ricerca in questo senso, ha già
elaborato degli studi sull’occupabilità dei suoi diplomati. Si è verificato che
una stabilizzazione consistente dell’attività lavorativa si ha in un arco di
tempo più lungo dei 5 anni, perché c’è una fase sperimentale d’approccio al
mondo del lavoro abbastanza lunga. Ma hanno anche scoperto che nei 10 anni dal
conseguimento del titolo tutti, ma tutti proprio i loro diplomati lavorano con
piena soddisfazione. Questo vorrà dire che probabilmente si dovrà decidere se la
cadenza 1, 3, 5 anni dal titolo è appropriata al nostro caso o se sono
necessarie cadenze temporali diverse per avere un quadro significativo. E’ bene
ricordare anche un caso inverso, quello dell’ISIA. Si vede nell’indagine del
Censis, e viene puntualmente confermato da ogni rapporto sull’ occupabilità dei
diplomati ISIA, che questi vengono invitati a lavorare dalle aziende prima
ancora di essere diplomati.
Questo avviene abbastanza spesso in certi settori del nostro ambito, per
esempio nel canto.
Senza dubbio. E credo che la situazione potrà migliorare per la generalità dei
nostri diplomati se aumenta la nostra capacità di comunicare ai datori di lavoro
(intendendo una platea non solo specifica ma allargata) le loro competenze, le
loro capacità.
In un lavoro così delicato dal punto di vista qualitativo, come quello
della professione musicale, intendo della professione “performativa”, dove tutto
si muove su numeri piccolissimi e su valutazioni strettamente qualitative
(quindi su conoscenze dirette, opinioni di persone ritenute affidabili o
esperte, concorsi, di questo genere sono gli strumenti sui quali un direttore
artistico si muove), è pensabile che uno strumento “obiettivo” come un data-base
possa inserirsi nel gioco?
Il dubbio è legittimo. E’ evidente che ci sarà sempre qualcosa di più raffinato
in questo genere di scelte. Se hai un obiettivo da raggiungere in un particolare
ambito di repertorio, non chiami uno perché genericamente ha delle competenze,
ma chiami proprio quella persona perché sai che quella è quella giusta. Però si
può fare anche la considerazione opposta, che cioè in realtà la cerniera tra
domanda e offerta di lavoro in questo specifico ambito esiste, e sono le
agenzie, che lo fanno in modo non sempre trasparente, né efficiente.
E’ possibile immaginare che uno strumento pubblico e “trasparente” si
inserisca in questo gioco?
Diciamo che sarebbe un concorrente temibile. In questo tipo di realtà un po’
autoreferenziale, soggetto a valutazioni totalmente discrezionali (e non voglio
usare definizioni più ingenerose, che spesso però sono meritate) uno strumento
che consenta gradi di valutazione (e di autovalutazione) di competenze, di
abilità, di percorsi, di repertori, che possa affiancare l’attuale sistema di
reclutamento e magari favorirne un miglioramento qualitativo, in definitiva lo
stabilirsi di parametri qualitativamente elevati non potrà che costituire un
argine a certi comportamenti deteriori.
Ci sono poi dei casi “intermedi” che possono essere significativi. Se tu devi
costituire non un’orchestra stabile, ma per esempio l’orchestra per un musical,
cioè un tipo di realtà che nel nostro sistema è poco diffusa o quantomeno
ridotta, e devi andare a scovare le competenze di musicisti, cantanti che siano
anche performer, che sappiano salire sul palco e sappiano starci sopra bene,
oltre a suonare bene, lì per esempio può essere determinante avere la
possibilità di accedere ad una banca dati che ti permette di inserire come
chiavi di ricerca competenze che non siano soltanto strettamente musicali o
qualitativamente definite…
Se non altro può essere anche la base per fare la selezione su una base
più ampia; anche nel caso dell’audizione per un determinato ruolo, comunicarla a
un numero elevato di candidati che abbiano effettivamente determinate
caratteristiche, consente di fare la selezione in modo più efficiente.
E quindi qualitativamente più elevata. C’è un dato che forse val la pena di
segnalare: le imprese si rivolgono alla banca dati di Almalaurea con grande
continuità. Hanno libertà di ricerca nella banca dati dei laureati, pagano
soltanto quando vogliono il contatto, cioè quando vogliono l’indirizzo della
persona da contattare per convocarla per una selezione, per esempio. E l’anno
scorso Alma Laurea ha venduto 400.000 contatti.
