HOME PAGE
 
 CHI E PERCHE'
 
 INTERVENTI
 
 DOCUMENTI
         - noi e l'Europa
         - dall'Italia
         - dalla stampa
         - oltre la musica
            (documenti e articoli
             d'interesse generale)
         - appuntamenti
 
 DIDATTICA
 
 RISORSE
 
 ARCHIVIO
 
 MAPPA
 
ASSOCIAZIONE PER L'ABOLIZIONE DEL SOLFEGGIO PARLATO
L'alta formazione musicale in Italia

INTERVENTI

I CONSERVATORI, L'ITALIA, L'EUROPA:
RISPOSTA A PAOLO TRONCON

di Giuseppe Furlanis

 

Paolo Troncon, direttore del Conservatorio di Castelfranco Veneto e presidente del Consorzio tra i Conservatori del Veneto, ha recentemente pubblicato su questo sito un intervento riguardante lo stato e il futuro del sistema dei conservatori italiani nell’ottica europea.

Il suo testo
contiene una serie di riflessioni che egli aveva anche inviato per mail al presidente del CNAM, Giuseppe Furlanis. Il quale gli ha risposto con una lunga lettera nella quale affronta con ampio respiro tutta la tematica dell’Afam e della sua riforma.

Abbiamo ricevuto dal mittente e dal destinatario l’autorizzazione a pubblicare questa lettera, e li ringraziamo entrambi. Lo facciamo volentieri poiché ci sembra che per ampiezza, per completezza della trattazione e per autorevolezza dello scrivente questo intervento possa essere molto utile per una seria discussione su temi decisivi per il futuro dell’AFAM. Discussione oggi non più procrastinabile, visto che il sistema fronteggia problemi a cui vanno date risposte urgenti.

Manteniamo fedelmente il carattere epistolare del testo. Giuseppe Furlanis ovviamente vi parla a titolo personale e non a nome del CNAM.


Gli incisi sommari nella colonna di destra sono stati aggiunti per comodità del lettore e non sono dell'autore.

~ ~ ~ 

Caro Paolo,

 

ti ringrazio per avermi inviato la tua analisi sullo stato del sistema dei Conservatori italiani nell’ottica europea, alla quale ti rispondo volentieri approfittando di un viaggio in treno.

 

Voglio esprimerti alcune mie considerazioni che spero possano essere utili anche per una riflessione sul ruolo della conferenza dei direttori. Chiaramente scrivo come Giuseppe Furlanis e non come presidente del CNAM. Ci tengo a chiarirlo, perché quando scrivo o partecipo a incontri o a tavoli tecnici vari, come presidente del CNAM non porto la mia posizione ma quella del Consiglio.

 

Con la tua mail sviluppi una riflessione sulla posizione dei conservatori italiani nel quadro generale della formazione musicale in Europa.
 

 

I conservatori italiani hanno una grande tradizione storica che ha portato sicuramente nel passato, ma anche in questi anni, ad una riconosciuta qualità sebbene non si capisca di chi sia il merito, probabilmente più della passione e dell’impegno di singoli docenti, studenti e direttori, piuttosto che dell’efficacia del modello organizzativo o del sostegno politico che si è sempre dimostrato evanescente.

La tradizione poggia più sulla qualità delle persone che sui modelli formativi

Infatti sebbene arte e musica abbiano avuto, e tuttora hanno, un ruolo significativo nello sviluppo culturale ed economico del nostro paese, ben poco si è fatto per garantire modelli formativi efficaci e risorse economiche adeguate; non a caso si è pensato di riformare l’intero comparto dell’alta formazione artistica e musicale a costo zero. È anche vero, però, che questa ricca tradizione pesa molto sui processi di rinnovamento.
 

 

Inoltre va riconosciuto che le aspettative nei confronti della legge di riforma erano più indirizzate al raggiungimento dello status giuridico ed economico dei docenti delle università che ad un effettivo ripensamento della formazione musicale nel nostro paese: un ripensamento che avrebbe avuto la necessità di risolvere prima la questione della formazione di base e poi intervenire nell’area terziaria.

E' mancata una riforma complessiva dell'educazione musicale 

In ogni caso andava valorizzata la musica in tutte le scuole, di diverso ordine e grado. Come più volte ho avuto modo di dire, la scelta di escludere la musica nella formazione secondaria a fronte dell’avvio dei licei musicali non mi è parsa una grande conquista. Per garantire un futuro di eccellenza ai nostri conservatori e permettere ai nostri diplomati di esercitare la professione del musicista è indispensabile che si sviluppi una più generale e diffusa cultura musicale. Non avremo né conservatori di qualità, né una formazione musicale di qualità se chiuderanno le orchestre e i teatri. La musica, così come l’arte rappresentano una patrimonio che, come sappiamo bene, è alla base dell’identità culturale del nostro paese che è tuttora percepito nel mondo come il “luogo” dell’arte e della musica.

Assenza della musica dal liceo. Eppure l'Italia è ancora vista come "luogo" della musica

Per questo suo patrimonio, l’Italia dovrebbe possedere dei modelli di riferimento per tutta la formazione musicale europea; viceversa si tende a guardare più alla Francia, o alla Germania, o ai paesi dell’Est, perché di fatto in questi paesi la formazione musicale gode di un maggior riconoscimento. Il fatto che da ben tredici anni attendiamo l’applicazione di una legge di riforma, che a questo punto è già vecchia e superata, è una chiara testimonianza di come nel paese della musica, cioè il nostro, la formazione musicale sia oggetto di un ben scarso interesse.
 

 

Inoltre, come penso tu possa convenire, la presenza di 76 istituzioni musicali (Conservatori+IMP+SienaJazz+Saint Louis) non è il frutto di una programmazione finalizzata a garantire una formazione musicale adeguata e distribuita in modo efficace nel nostro paese, ma è il risultato di logiche di politica locale che spesso hanno fatto più danni che offerto opportunità. Condizione, questa, presente anche per le accademie di belle arti, in particolare per le cosiddette “pareggiate”, che in alcuni casi rivelano una scadente offerta formativa. Inoltre la formazione musicale è stata vista per un numero elevato di giovani come una formazione complementare, così come è chiaramente rivelato dalla massiccia presenza di studenti che frequentano contemporaneamente conservatori e altre istituzione formative, nonché dalla presenza di un numero elevato di “privatisti”; presenza, questa, che sembrava superata con la riforma mentre è stata ora riconfermata dal recente provvedimento ministeriale, una scelta che è apparsa inspiegabile con non pochi dubbi sugli effettivi beneficiari.
 

Mancanza di programmazione nello sviluppo del sistema.
 


"Complementarità" della formazione musicale: i privatisti

Giustamente, per comprendere il futuro dei nostri conservatori, tu sposti l’attenzione sul piano europeo, visto che dopo il “Processo di Bologna” si è deciso di procedere secondo alcune linee comuni. Un percorso che dovrà necessariamente avvicinare le politiche della formazione dei diversi paesi europei, sebbene sia importante che venga garantito il mantenimento di alcune peculiarità che permettano di rafforzare le identità culturali dei singoli paesi.
 

