Carlo Balzaretti, pianista di talento, è
direttore da circa un decennio, prima a Brescia e poi a Como. Gli avevamo
proposto una conversazione sul tema della transizione dai pre-accademici ai
propedeutici, ma poi, complice la passione con cui offre i suoi punti di vista,
il discorso si è allargato a molti altri temi, da quello d’attualità del Pop nei
Conservatori a quello di un bilancio generale sulla riforma. Ve la offriamo così
come si è svolta.
La questione della formazione pre-accademica è
certamente uno dei nodi irrisolti della riforma. Su questo tema sono intervenute
norme discendenti dalla legge cosiddetta “Buona Scuola”, che riguardava
l’istruzione generale ma ha un articolo sulla formazione musicale pre-accademica
nei Conservatori. Ne è scaturito il DM 382 del 2018 che prevede il passaggio
dagli attuali corsi preaccademici ai corsi propedeutici. La trasformazione non è
solo nominalistica, perché si tratta di una fascia di 3 anni contro i precedenti
8, e quindi significherà l’abbandono, da parte dei Conservatorio, della fascia
iniziale del curricolo. Vorrei cominciare con questo argomento.
Il d.m. 382 è bloccato da mesi alla Corte dei Conti.
Se mi riferisco al mio Conservatorio, a Como abbiamo anticipato di molto,
costruendo un rapporto con il sistema scolastico del territorio. Ci sono 36
scuole convenzionate sui percorsi preaccademici. Ottengono da noi le
certificazioni, e soprattutto una grossa percentuale dei loro allievi entra nei
trienni del Conservatorio, e senza debiti. I corsi preaccademici interni
funzionano, ma sono in calo.
Guardando più in generale, voglio segnalare un
problema nuovo: vista la confusione che circola nei Conservatori, i genitori
preferiscono affidarsi a scuole che seguono le certificazioni ABRSM, la Royal
School of Music. La maggior parte delle scuole private a Milano preferisce
seguire il percorso ABRSM anziché quello del Conservatorio: questo è molto
grave.
Sul versante del Conservatorio, nel momento in cui
vengono aboliti i preaccademici Milano, per fare un esempio, perde circa 550
studenti. Como 119 (fortunatamente compensati da un cospicuo numero di studenti
accademici). E’ comunque uno sconquasso. Per ora è tutto fermo per la mancata
pubblicazione del d.m. 382 sulla Gazzetta Ufficiale e stiamo andando avanti come
prima.
In una situazione come quella lombarda dove ci
sono molte scuole civiche, medie ad indirizzo, private, perché il Conservatorio
stenta ad affidare a loro la formazione antecedente e vuole conservare tutto il
curricolo?
Dipende dai singoli istituti. Noi abbiamo delegato
molto all’esterno, diamo tantissime certificazioni. Ma siamo partiti con questa
linea di convenzioni molti anni fa, ben prima della mia direzione. Beninteso,
convenzioni ben costruite e monitorate, per rendere effettivamente possibile
l’accesso al triennio. A Como perciò saremmo anche pronti a conservare solo la
fascia alta del curricolo propedeutico, ma con un periodo almeno quinquennale
(non di tre anni). Ma nel resto della Lombardia probabilmente no. Non c’è
raccordo fra scuole e Conservatori, e scuole e famiglie hanno perso fiducia nel
Conservatorio stesso. Sono passati troppi anni, si è perso tempo, non si è
curato questo tessuto. Como è un caso fortunato, e non solo per merito mio.
Molti Conservatori si sono forse illusi di potersi disinteressare di questa
dimensione territoriale, di poter resistere con la sola fascia accademica, ma i
numeri non gli hanno dato ragione.
C’è poi il problema dei talenti precoci. L’art 5 del
dm prevede la formazione anticipata dei talenti precoci, ma è alquanto vago e
non stabilisce alcunché. Per giunta l’allegato B del DM 382, che stabilisce i
repertori e i livelli di accesso ai Corsi Accademici di 1. Livello,
uniformandoli a livello nazionale, riconduce i programmi ad una sorta di brutta
copia del vecchio ordinamento.
Però la mancanza di standard nazionali di accesso
al triennio ha portato a distorsioni clamorose fra istituto e istituto.
Bisogna vedere quali sono gli standard. Se per
l’accesso al corso propedeutico di Pianoforte non è prevista obbligatoriamente
una composizione polifonica, non si capisce di che
livello si parla. Lo stesso vale per
l’ammissione ai licei musicali (allegato C del DM 382): qui il livello non viene
raggiunto nella maggior parte dei casi, al punto che pochissimi studenti dei
Licei Musicali riescono ad entrare al Triennio del Conservatorio (con risultati
reali alquanto meno lusinghieri del rapporto 2014 su “I Licei Musicali
e Coreutici Italiani”).
