La formazione degli insegnanti, una matassa da districare
Un colloquio con Roberto Neulichedl
In
occasione del convegno “Formazione iniziale degli insegnanti: scorciatoie o
qualità?” (Roma, Palazzo dei Gruppi parlamentari, 4 dicembre 2019 ore 10-14)
organizzato congiuntamente da ANFIS (Associazione nazionale formatori insegnanti
supervisori), da CIDI (Centro iniziativa democratica insegnanti) e da DDM-GO
(Docenti di Didattica della musica – Gruppo operativo) abbiamo avuto uno scambio
di idee con Roberto Neulichedl, membro del Coordinamento del DDM-GO, sui temi
del Convegno.
*****
Il convegno di Roma è stato indetto
congiuntamente da tre organismi, due dei quali si occupano di scuola e di
formazione dei docenti in generale, mentre il DDM-GO si occupa della didattica
di una singola disciplina, la musica. Questa differenza nella “natura” degli
organizzatori si osserva a prima vista e forse merita qualche considerazione.
Come DDM-GO
siamo gli unici, nel settore della formazione dei docenti, ad avere da sempre
una “caratura” didattica. In più, nella complicata storia della formazione
docenti in Italia il nostro settore è quello che, diversamente dall’Università,
ha attraversato o sperimentato proprio tutti i passaggi. E a questo si deve
anche la nostra partnership con ANFIS.
Proviamo a
riassumere questa complicata storia in poche parole.
Non è cosa
facile. Parliamo della scuola secondaria: dall’accesso alla professione tramite
concorso (fino al 1999 in sostanza) si è passati a un sistema
corsuale,
quello delle SSIS (Scuole di specializzazione all’insegnamento secondario),
al
quale il sistema Afam si è adeguato. La fase successiva è stata un sistema
corsuale/concorsuale:
attraverso corsi abilitanti si accedeva ai concorsi. E ora siamo in una sorta di
limbo: nel 2017, a seguito della legge della “Buona Scuola” del 2015, si è
stabilito che per accedere ai concorsi, che tornavano di fatto ad essere
abilitanti, occorrono 24 crediti in 4 aree disciplinari:
psico-antropo-pedagogica, e delle tecnologie e metodologie didattiche. Crediti
da acquisire presso l’Università, o anche presso i corsi di Didattica dei
Conservatori, anch’essi abilitati a erogare i 24 crediti.
C’è stata
anche una fase centrata sul tirocinio.
Hai ragione.
Nella fase dei corsi abilitanti l’abilitazione si conseguiva con un anno di TFA
(tirocinio formativo attivo) e di lì si entrava direttamente nelle graduatorie
nazionali. Sto parlando del 2010, le SSIS sono state chiuse, l’accesso ai TFA
doveva avvenire attraverso appositi Bienni a indirizzo didattico. Ma questi
Bienni sono stati attivati solo nei Conservatori, nelle loro scuole di Didattica
della musica: le Università non li hanno mai attivati, per il timore di
“cannibalizzare” le lauree magistrali. Sono quindi partiti dei TFA in regime
transitorio, ovvero “PAS” (percorsi abilitanti speciali), e così fino al 2017
quando sono stati emanati i decreti attuativi della legge “Buona scuola” che
hanno istituito i famosi 24 crediti.
Quindi
studio teorico al posto di un tirocinio pratico.
Bisogna
ricordare che, in origine, il sistema dei 24 crediti – che davano accesso al
concorso, a numero chiuso, che ti portava direttamente a lavorare – prevedeva
però un triennio di “formazione in servizio”: solo alla fine di questi 3 anni
saresti diventato stabile e di ruolo. Tutto questo non è mai andato a regime.
Con l’ultimo governo il triennio “FIT” (formazione iniziale e tirocinio) è stato
abolito e ridotto 1 anno di tirocinio, che finisce col coincidere con l’ “anno
di prova” che tradizionalmente precede l’immissione in ruolo. In sostanza la
formazione degli insegnanti è tornata ad essere compressa nei 24 crediti di
discipline teoriche psico-antropo eccetera.
Questa
rapida sintesi vale anche per il settore dei Conservatori?
Sì, salvo il
fatto che, come accennavo prima, solo nei Conservatori si è data attuazione alla
riforma del 2010 che istituiva i Bienni a indirizzo didattico.