 

Rispetto ai dati da te forniti, sono più preoccupato per l’elevato numero delle istituzioni (54+20+2=76 alle quali si aggiungeranno sicuramente altre scuole private che già hanno chiesto il riconoscimento) rispetto all’elevato numero degli studenti e del loro rapporto con la popolazione. Così come mi preoccupa l’elevato numero di docenti presenti negli organici; perché temo che il parametro di riferimento del numero di studenti per docente, possa comportare non pochi problemi nel momento in cui l’ANVUR avvierà la valutazione del nostro sistema. Nel quadro generale dei tagli imposti dalla attuale crisi economica, che tutti speriamo sia congiunturale ma che svela tratti strutturali, sarà difficile da difendere la tipicità della formazione musicale che richiede un rapporto numerico estremamente basso. Inoltre come tu metti in evidenza, “tante” istituzioni comportano “tanti” organi di governo.
 
Molte istituzioni, molti docenti, molti organi di governo

Inoltre mi chiedo se sia effettivamente efficace e funzionale mantenere la dualità direttore e presidente. Costa e crea problemi. Se, come molti indicatori sembrano affermare, dobbiamo andare verso una razionalizzazione dell’offerta formativa, dobbiamo essere in grado di governarla, altrimenti saremmo costretti a subirla. Non è detto che una razionalizzazione dell’offerta formativa comporti un peggioramento della qualità, anzi sono convinto del contrario.
 

La governance delle istituzioni

Più che il numero degli studenti, che sono certo si equilibrerà con il procedere della riforma, mi preoccupa il carattere caotico che, in questa fase, caratterizza l’applicazione della riforma stessa. Questa procede in assenza di adeguate forme di programmazione, di coordinamento e di valutazione. Condizione che si mantiene anche per gli indirizzi specialistici che avrebbero richiesto un’offerta formativa chiaramente differenziata in ragione delle peculiarità delle singole istituzioni e dei loro contesti territoriali e culturali.

Sviluppo caotico della riforma, necessità di coordinamento e di programmazione nazionale...

Ritengo che il principale compito della conferenza dei direttori doveva essere, e dovrebbe essere, proprio questo, e cioè quello di coordinare lo sviluppo didattico delle istituzioni sulla base di una programmazione nazionale. Mi auguro, così come ti ho detto, che iniziative che hanno cercato di sperimentare forme di cooperazione nuove, come nel caso del polo di Verona, possano essere parte di un progetto di coordinamento più generale, in modo che queste stesse esperienze diventino patrimonio comune.
 

 

Inoltre il coordinamento è prezioso per lo sviluppo della ricerca (che caratterizza l’area terziaria) e dei dottorati o, per essere precisi, dei corsi di formazione alla ricerca. Ambito formativo rispetto al quale i conservatori al momento hanno presentato un solo progetto (conservatorio di Bari) che nonostante il parere favorevole del CNAM non ha trovato sviluppo, probabilmente per motivazioni interne al Conservatorio proponente.

...anche per la ricerca

Il tema della ricerca deve essere affrontato con più determinazione perché rappresenta uno degli aspetti più significativi per lo sviluppo del sistema. Siamo ancora, gravemente, esclusi dal finanziamento che il MIUR destina alla ricerca; il ministro si era impegnato a garantire risorse anche per l’AFAM. A che punto siamo? Troppo spesso gli impegni assunti si disperdono velati dal trascorrere del tempo, tra questi non si sa più se l’amministrazione abbia accolto e attuato la richiesta di attivazione anche nel sistema AFAM dei TFA, così come chiesto dalle istituzioni, da gran parte dei direttori e dal CNAM.
 

 

Nella tua mail, metti in evidenza alcune anomalie relative al funzionamento didattico, prima fra tutte quella dell’inizio dell’anno accademico, rimasto al primo novembre mentre ormai le istituzioni, strutturate in semestri, di fatto anticipino la data di inizio delle lezioni. Condizione che però, come tu metti in evidenza, va incontro a non pochi problemi, a partire proprio da quello relativo ai trasferimenti. Il problema è che, sebbene siamo inseriti nell’area terziaria, valgono tuttora le vecchie norme, inoltre si mantiene la “contrattualizzazione” con i suoi riflessi sulla gestione del personale e sulle forme di reclutamento e, ancor più grave, la riforma è applicata in una condizione di indeterminatezza normativa, in cui vecchie norme si sovrappongono a quelle nuove, svelando spesso gravi incongruità. Vorrei però mettere in evidenza che nonostante la consapevolezza dei tanti problemi ritengo positivi i risultati raggiunti in questi anni che hanno permesso di aggiornare i percorsi formativi e di accrescere la credibilità delle nostre istituzioni nel generale sistema universitario, o più propriamente dell’alta formazione.
 

I conservatori sono istruzione terziaria, ma le norme restano in parte quelle della scuola

Ritengo che un po’ di ottimismo, ovviamente senza perdere il necessario senso critico, sia indispensabile per guardare con fiducia, progettare e costruire il nuovo. Per tale motivo sarei propenso a rovesciare l’enunciato per il quale i pessimisti guardano al mezzo bicchiere vuoto e gli ottimisti al mezzo pieno, perché è sicuramente più interessante la parte del bicchiere ancora vuota, rispetto alla quale possiamo decidere se, con cosa e come intervenire. È infatti questa, quella vuota appunto, la parte che chiede di farci soggetti attivi e, come tale, è la più affascinante sebbene non priva di rischi.

L'incompiutezza della riforma può essere una opportunità positiva

La ricchezza del patrimonio storico e delle tradizioni rappresenta sicuramente un valore prezioso, ma questo non deve velare il nostro sguardo verso orizzonti futuri; orizzonti ai quali guardare con interesse per capire i cambiamenti e farsi soggetti attivi. Il saper immaginare e progettare il futuro è stato ed è alla base di ogni forma di sviluppo, sociale, culturale, economico. Pertanto la tradizione non può e non deve essere intesa come un dato immodificabile; anzi proprio il suo costante aggiornamento la rende vitale e la preserva.

La tradizione non dev'essere un totem, nè una maschera per corporativismi

Se, infatti, volgiamo il nostro sguardo al passato, la tradizione ci si presenta come una continua evoluzione, un sommarsi di trasformazioni a volte capaci di modificare in modo radicale lo stato delle cose e le sue regole, e questo è valido anche per la musica. Quando il “mito” della tradizione viene utilizzato per mantenere tutto come era o com’è, è la fine della tradizione stessa, e quasi sempre è la spia di corporativismi più o meno svelati. Questo vale anche per il nostro tormentato sistema AFAM, attraversato da una moltitudine di problemi, ma al tempo stesso caratterizzato da uno straordinario processo di riforma che permette di definire cosa sarà la formazione nell’arte, nella musica, nel teatro, nella danza, nel design, nei prossimi anni.
 

 

Una riforma che ci chiede di farci soggetti attivi ma anche di avere la capacità e il coraggio di prefigurare un processo di trasformazione che sia in grado di accrescere e non disperdere la qualità formativa delle nostre istituzioni. Sappiamo bene che abbiamo alle spalle una ricca tradizione che non può e non deve essere dispersa, ma siamo anche consapevoli che il sistema delle arti, in questi anni, si è trasformato richiedendo nuovi paradigmi e nuovi modelli formativi. La riforma, nonostante tutti i suoi limiti, permette questa trasformazione; spetta a noi saper cogliere la sfida e garantire modelli didattici che siano effettivamente efficaci e capaci di far assumere al nostro paese, nella formazione artistica e musicale, un ruolo di rilievo nel panorama internazionale dell’arte.

La riforma può assecondare nuovi modelli didattici, più adeguati alla realtà

Già ora l’elevato numero di studenti stranieri che chiedono di venir a studiare le arti e la musica in Italia è la più chiara testimonianza di quanto il nostro paese sia tuttora inteso come il “paese dell’arte e della musica”. Una condizione, questa, che ci chiede un maggior impegno, anche nei confronti della Legge di riforma n. 508/1999, per evitare che il prolungarsi della sua fase applicativa faccia venir meno quella partecipazione che è indispensabile per garantire una sicura qualità per le nostre istituzioni.
 