Il liceo musicale, penso, non dovrebbe servire
solo a entrare in Conservatorio, come il liceo classico non conduce
necessariamente alle facoltà umanistiche, lo scientifico a quelle scientifiche
ecc. Il liceo musicale dovrebbe però consentire l’emergere dei più dotati (e
favorirne la formazione) orientando questi, e non tutti gli studenti, verso gli
studi musicali al Conservatorio.
Invece famiglie, Conservatori, la stessa Conferenza,
ma soprattutto la L. 508 vedevano nel liceo il sostituto della formazione che i
Conservatori andavano a perdere. Infatti la legge
508 prevedeva che i Conservatori mantenessero
la formazione di base fino al riordino del settore nella scuola generale. Io
sono francamente dubbioso che il dm 382 possa entrare in vigore, visto che da
maggio non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. La resistenza dei
docenti è molto forte. Milano è stato uno degli istituti più fermi su questa
posizione: non vogliamo perdere i preaccademici.
Questa resistenza non ha solo una motivazione
pratica (perdita di allievi) ma anche didattica: il controllo didattico del
percorso nella sua verticalità. E la questione dei talenti precoci è molto
sentita, per esempio a Milano, ed è dubbio che basti l’art 5 a difenderla. Ma la
confusione è grande.
In questa situazione a Como si è deciso di ammettere
quest’anno ai preaccademici solo allievi di un livello corrispondente al II o al
III livello, comunque con molte resistenze: molti docenti di strumento ad arco
preferirebbero cominciare dal dal I livello e non dal II.
Torno a chiedere: perché i Conservatori non
vogliono affidare la formazione ante-propedeutici alle scuole esterne – medie ad
indirizzo, civiche, private - dove insegnano i loro diplomati?
Non sono i Conservatori che non si fidano. Come
dicevo, sono i diplomati che ora insegnano all’esterno a non cercare più la
certificazione del Conservatorio per i propri allievi. La certificazione ABRSM
non costa quasi niente alla scuola, i ragazzi ricevono i diversi grade di
certificazione, le famiglie sono contente; anche se, in realtà, la maggior parte
degli studenti non conseguono livelli adeguati ad accedere a qualsiasi tipologia
di corso accademico (italiano o straniero). E poi i nostri insegnanti, specie
gli archi, temono di trovarsi di fronte ad allievi da dover completamente
“reimpostare” allo strumento.
Il Ministero dal suo canto ha tardato troppo nel
completamento della riforma non emanando i decreti attuativi e i Conservatori
spesso hanno “travestito” il previgente ordinamento riversandolo nei percorsi
accademici. Dato tutto questo, diversi ex diplomati che insegnano fuori, di
fronte a tanta incertezza, hanno preferito affidarsi ad altre strutture
didattiche non riponendo più fiducia nel sistema dei Conservatori italiani.
C’è di mezzo il concetto di “scuola strumentale”,
che dovrebbe essere oggetto di riflessione. E all’estero?
Tutti fanno il contrario di noi. Torno dalla Cina,
dove stanno investendo moltissimo sui bambini, le sezioni pre-college dei
Conservatori sono enormi, e ci sono bambini di 9-10 anni. E’ così anche in
Europa, in particolare a Londra.
Mi sembra che si debba allargare il nostro
discorso al processo di riforma nel suo insieme.
Il vero problema è che la legge è ferma da 19 anni.
Forse è vecchia. Il Processo di Bologna si è venuto sfaldando. Tuttavia non
posso dire con questo di essere contro la riforma. C’è e resta la difficoltà di
fondo del legame con la maturità, e la correlata età anagrafica: troppo tardi
per uno strumentista. E di qui un certo abbassamento del livello tecnico nei
corsi di strumento, anche se sull’altro lato della bilancia ci sono l’apertura
mentale e la consapevolezza culturale che sono senz’altro aumentate.
A questo proposito, c’è stata la discrasia che alcuni istituti hanno considerato
il diploma di I livello come corrispondente al vecchio diploma nei corsi
decennali, e il biennio come un approfondimento o perfezionamento, mentre altri
hanno considerato il triennio come corso medio e il biennio come corso superiore
del V.O.
In tutto questo la legislazione è stata ben poco
chiara, in considerazione del fatto che la Legge 228 art.107 del 24 dicembre
2012 ha equiparato il Diploma del previgente ordinamento ai diplomi accademici
di II livello (purché in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore)
svilendo, di fatto, il nuovo percorso formativo; ragione per la quale, molti
studenti hanno preferito concludere gli studi sulla base del previgente
ordinamento invece che transitare ai nuovi corsi accademici.