Al di là dei datori di lavoro “generici” che possano essere tangenzialmente
interessati alle competenze dei nostri studenti (e comunque è un argomento non
di poco conto), un discorso che merita di essere approfondito riguarda che cosa
cerca un datore di lavoro oggi: spesso cerca delle caratteristiche che invece di
essere centrate su una competenza tecnica specifica, hanno invece carattere
trasversale, e non coincidono con gli obiettivi formativi delle facoltà
universitarie. Ebbene queste caratteristiche sono presenti e organiche alla
nostra formazione: per esempio la autodisciplina, la capacità di lavoro, la
creatività, la capacità di team work , ecc. sono caratteristiche che molto
spesso i nostri studenti hanno in massimo grado per necessità strutturale dello
studio che fanno, laddove magari gli studenti universitari non le hanno o se le
devono costruire o se sono fortunati le hanno come risorsa personale.
Questa è una considerazione interessante, perché consideriamo talvolta i
nostri studi inferiori agli altri e invece…
E’ esperienza comune, per fare un altro esempio, che i nostri studenti nel
momento in cui seguono una formazione da noi estremamente impegnativa in
Conservatorio e sono contemporaneamente iscritti all’Università, invece di
essere penalizzati negli studi universitari perché magari hanno meno tempo degli
altri, spesso sono brillantissimi perché sanno organizzare il lavoro.
In conclusione vorrei toccare un argomento difficile. Se si riuscirà col
tempo ad avere una verifica di dove vanno effettivamente a finire i nostri
diplomati - cosa che in ogni caso sarebbe di grande interesse - esiste tuttavia
il rischio che poi le istituzioni “rimodellino” gli obiettivi formativi e i
profili in uscita appiattendosi sul mercato e lasciando cadere i profili
“storici” che caratterizzano l’identità dei Conservatori?
Sinceramente penso di no. La verifica dell’occupabilità ti offre dei dati che
consiglio accademico, staff dirigente, collegio professori di un’istituzione
analizzeranno traendone delle conseguenze. Ma ci sono delle attività primarie
che caratterizzano la nostra stessa esistenza e specificità che sarebbe
inimmaginabile abbandonare; anche perché io credo che le nostre istituzioni
siano attrezzate, in virtù anche di una stagione di nuovi professori di
altissimo profilo, a fare un lavoro di eccellenza formativa in ambiti
tradizionali dei Conservatori piuttosto che delle Accademie. Non si deve del
resto pensare soltanto allo sbocco occupazionale italiano, come è ovvio. Una
competenza di altissimo profilo è facilmente spendibile, nel nostro mestiere, in
qualunque paese del mondo.
A questo proposito non smetto di meravigliarmi della insipienza ministeriale nel
non investire sulle nostre competenze didattiche nella formazione dei docenti di
educazione musicale e di strumento musicale (consolidate da 30 anni di
sperimentazione di grande livello) e che si possa affermare il principio, come
sta accadendo, che si attiva un corso soltanto se c’è la sicurezza del posto di
lavoro in uscita. Ma dove sta scritto che il nostro studente voglia lavorare
soltanto nel sistema pubblico, piuttosto che nel sistema privato di formazione,
piuttosto che all’estero? Insomma i nostri studenti sono più intelligenti ed
hanno più risorse di quanto non si creda, e non hanno bisogno di essere tenuti
sotto tutela per tutta la vita.
Visto e considerato che a grande richiesta è stata riveduta la questione
dell’incompatibilità con l’Università, questo vuol dire che i Conservatori,
magari senza confessarselo, pensano di avere il destino di scuole per amatori?
No, io sono abbastanza convinto di no. Non credo sia stata una richiesta di
sistema, ma un’iniziativa, magari condivisa largamente, e tuttavia un’iniziativa
molto “particulare”. Diciamo che, nella nostra esperienza comune, la frequenza
universitaria non ha, in generale, pregiudicato l’eccellenza nel nostro settore,
cioè doppia iscrizione non implica di per sé una diminuzione di efficacia
nell’ambito musicale e artistico.
Però significa una minore fiducia in quello che fai: per non correre
rischi intanto mi laureo.
Penso che sia più un portato delle famiglie, che dicono: ti lascio studiare
musica, ti lascio approfondire la tua passione, ma intanto porti a casa la
laurea. Questo l’ho sentito molto spesso.
Certo, finchè manca la possibilità di certificare statisticamente che i nostri
diplomi sono perfettamente in grado di dare un credibile sbocco occupazionale ai
nostri studenti, in mancanza della certezza in termini di occupabilità, la
percezione comune è che l’esito occupazionale sia meno sicuro di quanto non sia
in realtà se si vanno a vedere i numeri. Ovviamente la coerenza fra il lavoro che
si trova e gli studi fatti dev’essere intesa in un senso più ampio di ciò a cui
si pensa di solito quando si dice “ho studiato pianoforte, faccio il pianista“.
aprile 2011
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