 

La legge di riforma, partita zoppa e senza le necessarie risorse economiche, ha avuto un percorso assai accidentato, reso ancor più tortuoso da continui conflitti anche all’interno del nostro stesso sistema AFAM. Una certa tendenza a costituire fazioni ha portato spesso a conflitti dei quali non sono sempre facilmente identificabili le motivazioni; vivace è stata anche l’attività del TAR del Lazio più volte intervenuto sul cammino della riforma.

Lentezze e resistenze nel processo di riforma: fonte di disillusione per molti

Certo è che le lentezze estenuanti, che ne hanno caratterizzato il percorso, hanno accresciuto un sentimento di disillusione anche in coloro che questa legge hanno sostenuto con forza e passione. Sono trascorsi ormai tredici anni dalla sua emanazione – era il freddo dicembre del ’99 – un tempo troppo lungo perché non diventi fertile il terreno delle critiche e delle lamentele, e perché in esso non si radichino vecchi e nuovi corporativismi. Così è aumentato il numero di quelli per cui “si stava meglio prima!”, di chi propenso al pessimismo vede orizzonti catastrofici per la musica italiana, e non sono pochi quelli che auspicano di essere assorbiti dall’università che di certo non naviga in acque più tranquille.
 

 

La 508 ha sicuramente molte lacune, e presto si dovrà procedere ad una sua revisione, ma le va riconosciuto il merito di aver sottratto accademie, conservatori e ISIA all’area d’influenza della scuola secondaria per posizionarle, come avviene nel resto d’Europa, nell’alta formazione. Pertanto, nonostante le tante riserve, deve essere considerata una legge necessaria e si deve auspicare che possa concludere presto il suo interminabile percorso di riforma.

Valore della riforma, necessità che si compia

Nella tua mail prevedi una possibile accelerazione, non ne sono convinto, ma se così fosse sarei contento. Non ero un sostenitore della Legge 508, in quanto la ritenevo inadeguata a riformare un settore così importante e strategico per il nostro paese, e ancor più inadeguata per la sua assurda pretesa di riformare l’intero comparto dell’alta formazione artistica a costo zero. Una volta però che questa è stata emanata, mi sono impegnato perché potesse essere attuata in tempi brevi.
 

 

Così non è stato per diversi motivi, principalmente proprio per la tradizione dei conservatori di musica, nei quali la formazione di base ha sempre avuto un ruolo rilevante e la sua non ridefinizione ha di fatto inciso nel processo di riforma. Come ho già scritto, era evidente, ancor prima del dicembre 99 quando è stata varata la legge 508, che per dare attuazione alla legge stessa andava ripensato l’intero percorso della formazione musicale, considerando il cosiddetto “curricolo verticale”. Andava definito un progetto per la formazione di base che evitasse di disperdere la lunga e qualificata tradizione dei Conservatori ma che, al tempo stesso, riconoscesse a questi, a tutti gli effetti, l’appartenenza all’area terziaria.

Le difficoltà per i conservatori: la mancata riforma del segmento antecedente 

Sebbene con grande ritardo, le scuole medie ad indirizzo musicale e i licei musicali, stanno andando in questa direzione, ma la loro offerta formativa appare tuttora inadeguata. Inoltre proprio la loro istituzione, e di conseguenza il venir meno della formazione di base nei conservatori, non solo mette ancor più in evidenza la presenza di un numero elevato, e forse eccessivo, di conservatori e istituti musicali, ma rende evidente un discutibile rapporto numerico tra docenti e studenti. Rapporto che come si è detto potrebbe portare non pochi problemi con l’ANVUR la cui valutazione, come sai, può anche condurre all’accorpamento, nonché alla soppressione di istituzioni. Possibilità, questa, contemplata anche dal regolamento di avanzamento del sistema.

 

 

Trasformazione del sistema: possibilità di accorpamenti o soppressioni 

Il timore di molti conservatori di perdere la formazione di base e il “doppio canale” non è motivato solo da ragioni didattiche, ma anche dalla consapevolezza dei rischi che derivano dal venir meno di quel elevato numero di studenti che frequentano i corsi di base o, contemporaneamente, altre istituzioni.
 

 

La riforma ha comunque permesso di riconoscere la piena autonomia alle nostre istituzioni (sebbene non in pochi casi “vigilata”) e di avviare un importante processo di aggiornamento dei corsi e dei profili formativi. Per la verità si è cercato, più che altro, di adattare i modelli didattici della tradizione alla nuova articolazione in dipartimenti, scuole e settori disciplinari. Intento che ha portato i conservatori ad identificare le scuole con gli strumenti musicali, e le accademie a mantenere gli indirizzi storici, concependo il nuovo solo come addizione di altre scuole. Una scelta che comporta il rischio dell’estinzione di alcuni indirizzi tradizionali come nel caso di quello di scultura. Questo mentre le scuole di nuova istituzione, come nel caso di progettazione artistica per l’impresa, crescono a dismisura, spesso senza strutture e attrezzature adeguate e con personale precario. Condizione che sta portando, soprattutto nelle accademie, ad avere un numero elevato di cattedre vuote, “congelate”, nei corsi tradizionali, mentre crescono a dismisura gli incarichi co.co.co. che gravano sempre di più sulle spese di funzionamento. Inoltre i nuovi indirizzi vengono attivati in assenza di un approfondito dibattito sui cambiamenti che la riforma porta nella didattica, e di conseguenza nell’insegnamento, dell’arte e della musica.
 

Trasformazione del sistema: modelli didattici

Nei primi incontri che ho avuto, appena eletto presidente del CNAM, con le conferenze dei direttori di accademie e conservatori, avevo invitato i direttori a vigilare perché si evitasse di ripetere nell’AFAM quanto avvenuto nelle università, in cui l’istituzione di un numero eccessivo di lauree (allora definite “brevi”) ha comportato un aggravio di costi senza garantire una effettiva qualità dei nuovi percorsi formativi. Viceversa anche nel nostro comparto si è avviata una rincorsa al nuovo, tuttora presente, non sempre motivata da reali necessità formative, a volte con la richiesta di attivazione di corsi fantasiosi (più nelle accademie che nei conservatori ma presenti anche in questi).

Creazione di nuovi corsi, non sempre attendibili

Gli stessi conservatori hanno attivato un elevato numero di bienni specialistici sostenuti, almeno in prima istanza, principalmente da studenti diplomati nel vecchio ordinamento. Anche in questo caso è mancata una programmazione che fosse in grado di differenziare l’offerta formativa in ragione delle attitudini dei singoli conservatori e delle vocazioni di specifici territori. Penso che su questi aspetti la conferenza dei direttori sia stata carente, è infatti mancato un suo compito di programmazione e coordinamento. Un coordinamento che era ed è necessario anche per evitare quella eccessiva autoreferenzialità che caratterizza le nostre istituzioni. Inoltre un più efficace coordinamento avrebbe favorito l’applicazione di metodologie di comunicazione in grado di mantenere le istituzioni in “rete” come nel caso di AFAM-SIS. Non va infatti sottovalutato il contributo che le nuove tecnologie della comunicazione possono offrire sotto diversi aspetti per il coordinamento, la programmazione, la valorizzazione.