A parte questo, ognuno si è regolato a modo suo,
anche dipartimento per dipartimento, anche classe per classe. E la Conferenza
dei direttori, in 10 anni, ha cambiato orientamento più volte – oltre che
persone, naturalmente. Nell’insieme si può dire che a credere nella riforma ci
siamo rimasti in pochi. Molti docenti ed ex docenti non sono stati coinvolti
nella “cultura della riforma” e non ci credono.
La soluzione al problema dei numeri (generato dalla
presunta riduzione della fascia preaccademica da 8 a 3 anni) si troverà magari
negli studenti orientali. Si convertiranno tante classi in Canto, perché gli
stranieri che studiano strumento vanno in Germania o in Inghilterra o in
America, e ben pochi da noi. E gli studenti di canto orientali spesso non hanno
il livello di preparazione musicale e linguistico necessario alla formazione
accademica, con il conseguente ulteriore abbassamento dei livelli. Insomma la
“valvola” internazionale non è una soluzione sana del problema.
Guardando più in generale, osservo il marasma del
reclutamento, con le varie graduatorie ad esaurimento, con persone che hanno
dovuto aspettare i 60 anni per entrare in ruolo: tutto questo non crea un clima
di serenità nei Conservatori, un clima in cui si possa ragionare sul futuro dei
nostri istituti e del sistema.
Si può però osservare che questi sono problemi
tipici della scuola secondaria, della scuola di massa.
E infatti questo è il dilemma: scuola d’eccellenza o
scuola di massa? Ormai siamo quasi
80 istituti, in cui, a livello nazionale,
assistiamo comunque ad alti livelli di formazione.
Questo però non è conseguenza della riforma ma
dello sviluppo non programmato del sistema negli anni delle vacche grasse. E, a
parte le pressioni clientelari che generavano la proliferazione degli istituti,
bisogna anche considerare che al Sud spesso non c’è il tessuto di scuole di cui
parlavamo prima, e quindi il Conservatorio era l’unica risposta alla domanda di
istruzione musicale. La questione oggi – mi pare - è di ripensare le finalità di
un sistema con tante istituzioni, che non può avere come unico fine quello di
far emergere ogni anno un piccolo numero di strumentisti capaci di affermarsi a
livello internazionale. Tantopiù che oggi le scuole d’eccellenza, purtroppo, non
sono più i Conservatori.
E’ vero, ma le scuole considerate d’eccellenza
lavorano su quel che i Conservatori hanno costruito. Non è 1 anno o 2 in una
scuola d’eccellenza che costruisce uno strumentista. Del resto è tutto lo
scenario della professione che sta cambiando: la crisi dei concorsi
internazionali, delle case discografiche; i concerti sono diminuiti, gli spazi
importanti sono sempre meno, e così via.
Mi pare che questo discorso ci porti alla
"questione dei generi”. Il canone classico è oggi solo una parte del
Conservatorio, e molti ritengono che sia giusto così. Però il jazz prima e oggi
il pop si sono istituzionalizzati secondo logiche diverse, anche sul piano
organizzativo, da quella tradizionale. Il Conservatorio “tradizionale” era
organizzato non sui generi o sugli stili (barocco, classico, romantico, i vari
linguaggi del ‘900 ecc.) ma sullo strumento prescelto. Nell’ambito del quale lo
studente toccava (sperabilmente) tutti i linguaggi. Invece il jazz e ora il pop
sono organizzati come settori autonomi, col risultato paradossale che ci si può
diplomare in pianoforte senza avere avuto il minimo contatto col jazz, e
viceversa ci si può diplomare in jazz senza aver frequentato solidamente il
repertorio classico.
E per giunta non sono stati adeguati gli organici:
si devono pagare i docenti necessari con fondi propri. C’è anche una distorsione
quantitativa: in alcuni Conservatori questi nuovi settori hanno assunto
dimensioni sproporzionate. Per quanto riguarda il pop, a Como abbiamo aperto
solo una classe di composizione, ci è sembrata la cosa più utile, nei limiti
delle nostre possibilità. So che altri istituti hanno dato molto più spazio:
bisognerà vedere cosa succede nel giro di qualche anno. Milano ha fatto
un’operazione importante, e devo dire che al Premio delle Arti hanno presentato
risultati interessanti. So che la cosa è oggetto di critiche perché si vanno
riconvertendo a questi nuovi settori cattedre di “classica”: certo sarebbe stato
di gran lunga preferibile che questi nuovi settori nascessero ex novo, fuori
dall’organico, con nuove cattedre. E con nuove strutture: dubito che i
Conservatori abbiamo spazi e strutture adatti. Facciamo già fatica a dotare del
necessario le cattedre di musica elettronica.
Penso anch’io che sarebbe molto più necessario
offrire una componente degli altri “generi” alla formazione classica. E
personalmente non mi sono mai voluto rinchiudere esclusivamente nel “classico”.