In passato
ci sono stati degli attriti fra mondo universitario e afam per il “dominio”
sulla formazione dei docenti. Il fatto che oggi sigle diverse che si occupano
della materia organizzino insieme un convegno rappresenta un passo verso il
superamento di queste difficoltà?
Indubbiamente
sì. E devo dirti che dal mondo universitario abbiamo ricevuto dei segnali di
interesse e di apprezzamento per il fatto che da oltre 40 anni i Conservatori
gestiscono al loro interno un settore dedicato alla didattica disciplinare. Dico
questo, beninteso, senza voler in alcun modo sottacere le criticità delle Scuole
di didattica dei Conservatori.
Veniamo dunque al vostro punto di vista
sulla formazione dei docenti, alla luce di questa vicenda così tortuosa.
Intanto
occorre chiamare intorno a un tavolo i decisori politici e dire chiaramente che
non si può continuare a sconvolgere il sistema. Ogni scelta possibile ha bisogno
di un ciclo temporale per andare a regime ed essere valutabile. Salvo il caso
delle SSIS, nessuno di questi sistemi ha avuto il tempo di andare a regime: e si
va avanti così da 20 anni.
In secondo
luogo, il momento più qualificante fra tutti i sistemi che sono stati
sperimentati è certamente il tirocinio: un laureato che fa il concorso e con il
solo bagaglio aggiuntivo dei 24 crediti psicoantropopedagogici e
tecnologico-metodologici entra nella scuola, non sa cosa sia la scuola.
Ma il
tirocinio non si fa da soli. Significa lavorare e al contempo riflettere sul
proprio lavoro, occorre qualcuno che ti segua, attui dei protocolli osservativi,
ti aiuti a valutare la tua esperienza: che lo si chiami supervisore o tutor non
importa. Da qui la nostra consonanza con ANFIS, che ha già dato corpo ad alcuni
momenti di riflessione comune. Sappiamo tuttavia che la figura del
docente-supervisore incontra resistenze in ambito sindacale. E anche questo può
essere un problema da discutere.
Ci sono poi
altre difficoltà di ordine anche culturale. L’Università è tradizionalmente
sensibile al punto di vista dei disciplinaristi, che tengono esclusivamente alla
completezza della formazione disciplinare; le facoltà di Scienza della
Formazione sono ovviamente affezionate ai 24 crediti che sono di loro
competenza. La cenerentola così è la didattica disciplinare: all’Università è
coltivata solo in alcuni dipartimenti (Matematica, Lingue. E non è casuale che
proprio da Matematica, e da Giunio Luzzatto in particolare, siano venuti gli
impulsi più vivaci alla fondazione delle SSIS). Esistono tuttavia associazioni
che si occupano delle varie didattiche disciplinari, e stiamo cercando di
sollecitarle: dovrebbero essere le prime a rivendicare un ruolo nella formazione
dei docenti.
Le
difficoltà del “mestiere dell’insegnante” non stanno però solo nella didattica
della sua disciplina, cioè nel come insegnarla. La scuola vive oggi una crisi
più complessiva – ogni tanto arriva fino alle cronache – e chi ci lavora deve
essere in grado di affrontare problemi di ben altra natura rispetto a quelli
della sua disciplina.
Infatti. E
anche questo discorso porta all’importanza vitale di un tirocinio serio, che
comprenda la sfera relazionale che è pesantemente coinvolta, oggi, nella
professione. Non basta una preparazione
teorica
all’insegnamento.
La scuola è
un concentrato di problematiche umane, sociali, psicologiche che talvolta sono
esplosive. In certi contesti, alla tua disciplina non riesci nemmeno ad
arrivare. Se un insegnante non ha una solida preparazione agli aspetti
relazionali, al come rapportarsi con la classe, può “bruciarsi” in pochi mesi.
Il tirocinio serve proprio a imparare a calarsi nei contesti concreti, a cercare
di comprenderli analizzandoli insieme con gli altri e quindi confrontandosi con
gli altri. La didattica disciplinare, ovviamente, serve a declinare tutte queste
problematiche all’interno della propria disciplina. Ed è cosa diversa fra l’una
e l’altra disciplina: costruire relazioni attraverso la musica non è lo stesso
che farlo attraverso la matematica.
(s.l.)
Novembre 2019

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