I bienni: mancanza di programmazione. Non tutti gli istituti devono necessariamente fare le stesse cose. E possono anche coordinarsi e lavorare congiuntamente

Per accrescere la qualità dell’offerta formativa, per acquisire risorse economiche e gestirle in modo più efficace, per affermarsi sulla scena internazionale, per partecipare e dove possibile guidare progetti europei sull’arte e sulla musica, per avviare efficaci progetti di ricerca, per migliorare i servizi agli studenti, per salvaguardare e valorizzare il patrimonio artistico, è indispensabile avviare attività congiunte tra più istituzioni, attività di cooperazione che non possono avere un carattere sporadico. Favorire nuove forme di cooperazione all’interno del sistema AFAM è una condizione indispensabile per rendere più efficace la complessiva offerta formativa e per sostenere l’avvio dei corsi di formazione alla ricerca.
 

 

Come sai, prima ancora che fosse varata la legge 508, mi ero impegnato perché si istituissero le “università dell’arte”, e a Firenze avevamo quasi raggiunto l’obiettivo. Si trattava di accorpare le istituzioni statali che in un determinato territorio offrivano formazione artistica (a Firenze: il conservatorio “Cherubini”, l’accademia di Belle Arti, l’ISIA, l’Opificio delle Pietre Dure) anche con la possibilità di convenzioni con scuole private di riconosciuta qualità (a Firenze: Polimoda, scuola di musica di Fiesole, ecc.); un’interazione tra istituzioni statali e private sicuramente più efficace rispetto alle autorizzazioni, senza norme di accreditamento, che attualmente sono concesse alle scuole private in base al comma 2 dell’art. 11 del DPR. 212 del 2005. Un modello simile a quello dei politecnici universitari. Di quel progetto è rimasta solo la traccia nella legge 508 che all’art. 2, comma 8, permette, sulla base della contiguità territoriale e complementarità e integrazione dell’offerta formativa, di istituire i politecnici delle arti.

I Politecnici delle arti 

Ritengo tuttora questa, una strada interessante, così come trovo interessante la scelta dei conservatori veneti di “confederarsi” al fine di favorire un loro sviluppo maggiormente coordinato.
 

 

Nella tua analisi, riflettendo sul futuro in relazione a quanto avviene in Europa, metti a confronto due possibilità, quella del sistema misto università/conservatori e il sistema italiano attuale, caratterizzato dall’appartenenza dei conservatori ad un comparto autonomo. Io preferirei avviare le università dell’arte anche per favorire quelle sinergie tra diverse esperienze artistiche che si presentano come un fertile terreno di rinnovamento dei linguaggi e delle tecniche.

 

Si parla con sempre maggior insistenza di un accorpamento tra CUN e CNAM e tra direzione generale AFAM e direzione generale università con la prospettiva di unificare i due sistemi. Scelta in apparenza razionale ma, temo, che questa possa creare non poche difficoltà al nostro sistema sicuramente troppo debole di fronte ai potentati universitari a partire dai due colossi medicina e ingegneria. Già ora, nelle università, gli indirizzi artistici e quelli del design sono in grave difficoltà così come è emerso anche nei lavori del tavolo tecnico del design attivato dalla commissione CUN/CNAM.

Mantenere distinto il sistema Afam da quello universitario, definendo le equipollenze 

Indipendentemente dai tanti problemi, il comparto AFAM ha acquisito maggior rilievo nel sistema terziario, e come è emerso bene anche nei lavori della commissione CUN/CNAM, è riconosciuta al nostro sistema un’adeguata capacità formativa. Quanto avvenuto a proposito dell’istituzione dei corsi di restauro ne è stata un’eloquente dimostrazione. Inoltre la stessa commissione CUN/CNAM ha prodotto una proposta per l’equipollenza dei diplomi accademici tra AFAM e università in restauro, design, musicologia, mentre per altre equipollenze sta predisponendo le sue proposte.

 

Il lavoro del tavolo CUN/CNAM è andato in parallelo a quello della VII commissione del Senato che come sai bene ha predisposto un DDL nel quale sono indicate le equipollenze tra AFAM e università. La scelta da parte del CUN di sancire a tutti gli effetti l’equipollenza tra titoli accademici AFAM e lauree è stato un passo significativo, impensabile alcuni anni fa. Siamo quindi di fronte ad un quadro di luci e ombre che richiede di comprendere i punti di debolezza per poter intervenire efficacemente su di essi.

 

 

 

Organi di governo.
 

ORGANI DI GOVERNO

Sebbene siano da riconoscere e apprezzare l’impegno e la passione presente in molti di coloro che hanno garantito il governo del sistema AFAM e l’applicazione della riforma nelle singole istituzioni, non devono essere sottaciuti quei fattori di debolezza che oltre a limitare lo sviluppo dell’intero sistema, non permettono un’efficace sviluppo dell’autonomia.

I fattori di debolezza, al di là dell'impegno delle persone

Deve essere rilevata una diffusa carenza nelle attività di programmazione, valutazione e organizzazione; questo in un momento in cui, viceversa, è chiesto un salto di qualità nella gestione sia a livello centrale, sia nelle singole istituzioni. Qualità necessaria sia per dare attuazione alla riforma, sia per favorire lo sviluppo dell’autonomia, sia ancora per sostenere e valorizzare l’alta formazione artistica e musicale in un momento in cui la crisi economica ha forti riflessi su tutta la formazione nei suoi diversi ordini e gradi.

 

Anche il CNAM, organo che presiedo, nonostante l’impegno e la qualità di molti consiglieri, ha mostrato diverse criticità a partire dalla difficoltà di raggiungere il numero legale nelle riunioni. Inoltre devono essere rafforzate le sue competenze nella programmazione e deve essere emanato un nuovo regolamento che permetta un suo funzionamento più snello ed efficace. È condivisibile la scelta della VII commissione del Senato di ridurre il numero dei consiglieri, ma è pericolosa la proposta della stessa commissione, presente nel DDL approvato al Senato, che elimina il rapporto tra consigliere e specifiche aree didattiche. Scelta che, come ho messo in evidenza in occasione dell’audizione che ho avuto alla Camera, farebbe venir meno il carattere tecnico del consiglio.

Limiti del Cnam. Necessità di conservarne il carattere "tecnico"

Tanti generali non fanno un buon esercito! Anzi quasi sempre rendono confuso il comando..!
 

 

A fronte di una carenza nelle attività di programmazione e di coordinamento, cresce la presenza di organi di governo. Oltre all’amministrazione centrale e al CNAM (unico organo previsto dalla legge 508) e, per sua emanazione, la commissione CUN/CNAM, abbiamo le conferenze dei direttori e le conferenze dei presidenti senza alcuna chiarezza di quali siano i loro ruoli e le loro competenze. Il buon senso porterebbe a pensare che il loro compito, in particolare delle conferenze, sia di “ coordinamento”, ma è questo il loro attuale compito?

Troppi organismi, confusione di competenze

Più volte è stata richiamata l’attenzione dell’amministrazione sulla necessità di chiarire le competenze tra direttori e presidenti, perché queste presentano pericolose sovrapposizioni. Se non sono chiarite possono determinare forti tensioni all’interno delle istituzioni. Come ho fatto rilevare proprio in occasione di un incontro congiunto tra direttori e presidenti dei conservatori, eloquente testimonianza della confusione di competenze è l’ampia gamma di comportamenti, presenti nelle nostre istituzioni, per il conferito degli incarichi di docenza a tempo determinato, i cosiddetti co.co.co. Contratti in alcuni casi a firma del direttore, in altri del presidente, in altri ancora del direttore e del presidente e controfirmati dai direttori amministrativi.
 