Tuttavia voglio riconoscere che i candidati all’ammissione al pop, e non solo da
noi, avevano un background classico, e devo dire anche che a Milano sono
riusciti a mettere insieme dei docenti di buon livello.
Per quanto riguarda Como, avremmo dei seri problemi
di strutture a intraprendere una strada simile. Abbiamo già 550 studenti e 430
domande di ammissione: e questo è il frutto delle 36 convenzioni con scuole
esterne, di cui parlavo prima. Per riassumere quel che penso sul pop, ritengo
che sia un’operazione positiva purché non avvenga a discapito dei settori
classici del Conservatorio. A Milano, visto che ne abbiamo parlato, ci sono
dipartimenti che hanno grande prestigio e tradizione, come composizione (mi
riferisco anche alla produzione contemporanea) o direzione d’orchestra o
musicologia, o anche la ricerca: Milano è sempre stata all’avanguardia di tutto
questo e non penso che debba perdere questo primato. Tanto più che oggi può
capitare che ci sia più pubblico per la musica contemporanea che per quella del
passato: basta andare all’Acusmonium del S. Fedele.
In definitiva sono d’accordo con te: jazz e pop non
dovrebbero essere canali formativi (e organizzazioni) “sostitutivi”
dell’esistente, ma parte integrante della formazione di ogni musicista. Se così
fosse (o fosse stato) questo ci aiuterebbe a non più creare il tipo di musicista
che “non può suonare perché non ha lo spartito” - come spesso succede.
Per finire, facciamo dunque un bilancio della
riforma, visto che ha ormai 19 anni.
Come dicevo prima, sono ancora fra quelli che danno
un giudizio prevalentemente positivo. Però devo cominciare dagli aspetti
negativi. Come direttore, io faccio il meccanico. Devo correre ogni giorno a
sopperire a tutte le mancanze del sistema. Abbiamo il Direttore Amministrativo e
il Direttore di Ragioneria ad interim provenienti da altre Istituzioni (per
giunta lontane) e presenti pochi giorni al mese.
Devo organizzare gli ordini di servizio del
personale T.A. Tutto fuorché l’organizzazione e la programmazione didattica, che
è quel che dovrei fare. Siamo in trincea a cercare di tenere insieme le cose. Ma
ci sono Conservatori che hanno il 70/75% di docenti precari. Solo quest’anno io
rischio di avere 12 su 70 docenti in organico, vale a dire quasi il 20%,
cambiamenti per le immissioni in ruolo della legge 128: questo vuol dire
mancanza di continuità didattica, flusso di studenti che seguono il loro docente
che si sposta, impossibilità di una programmazione pluriennale. E aggiungo
l’insufficienza delle strutture. La soppressione della direzione generale Afam e
del CNAM hanno avuto ripercussioni negative nella programmazione del sistema. Il
comparto non è chiaramente definito.
Poi però voglio sottolineare gli aspetti positivi,
quelli per cui credo nella riforma. Sono passate cose importanti: si forma un
musicista più consapevole. L’apertura al repertorio cameristico è incomparabile
con il passato. Il dover redigere una tesi comporta un’apertura
interdisciplinare del tutto nuova. In alcuni settori si affrontano discipline
che prima erano assenti: la mia generazione ha studiato composizione per colmare
quello che mancava nel corso di strumento. La produzione è enormemente
aumentata, con un grande allargamento dei repertori, e una maggior
consapevolezza nelle scelte artistiche. Si tende a ragionare per progetti. I
Conservatori in molte realtà sono diventati enti di produzione musicale. Gli
studenti di composizione possono veder eseguite le loro musiche. E abbiamo molti
docenti che sono delle eccellenze, non bisogna pensare a un corpo docente
completamente fermo al mondo del vecchio ordinamento: anche per le classi di
strumento. E non vedo contrapposizione fra studio dello strumento e formazione
musicale generale.
Penso anche all’allargamento delle professionalità.
Per esempio il corso di legislazione dello spettacolo. Sapere cosa sono i
diritti connessi, cos’è l’audiostreaming, conoscere l’uso dei social media per
promuovere le carriere: sono oggi cose indispensabili.
Ma la riforma si deve chiudere. Oggi lavoriamo solo
per riuscire a tenere in piedi le istituzioni. Si deve definire il reclutamento.
Si deve definire una buona volta la fascia propedeutica. Si è perso troppo
tempo, anche da parte nostra. Non si è capita l’importanza del rapporto con il
territorio, con le scuole, con il liceo musicale. E, devo dire, non si sono
coinvolti abbastanza i docenti nella riforma. Molti hanno sentito le novità
organizzative (e anche terminologiche: crediti, declaratorie ecc) come una
minaccia alla loro professionalità consolidata.
In definitiva: tornare indietro non si deve e non si
può. Il mondo della musica, là fuori, è cambiato.
ottobre 2018

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