I quaderni della riforma/Strumentisti
Le risposte di
MARCO VINCENZI
Genovese, diplomato con lode in
pianoforte e composizione, laureato con lode in lettere moderne; Prix de
Virtuosité di pianoforte al Conservatoire Superieur di Ginevra (classe di Maria
Tipo). Svolge regolare attività concertistica in Italia e all’estero; ha inciso
otto CD per Dynamic, tutti recensiti molto favorevolmente da prestigiose riviste
europee e americane. Ha progettato e curato i volumi Ferruccio Busoni e il
pianoforte del Novecento e Drammaturgie musicale del Novecento.
È titolare di pianoforte principale presso il Conservatorio di Genova,
direttore del Centro Studi Musicali Ferruccio Busoni di Empoli e direttore
artistico del Concorso Pianistico Internazionale “Arcangelo Speranza” di
Taranto.
Molti fra i fautori della riforma consideravano
necessaria una migliore formazione musicale dello strumentista al di là dello
studio dello strumento, più di quanto fosse previsto dall’ordinamento del 1930.
I nuovi percorsi comprendono dunque armonia, analisi, storia, e la presenza di
Teoria della musica e di Esercitazioni corali anche nel periodo superiore. Qual
è la tua opinione in proposito?
Uno dei motivi di diffidenza da parte di non pochi
docenti di strumento verso il curricolo dell’alta formazione è il timore che lo
studio dello strumento possa perdere la centralità che ha nell’ordinamento del
1930.
Condividi questa proccupazione? Se sì, pensi che questo rischio possa essere
ridotto dalle singole istituzioni nella fase di definizione del proprio
curricolo locale?
Penso che sia sicuramente utile rendere più completa la formazione dello
strumentista. Non dimentichiamo però la componente “artigianale” dello studio,
che necessita di un elevato numero di ore di lavoro individuale allo strumento:
la presenza di altre materie è positiva, ma stiamo attenti a non caricare troppo
le ore destinate a queste materie. Ad esempio, penso che la frequenza a
Esercitazioni corali potrebbe essere ridotta a un solo anno: lo scopo
dell’inserimento di questa disciplina è fornire un tassello educativo in più
allo studente, e non fornire un coro più numeroso alle produzioni di ogni
singolo Conservatorio.
Il nuovo assetto didattico prevede che la
competenza dell’insegnamento dello strumento si articoli su più discipline. Per
esempio: Prassi esecutive e repertori (che è il vero e proprio insegnamento
dello strumento), Metodologia dell’insegnamento strumentale, Trattati e metodi,
Letteratura dello strumento, Fondamenti di storia e tecnologia dello strumento,
Tecniche di lettura estemporanea, Improvvisazione allo strumento.
Tutte queste discipline – o meglio quelle che ogni istituzione sceglierà – sono
di competenza dei docenti dello strumento “principale”. Tuttavia è prevedibile
che lo studente le studi sotto la guida di diversi docenti dello stesso
strumento.
Come vedi questa articolazione su più discipline della competenza strumentale?
E come vedi l’ipotesi che i tuoi studenti studino altri aspetti dello strumento
con altri colleghi docenti dello stesso strumento?
Questa è una domanda delicata. Molto sinceramente, mi sembra che le
“etichettature” sopraelencate siano perfino troppe (ad esempio, Metodologia
dell’insegnamento strumentale potrebbe essere accorpata con
Trattati e metodi, così come Letteratura dello strumento potrebbe
essere vista in parallelo a Fondamenti di storia e tecnologia dello strumento,
etc.). La mia opinione è che sia importante inserire un corso di conoscenza
della letteratura dello strumento, basato anche sull’ascolto, in quanto
l’ignoranza degli studenti in questo campo è piuttosto sconcertante. Altrettanto
importante mi pare inserire un laboratorio di lettura e accompagnamento, mentre
l’approfondimento della metodologia potrebbe essere affidato al corso di
Didattica. Sul fatto che gli studenti possano lavorare con altri colleghi non ho
alcuna difficoltà, a patto che siano gli studenti stessi a poter scegliere i
propri insegnanti.
La musica da camera assume
nel curricolo un ruolo che non vi aveva nell’ordinamento del 1930. Sia come
quantità, sia per la regolare verifica con esami.
Come giudichi questa innovazione dal punto di vista del docente di strumento?
Potranno generarsi delle “contese territoriali”?
Ritengo che la maggiore presenza della musica da camera (soprattutto per i
pianisti, per i quali la materia poteva avere un ruolo marginale nel vecchio
ordinamento) sia assolutamente positiva, sia sotto il profilo formativo, sia
sotto quello pratico. Non credo si possano verificare “conflitti d’interesse”
coi colleghi titolari della materia: caso mai, penso che noi stessi docenti di
strumento – se in possesso della necessaria esperienza cameristica – dovremmo
essere disponibili a supportare lo studio di composizioni per duo, trio, etc.
anche nelle nostre ore d’insegnamento.
Pensi che le convenzioni fra Conservatori e Licei
per dar vita ai nuovi Licei musicali possano comportare un rischio di
“secondarizzazione” dei Conservatori, o portare a modificare in qualche modo lo
stato giuridico dei docenti?
Francamente non vedo questo rischio: penso che convenzioni, collaborazioni e
simili siano quanto mai opportune per ottimizzare le risorse umane e
professionali. Mi piacerebbe pensare che i Licei musicali potessero costituire
uno sbocco lavorativo per i nostri studenti, ma temo sia un’ipotesi ancora
lontana, visto l’esiguo numero di sezioni che presumibilmente si apriranno
nell’immediato futuro.
Altro?
Uno dei miei timori è l’incompatibilità fra la frequenza al triennio AFAM e a un
triennio universitario: con una possibilità così ridotta di lavorare con la
musica in Italia, non so quanti studenti in possesso di maturità sceglieranno il
Conservatorio, se questa scelta impedirà loro di iscriversi a una Facoltà. Se
questo problema venisse risolto in maniera ragionevole (ad esempio cumulando i
crediti dei due trienni), ritengo che partiremmo con una maggiore serenità.
(marzo 2010) |