 

In occasione del tavolo istituito dal ministro Gelmini sul regolamento di avanzamento del sistema AFAM, al quale erano presenti anche i presidenti delle conferenze dei direttori e dei presidenti, è stato chiesto di affrontare con urgenza la questione degli organi di governo; intervento necessario considerato che il DPR 132 è ormai superato. Decreto ormai da ridefinire non solo per le sovrapposizioni di competenze tra direttori e presidenti, e tra consigli accademici e consigli di amministrazione, ma anche perché sono venute a modificarsi le modalità di incarico dei direttori amministrativi (a seguito del ricorso vinto da questi) e la costituzione dei collegi dei revisori.

Necessità di nuove regole di governo delle istituzioni

È quindi necessario un nuovo regolamento sul funzionamento degli organi di governo che definisca anche le norme per l’elezione del direttore, considerato che per la sua elezione il DPR 132 si limitava ad indicare i requisiti solo per la prima elezione. Proprio perché il direttore ha un ruolo decisivo nello sviluppo e nella qualità della didattica e dell’organizzazione delle singole istituzioni, deve essere individuata una modalità che garantisca la nomina di persone di qualità certa, con adeguate competenze nella gestione, buone conoscenze delle norme, spessore culturale e autorevolezza.

 

Deve essere innanzitutto modificata la tipologia della doppia nomina (3+3) che ha ampiamente dimostrato tutte le sue carenze, a favore di incarichi non riconfermabili ma di più anni (4, o 5). L’aumento della durata dell’incarico favorirebbe anche la presenza di direttori del nostro sistema in organismi internazionali. Come avviene per i docenti, si potrebbe prevedere una abilitazione nazionale e la nomina (sempre in base ad elezioni) in una sede diversa rispetto a quella in cui si ha l’incarico di insegnamento; condizione quersta che però richiederebbe una indennità ben maggiore rispetto a quella attuale.

Troppo breve l'incarico di direzione: poca efficienza, e malcostumi 

In particolare l’aumento del periodo della nomina e la non riconferma di questa, farebbe venir meno il “mercato” dei voti, spiacevole pratica che, così come è radicata nelle università, è ampiamente presente anche nel nostro comparto. Pratica, questa, ancor più grave nelle istituzioni più piccole dove, in alcune realtà, il direttore è posto sotto “ricatto” (accezione piuttosto forte ma che da bene l’immagine di una situazione assai rischiosa).
 

 

Il tavolo tecnico aveva condiviso di procedere con uno specifico regolamento che, aggiornando il DPR 132, ridefinisca gli organi di governo AFAM. Sempre nel tavolo tecnico Gelmini si è discusso anche su quali debbano essere i requisiti necessari per l’elezione del direttore, in particolare in relazione al titolo di studio. Questione che ha rivelato diverse posizioni con una maggioranza propensa a non porre il vincolo del titolo di studio, anche perché se si stabiliva che questo fosse la laurea o il diploma accademico di secondo livello si rischiava di escludere tutti coloro che sono stati diplomati nel vecchio ordinamento, mentre la scelta di limitare la richiesta al diploma di primo livello appariva paradossale in considerazione dell’importanza dell’incarico.

Necessità di modifiche nella governance: requisiti per la direzione...

Per la verità questo problema non si porrebbe se venisse attuato il DDL già approvato al Senato che sancisce l’equipollenza tra diplomi accademici del vecchio ordinamento con le lauree magistrali e con gli attuali diplomi di secondo livello. Equipollenza che porta ad altre tensioni e apre altri problemi sui quali per il momento sorvolo.

 

La maggioranza del tavolo tecnico era propensa, in analogia con quanto avviene nell’università, a non indicare il titolo di studio e a regolamentare l’elezione del direttore affrontando nel suo insieme la questione degli organi di governo. In ogni caso è evidente che per accrescere la qualità delle istituzioni è indispensabile puntare sulla qualità dei direttori e, in questo senso, le modalità per la loro nomina ed elezione rappresentano un argomento centrale nel processo di riforma.

 

Viceversa andrebbero tolti i limiti per l’elezione dei docenti nei consigli accademici. Questo perché limitare l’elezione a due mandati di tre anni comporta gravi problemi per le istituzioni più piccole che rischiano di non trovare docenti disponibili all’incarico. Come sai, non sono molti i docenti che hanno competenze nella gestione e che si rendono disponibili a ricoprire tali incarichi.

...consiglieri accademici

Non ultimo, tra i ruoli da ridefinire e le competenze da chiarire, deve essere presa in esame la figura del direttore amministrativo. Sono molti i casi di tensione tra presidenti, direttori e direttori amministrativi, tensioni che si riflettono negativamente sulla gestione e sul funzionamento delle istituzioni. Tra l’altro dopo il ricorso vinto dai direttori amministrativi, avverso il DPR 132 in particolare contro quanto disposto dal comma 3 dell’art. 13, non è stata più emanata nessuna norma che definisca le modalità per l’assegnazione dell’incarico per la direzione amministrativa delle istituzioni.

...direttore amministrativo 

 

 

Sviluppo del sistema.
 

SVILUPPO DEL SISTEMA

Sono trascorsi più di tre anni da quando il CNAM ha espresso il proprio parere sul Regolamento di avanzamento del sistema e reclutamento. In quei mesi sembrava imminente la conclusione dell’interminabile iter della legge di riforma e già si valutavano i primi risultati per portare ad essa alcune modifiche. Così come è avvenuto per l’università la cui legge di riforma, dopo la sua attuazione, è stata già più volte perfezionata. Viceversa la bozza di regolamento è rimasta sui tavoli di ministri e consiglieri per anni in attesa non si sa bene di cosa, visto che di fatto la bozza è rimasta, nella sostanza, quella di quattro anni fa.

La bozza del regolamento sullo sviluppo del sistema e sul reclutamento è ferma, e non si sa perchè

Mi risulta che lo scorso mese di giugno la dott.ssa Bono ha promosso, sul regolamento in questione, un incontro con i sindacati, e la bozza sottoposta ai rappresentanti sindacali era ancora quella sulla quale l’allora sottosegretario Nando dalla Chiesa aveva avviato le consultazioni. Quindi, quattro anni persi!

 

 Nell’incontro tra i presidenti delle conferenze dei direttori e il ministro Profumo (con la presenza del direttore generale e del sottoscritto) il ministro si era impegnato a dare veloce attuazione al regolamento, ma sono ormai passati diversi mesi e la meta ancora non appare all’orizzonte. Sebbene nel tavolo tecnico attivato dal ministro Gelmini non vi era concordanza su tutti i punti (vedi la questione del titolo di studio per i direttori o l’annosa questione delle fondazioni) nella sostanza c’era e c’è condivisione. Francamente non si riesce a capire quale sia il motivo per il quale il regolamento non possa essere varato.
 

 

Va comunque osservato che nonostante questi ritardi la riforma ha proceduto; tutte le istituzioni hanno trasformato i loro ordinamenti e adottato nuovi regolamenti didattici. Anche il CNAM è stato impegnato in un corposo lavoro di verifica sia dei corsi trasformati dal vecchio al nuovo ordinamento, sia dei corsi di nuova istituzione. Una trasformazione che ha portato ad un consistente aumento degli iscritti nei conservatori e soprattutto nelle accademie di Belle Arti. Rimane piuttosto oscura la questione del reclutamento, perché il regolamento si limita ad applicare quanto definito dalla Legge 508, stabilendo le modalità per il reclutamento dei docenti indicando l’abilitazione nazionale e i concorsi di sede. Considerato che la stessa Legge 508 indica al comma 6 dell’art. 1 che per le esigenze didattiche cui non si possa far fronte con le dotazioni organiche, si provvede esclusivamente mediante l’attribuzione di incarichi di insegnamento di durata non superiore al quinquennio, rinnovabili, non appare chiaro quale sarà lo stato giuridico dei docenti: se sia possibile convertire i posti in organico sui nuovi insegnamenti o se si debbano riequilibrare gli organici visto che abbiamo vistose differenze con istituzioni che presentano una dotazione organica nettamente superiore ad altre sebbene con un numero di studenti decisamente inferiore.
 

La riforma è comunque proceduta, nonostante la confusione sui temi del reclutamento docenti

Inoltre il rischio che si determini una nuova forma di precariato all’interno delle istituzioni è elevata; un precariato con contratti temporanei di insegnamento caratterizzati da compensi del tutto inadeguati alla qualità richiesta. Questo con il rischio di abbassare la qualità complessiva dell’offerta didattica. Proprio per questo stesso problema, l’università è stata costretta a mettere la norma che limita i contratti a tempo determinato, vincolando l’istituzione di nuovi corsi ad un programmato numero di docenti strutturati.
 

Rischi di precariato

Ritengo positivo riconoscere alle istituzioni la possibilità di conferire direttamente incarichi, anzi ritengo che queste dovrebbero poter nominare una quota, sebbene programmata e limitata, di docenti “a chiamata diretta” (senza abilitazione e concorsi), ma bisogna vigilare che tale condizione non si traduca in contratti retribuiti con compensi inferiori a quelli dei docenti “strutturati”.

Disparità di trattamento da evitare

Ci tengo a chiarire questo aspetto perché ho proposto al CNAM di inserire nel regolamento la possibilità di conferire incarichi a chiamata (richiesta che ha trovato parere favorevole dello stesso CNAM per ISIA e Accademia di arte drammatica ma che ha trovato la contrarietà dei sindacati). Mi sembrava opportuno, anche per valorizzare l’autonomia, che ogni istituzione potesse, sebbene per un numero limitato di incarichi da concordare con l’amministrazione, conferire incarichi a chiamata (così come avviene ora per gli incarichi “a scrittura” conferiti dall’accademia di arte drammatica). Questa modalità permetterebbe di conferire incarichi a personalità dell’arte e dello spettacolo per specifiche attività, in particolare per i bienni specialistici, i master, i dottorati di ricerca. Personalità che non potrebbero essere coinvolte con la prassi dell’abilitazione e dei concorsi di sede. Tale modalità ha permesso all’accademia di arte drammatica di coinvolgere importanti personalità dello spettacolo impegnate per alcuni periodi a Roma o in Italia con loro attività artistiche.

E' opportuna una certa quota di incarichi "a chiamata" per  personalità di rilievo che non potrebbero entrare nei meccanismi ordinari

Sarebbe utile un monitoraggio per esaminare lo stato di fatto degli organici e del reclutamento, considerando anche il rapporto tra organici, docenti, numero di corsi attivati e numero di iscritti ai diversi corsi.
 

 

Sebbene spesso si ribadisca che i docenti AFAM hanno lo stesso status giuridico di quelli dell’università, lo status economico rimane ben diverso, condizione che ha portato l’associazione dei docenti delle accademie a chiedere di scorporare le accademie dal comparto AFAM per portarle nelle università come facoltà (o meglio come dipartimenti, visto che le facoltà sono in via di estinzione). Richiesta ora all’esame della VII commissione della Camera e che ha trovato pareri favorevoli anche in ambito universitario.
 

I docenti delle Accademie hanno chiesto lo scorporo dall'Afam 

La mancata chiarezza sul futuro degli organici, l’incertezza sul mantenimento delle fasce (prime e seconda), la presenza tuttora di un nutrito precariato, oltre il mantenersi di una condizione di incertezza nei docenti, porta a provvedimenti sporadici così come è stato nel caso della circolare dell’amministrazione che, dopo mesi in cui si indicava l’opportunità di convertire le cattedre non utilizzate o “congelate”, ora stabilisce che tale procedura è inammissibile per le cattedre intere vuote; oppure il recente provvedimento ministeriale che autorizza l’assunzione di 60 docenti, oltre a 280 tecnico-amministrativi e tre EP/2. Probabilmente per mie carenze mi è oscura la motivazione che ha portato a quantificare le 60 assunzioni (pare che queste siano riferibili ai docenti inseriti nelle graduatorie GET e GNE) scelta che non dà una riposta effettiva al precariato costituito principalmente dai precari ex legge 143.
 

Provvedimenti sporadici e non coerenti

Indipendentemente dalla soddisfazione per l’assunzione di insegnanti e dipendenti che da tempo attendono di essere finalmente assunti, non si può non esprimere alcune perplessità anche su questi due provvedimenti che, sebbene di diversa natura, ripropongono la questione generale degli organici. Non è più sostenibile la situazione attuale con docenti nei corsi “tradizionali” ruolizzati o comunque su posti orari e con copertura economica a carico del Tesoro, e tutto il nuovo a contratto, con compensi inadeguati, con minori diritti nell’esercizio della funzione docente e che gravano sul fondo indistinto relativo alle spese di funzionamento. Sebbene la tipologia di contratto co.co.co. abbia permesso l’avvio dei nuovi corsi e quindi sia stata funzionale all’avvio della riforma, non è sostenibile uno sviluppo del sistema AFAM su tale tipologia contrattuale sia per motivi didattici, sia per motivi economici.

Il sistema non può svilupparsi su una docenza "minore"

In alcune istituzioni, soprattutto accademie di Belle Arti (tralascio ISIA e accademia di arte drammatica che hanno storicamente utilizzato diverse forme di incarico) il “nuovo” è una parte ormai consistente dell’offerta formativa, con docenti in gran parte a contratto esclusi dal governo delle istituzioni. Non intendo riproporre un nuovo ricorso alla ruolizzazione, ma andare verso un’effettiva applicazione della legge 508 che prevede incarichi da uno a cinque anni rinnovabili ma che configurino a tutti gli effetti la funzione docente con un compenso che deve essere commisurato a quello dei docenti con incarico a tempo indeterminato.

 

Sebbene la bozza di regolamento prenda in esame le modalità di incarico relative al comma 6 dell’art. 1 della legge 508 stabilendo abilitazioni nazionali e concorsi di sede, rimane piuttosto oscuro lo status giuridico ed economico che avranno i docenti con questi incarichi. Questo con il rischio di riflessi negativi sulla qualità della didattica. In ogni caso è indispensabile andare verso il pieno riconoscimento della funzione docente ai docenti incaricati sui nuovi corsi.
 

 

La scelta di procedere ad una “conversione” delle cattedre libere andava in questa direzione, ma come dissi in occasione della conferenza dei direttori delle accademie che si era tenuta a Napoli nel giorno dell’inaugurazione del PNA, sezione arti visive, tale scelta avrebbe richiesto la definizione di regole comuni e un’efficace monitoraggio sia degli organici, sia dei nuovi corsi per un necessario riequilibrio dell’offerta formativa a livello nazionale. Capisco che questa mia considerazione possa apparire in contrasto con lo sviluppo dell’autonomia, ma da alcune analisi dello “stato di fatto” che ho avuto modo di vedere (relative principalmente alle accademie ma probabilmente valide anche per i conservatori) ho verificato la presenza di forti disequilibri nelle relazioni tra docenti-organici-studenti-corsi, nonché gravi anomalie nell’applicazione dei nuovi ordinamenti e regolamenti didattici.
 

La "conversione" delle cattedre va inserita in un quadro di programmazione, anche nazionale 

Anche l’istituzione e lo sviluppo di nuovi corsi presentano forti disomogeneità. Un attento monitoraggio permetterebbe: a) un progetto di programmazione e sviluppo più coerente con i bisogni di formazione; b) una efficace razionalizzazione dell’offerta formativa; c) un uso più appropriato delle risorse economiche evitando in tal modo la cattiva abitudine dei cosiddetti “tagli lineari” che penalizzano le istituzioni meglio amministrate.

Lo stesso per i nuovi corsi 

Un monitoraggio su tutti i posti in organico permetterebbe una loro ridistribuzione in ragione delle attuali necessità e nel rispetto di una politica di programmazione del sistema AFAM; questo salvaguardando, ovviamente, i diritti acquisiti. Avendo fatto per diversi anni attività sindacale so bene che tale scelta possa essere vista con sospetto (a volte giustificato) dai sindacati, perché la presenza di cattedre libere permette eventuali trasferimenti oltre alla necessità di sanare tutto il precariato; va però detto che non può esserci un precariato di seria A (graduatorie GET e GNE), uno di serie B (ex 143) e uno di serie C (tutti i docenti a contratto senza l’effettivo riconoscimento della funzione docente e la loro esclusione dagli organi di governo). È indispensabile affrontare la questione del reclutamento e degli organici nel suo insieme e questo può essere fatto solo attraverso un’analisi, e soprattutto una valutazione, dello stato di fatto.
 

 

E qui emerge un altro aspetto fondamentale per garantire una effettiva qualità nello sviluppo del sistema AFAM, la valutazione.

Necessità della valutazione

Si è detto che nonostante i ritardi con cui procede il regolamento la riforma è stata applicata nelle accademie, nei conservatori e negli ISIA, che hanno trasformato i loro percorsi formativi adottando i nuovi ordinamenti e regolamenti didattici. Un fatto sicuramente positivo ma che, non in pochi casi, ha lasciato perplesso il CNAM, sia per la quantità dei corsi attivati, sia per gli indirizzi scelti a volte fantasiosi, sia per il mancato coordinamento tra le istituzioni che avrebbe permesso di razionalizzare l’offerta formativa, sia per l’assenza di spazi, attrezzature e laboratori adeguati, sia ancora per la scelta di gravare i costi quasi interamente sugli studenti.

 

Manca un quadro generale del sistema che permetta di rendere visibile lo stato di fatto delle istituzioni AFAM. Da un’analisi chiesta dal CNAM e avviata con gli uffici dell’amministrazione sono state constatate non poche irregolarità nell’applicazione degli ordinamenti e in alcuni casi la non corrispondenza tra il piano degli studi delle istituzioni e il decreto di attivazione dei loro corsi-nuovo ordinamento, rispetto al quale si è espresso il CNAM. Penso che sia evidente la necessità di un coordinamento e di un monitoraggio che permetta di avere un quadro complessivo sull’applicazione della riforma.

Necessità di un monitoraggio reale del sistema

 

 

Programmazione e valutazione.
 

PROGRAMMAZIONE E VALUTAZIONE

Il regolamento di avanzamento del sistema AFAM indicherà gli strumenti e le modalità della programmazione che prevedono azioni finalizzate alla valorizzazione, al potenziamento, alla promozione e allo sviluppo delle istituzioni AFAM, ma anche le azioni per la razionalizzazione dell’offerta formativa, compreso la trasformazione e la soppressione di corsi e istituzioni (nella bozza di regolamento art. 3). Il ministro con proprio decreto determinerà ogni tre anni gli obiettivi e il programma per lo sviluppo del sistema AFAM individuando le relative risorse economiche. Sulla base di questa le istituzioni presentano le loro programmazioni. Di volta in volta, sulla base delle proposte e delle valutazioni sui risultati raggiunti da ciascuna istituzione, sono ripartite le risorse. A tal fine è indispensabile potenziare le competenze di programmazione e, contestualmente, di valutazione.
 

Il regolamento prossimo venturo regolerà lo sviluppo del sistema e la sua razionalizzazione 

Così come avviene per i progetti europei è opportuno che si inizi ad assegnare le risorse economiche sulla base di specifici progetti e in conformità agli obiettivi individuati come strategici per lo sviluppo del sistema AFAM. Altrettanto importante è che le risorse siano assegnate attraverso modalità in piena “trasparenza” e che sia prevista, oltre alla valutazione generale della singola istituzione, la valutazione dei risultati ottenuti da ogni singolo progetto.
 

Condizionerà l'allocazione delle risorse

Per quanto riguarda la didattica sono indispensabili forme di programmazione territoriale e macroterritoriale che permettano di razionalizzare e differenziare l’offerta formativa valorizzando le attitudini e le qualità specifiche di singole istituzioni e di specifici territori; questo in particolare per i bienni specialistici, i master e i corsi di formazione alla ricerca. Una scelta che permette di razionalizzare gli impegni economici garantendo qualità e aggiornamento.
 

L'offerta didattica dovrebbe differenziarsi per "vocazioni" specifiche delle singole istituzioni  

Per raggiungere questi obiettivi l’attività della conferenza dei direttori assume un particolare rilievo. Le attività di progettazione e programmazione non possono prescindere dalla valutazione. Come sai il DPR 132 prevede all’art. 10 il nucleo di valutazione con compiti di valutazione delle attività didattiche, di formazione e ricerca, nonché di verifica della qualità del funzionamento e dell’utilizzo efficace e appropriato delle risorse. Ogni anno il nucleo di valutazione ha l’obbligo di trasmettere al ministro una relazione sulla base della quale sono assegnate le risorse finanziarie. Per la verità sebbene nuclei di valutazione siano stati attivati ormai da molti anni, questi operano in assenza di linee guida, condizione che comporta modalità di valutazioni diverse e, di conseguenza, relazioni annuali non comparabili. Sebbene sia stata messa in evidenza all’amministrazione la necessità di definire specifiche linee guida che permettano un lavoro più efficace dei Nuclei, la vigilanza sulla loro attività, la comparazione dei risultati, tuttora manca un provvedimento in tal senso. Avviare con urgenza una valutazione più efficace dell’offerta formativa e del funzionamento delle diverse istituzioni è necessario anche per anticipare la valutazione che sarà effettuata dall’ANVUR.

Ruolo della conferenza dei direttori, ruolo della valutazione

 

 

Manca un quadro di riferimento nazionale

Come sai l’ANVUR, agenzia di valutazione prevista dall’art. 2 del DL 262, sta assumendo una rilevanza sempre maggiore nelle politiche di sviluppo del sistema terziario. Al momento la sua attività è indirizzata principalmente all’università ma presto definirà i criteri e avvierà la valutazione del sistema AFAM.

 

L’ANVUR oltre a definire i criteri di valutazione del corpo docente e dell’offerta didattica, valuta l’idoneità delle sedi (edilizia e dotazioni strumentali) nonché il rapporto tra studenti e docenti. Per il “peso” che avranno le sue valutazione per lo sviluppo delle singole istituzioni e del sistema AFAM in generale, queste non possono e non devono coglierci impreparati.

Ruolo determinante dell'Anvur

Il CNAM, quando ormai quattro anni fa ha espresso il proprio parere sul regolamento di avanzamento del sistema, aveva chiesto che questo contenesse anche le norme di valutazione per la predetta agenzia e che fosse garantita all’interno di questa la competenza AFAM. L’amministrazione accolse parzialmente la richiesta inserendo nella bozza uno specifico art. 5 sulla valutazione; articolo che inspiegabilmente è scomparso dalla bozza presentata al “tavolo tecnico Gelmini”.

Nella costituzione dell’ANVUR non è stata prevista nessuna competenza AFAM. Attualmente l’ANVUR si avvale di consulenti che si sceglie per arte e musica ma che limitano le loro attività all’analisi di specifiche pratiche AFAM. Una condizione che penalizza il nostro sistema e che avrà sicuramente riflessi negativi anche sulle attività di valutazione che l’ANVUR farà nei confronti delle nostre istituzioni. Pertanto auspico che sia avviata una valutazione/autovalutazione delle nostre istituzioni, attraverso il lavoro dei nuclei, che anticipi la valutazione dell’ANVUR. Al tempo stesso spero che si faccia pressione perché l’ANVUR sia integrata con almeno una competenza AFAM.

Mancanza di criteri specifici per la valutazione Afam, e di un suo rappresentante all'interno dell'Anvur

 

 

 

 

DDL Senato e associazione insegnanti delle accademie.
 

IL DDL 1693

IL DDL predisposto dalla VII commissione del Senato, e da questo approvato quasi all’unanimità (voto contrario solo della Lega), ora in discussione alla VII commissione della Camera, ha prodotto una certa turbolenza. A mio avviso questo contiene indicazioni condivisibili (come nel caso della costituzione del Consiglio nazionale degli studenti), altre perfezionabili (come nel caso delle equipollenze), altre inaccettabili (come nel caso della scelta di far venir meno la natura tecnica del CNAM).
 

Aspetti positivi e aspetti negativi

Il fatto che, sia al Senato sia alla Camera, tutti i partiti abbiano condiviso la necessità di giungere ad un provvedimento per la valorizzazione del sistema AFAM, doveva configurare tale atto come un’occasione per portare a termine la riforma e intervenire su quegli aspetti che creano problemi nell’applicazione della riforma stessa. Viceversa ancora una volta hanno prevalso le tensioni tra amministrazione e area politica che hanno penalizzato l’intero sistema. Tensioni che si stanno ripetendo da tempo e che non permettono di utilizzare a nostro vantaggio la disponibilità (?) dichiarata dalle VII commissioni del Senato e della Camera a favore di una valorizzazione del sistema AFAM.

Poteva essere l'occasione per completare la riforma, così non è 

Situazione che, come sai, ha coinvolto anche le conferenze e lo stesso CNAM. Spero di non offendere nessuno affermando che non siamo stati in grado di “cavalcare” una situazione che poteva essere a nostro vantaggio e che invece potrebbe portare a risultati non auspicabili. Ha viceversa colto l’occasione la predetta associazione dei docenti delle accademie che, con un documento sottoscritto da importanti personalità della cultura italiana, hanno chiesto l’inserimento a tutti gli effetti delle accademie nell’università.
 

 

Sempre in relazione al DDL in oggetto, non so se in questo momento l’orientamento sia quello di andare verso la proposta Asciutti (VII commissione del Senato) emendata, oppure se la Camera intenda accogliere le richieste dell’associazione dei docenti delle accademie. Temo che molti sperino che il DDL si fermi. Utilizzo il verbo “temere” perché, nonostante le mie critiche al DDL che ho presentato anche in occasione della mia audizione alla Camera, sono consapevole che dovremo aspettare molto prima che sia predisposto un nuovo DDL per la valorizzazione del sistema AFAM; passeranno sicuramente anni. Al tempo stesso sono rammaricato perché quanto avvenuto è ancora una volta una chiara testimonianza della nostra debolezza sul piano politico e l’assenza di strategie che siano efficaci nell “accompagnare” il lavoro delle VII commissioni di Camera e Senato, nonché del ministro e dei suoi consiglieri.

Debolezza del settore nel rapporto con la sfera politica

 

 

Edilizia e patrimonio.
 

EDILIZIA E PATRIMONIO

L’edilizia è un problema per molte istituzioni, non solo connesso agli aspetti di agibilità delle sedi, spesso palazzi storici, ma anche per la non chiarezza su di chi sia la competenza su di esse in questo interminabile periodo di transizione alla piena applicazione della legge di riforma. Quindi ancora una volta problemi prodotti da carenze normative.

 

La legge 508, come sai, assegna le competenze per l’edilizia allo stato, ma sino a quel momento, e anche negli anni successivi, queste sono state mantenute dalle province, che ricevevano le risorse dallo stato per l’edilizia per la scuola secondaria più per le nostre istituzioni. In realtà la questione non è più stata oggetto di confronto politico tra stato ed enti locali, generando comportamenti diversi da regione a regione. Quindi anche su questo fronte siamo in presenza di un quadro caotico, con situazioni molte diverse, e con l’amministrazione che insegue i problemi.

L'annosa questione delle competenze: conflitti, disparità 

Il fatto più grave è che sebbene la legge assegni allo stato l’edilizia (ricordo la pretesa della legge 508 di essere a costo zero), le risorse economiche non ci sono, anzi ultimamente è stato ridotto il già magro finanziamento e, di conseguenza, i problemi relativi alle sedi delle istituzioni crescono divenendo in alcuni casi gravissimi.

 

Molti presidenti si stanno assumendo delle responsabilità, in relazione alle norme di tutela sulla sicurezza (DL 81 del 2008), non secondarie. L’adeguatezza delle sedi e delle connesse dotazioni rappresenta un aspetto essenziale nella valutazione dell’ANVUR. Questo problema nonostante la sua gravità rimane in ombra, viceversa andrebbe riportato con maggior pressione all’attenzione del ministro, così come deve essere affrontata la questione più generale del patrimonio.
 

Intanto per l'Anvur le sedi devono essere a norma 

Il patrimonio presente nelle istituzioni AFAM è di inestimabile valore, ma giace spesso in luoghi non idonei alla sua conservazione, spesso inaccessibile. In occasione del salone del restauro di Ferrara, tenuto questa primavera, la questione è stata posta anche da Marisa Dalai Emiliani e il direttore generale si era impegnato, nella stessa occasione, ad avviare uno specifico tavolo di lavoro. Condivido questa necessità più volte evidenziata anche da Giovanna Cassese che intende attivare nel prossimo anno accademico un convegno nazionale, e spero che si avvii presto una azione che renda possibile un monitoraggio su tutto il patrimonio per una sua tutela e valorizzazione.

C'è un patrimonio inestimabile e spesso inaccessibile. Va monitorato e gestito...

Nel mese di giugno il direttore generale ha costituito un gruppo di lavoro per l’avanzamento del sistema, l’edilizia e la valorizzazione del patrimonio costituito da cinque presidenti che però, nonostante la loro autorevolezza, non presentano competenze specifiche nell’ambito della tutela del patrimonio, spero quindi che la questione sia riaffrontata con urgenza costituendo uno specifico tavolo tecnico. La questione delle sedi e del patrimonio richiederebbe un maggior approfondimento ma sono ormai giunto a destinazione e quindi rimando ad un prossimo incontro un mio approfondimento.

...da chi ne ha le competenze 

 

 

Chiudo, salvo e invio!

 

Mi sono fatto prendere la mano e ho esagerato nella lunghezza del testo, ma spero di non averti annoiato.

 

 

 

Un caro saluto,

 

Giuseppe Furlanis 

settembre 2012

 

 torna alla home page
torna agli Interventi

contatti: team@aasp.it