I quaderni della riforma/Storici
Le risposte di
MARCO RAVASINI
Marco Ravasini (Torino, 1950) è
docente di Storia della Musica, Sociologia della Musica, Semiologia della Musica
e Storia della Musica d’uso nei bienni superiori di Didattica musicale al
Conservatorio “G. Verdi” di Torino. È, altresì, autore di saggi e voci
enciclopediche alternandosi in ciò con l’altra sua principale occupazione, che
lo vede librettista di teatro musicale per grandi e per piccini.
Sergio Lattes - C’è
una polemica ricorrente a proposito della prevalenza, nella cultura accademica
italiana, della dimensione storica su ogni altra, in ogni ambito disciplinare.
Ovvero, estremizzando, della tendenza a ridurre ogni disciplina alla sua propria
storia. Anche nel nostro settore, per fare un esempio, il termine “musicologia”
ha stentato a farsi accettare in Italia, incontrando diffidenza nella cultura
d’ispirazione storicistica. E a tutt’oggi la musicologia italiana è spesso
considerata come quasi esclusivamente “storica”. Pensi che questa peculiarità
esista, e che sia effettivamente un limite?
Marco Ravasini -
Esiste, ed è effettivamente un limite. Lo
storicismo di marca italica, non importa se crociano o marxista, è un po’
perdurante nelle nostre cattedre… L’effetto di questa separazione, coi teorici
della storia da una parte a far correre essenzialmente le meningi e ad
articolare le giuste costruzioni letterarie-verbali, mentre dall’altra i tecnici
della musica fanno correre essenzialmente le dita articolandone le falangi, è
qualcosa di assolutamente italiano e nessun D.A.M.S. è mai riuscito a colmare
completamente il fossato. Io stesso metto a malapena le mani sul pianoforte e mi
vergogno, appunto, profondamente di questo limite.
SL Quali sono a tuo avviso i problemi specifici che il processo di
riforma pone a Storia della musica intesa come disciplina?
MR Mi vengono le vertigini se penso alle dimensioni e all’entità di tali
problemi. Quale storia della musica (o “delle musiche”…) per quale utenza
odierna? Baroni, convinto europeista, ci racconta che Bach andrebbe spiegato,
semmai, più di prima in quanto è uno dei grandi fondatori della cultura del
nostro continente. Ma forse il “cosa” spiegare è meno importante del “come”. Ed
è meglio un consumatore critico di Vasco Rossi piuttosto che un esegeta bachiano
che non si fa sfiorare da dubbi di sorta…
SL Il ruolo e il peso che l’ordinamento del 1930 attribuisce alla
storia della musica oggi ci sembrano insufficienti e inadeguati nella
formulazione dei contenuti. Tuttavia furono a quel tempo il frutto di una
“battaglia culturale” vinta. Infatti l’esame, con le sue famose tesi, fu
stabilito come un catenaccio senza il quale non si potesse arrivare al
compimento degli studi di qualunque strumento.
Per ottenere questo, si dovettero
superare le forti resistenze di chi opponeva l’argomento che non si potesse
negare il compimento degli studi musicali a uno strumentista di grande talento
ma di scarsa alfabetizzazione. Come dire: se è bravo, non importa che non sappia
la storia della musica.
Esiste anche oggi questo modo di pensare? E con quali argomenti si può
affrontarlo?
MR Esiste, esiste anche se ci si vergogna molto di più ad ostentarlo in
pubblico… È noto che i musicisti strumentisti italiani (per non parlare dei
cantanti) hanno uno dei tassi di alfabetizzazione complessiva più bassi di tutto
il mondo occidentale, per restare da queste parti… Forse l’unica soluzione
sarebbe quella di aprire più decisamente le frontiere didattiche aprendo le
nostre graduatorie e facendo entrare nelle nostre scuole i docenti inglesi,
francesi, tedeschi eccetera che ne abbiano l’intenzione. Con la lingua non ci
sarebbe problema (all’estero l’italiano lo studiano davvero, mentre semmai siamo
noi che facciamo finta di apprendere le lingue straniere) e la concorrenza
spalla a spalla metterebbe forse a tacere definitivamente i fautori occulti di
questa pittoresca concezione del mondo e della musica tuttora albergante dalle
nostre parti…
SL Ritieni che l’attuale corso ordinamentale di storia della musica
debba svolgersi, in tutto o in parte, nel triennio (e quindi in tutto o nella
stessa parte essere “abbonato” a chi abbia già conseguito la licenza prima di
entrare nel triennio), oppure pensi che gli studi di storia della musica, nel
triennio, debbano essere “altri”, e quindi che l’attuale corso debba costituire
un debito per lo studente privo di licenza (salvo che dimostri una competenza
equivalente in sede di esame di ammissione)?
E in questo secondo caso, pensi che
la storia della musica nel triennio debba essere più approfonditamente
sistematica, oppure monografica, oppure invece riguardare altri campi
disciplinari dello stesso settore, come per esempio “storia delle forme e dei
repertori musicali”?
MR Penso che l’attuale corso ordinamentale debba andare a compimento con
l’esaurimento dell’ordinamento tradizionale degli studi di Conservatorio. Va da
sé, quindi, che la Storia del triennio (e, a maggior ragione, quella del
biennio…) non potrà (e non dovrà) avere gli stessi contenuti ma, pur conservando
un taglio “generale e complessivo” (triennio) e dotandosi di un approccio più
specialistico orientato, come suggerito, alla “storia delle forme e dei
repertori musicali” (biennio), dovrà decisamente cambiare registro…
SL Fra le molte lacune che la nostra formazione musicale registra
rispetto a quelle dei paesi di più forte tradizione musicale, si nota la
mancanza di una educazione all’ascolto che metta lo studente, gradatamente, in
una condizione di familiarità con i linguaggi/stili musicali del passato, e in
condizione di riconoscerne all’ascolto i tratti caratteristici e distintivi. Si
tratta di un approccio molto diffuso all’estero, e progressivamente coltivato
fino a livelli sofisticati.
Pensi che Storia della musica,
intesa come disciplina d’insegnamento, possa o debba farsi carico di un tale
approccio, integrando sostanzialmente il tradizionale approccio verbale/scritto?
E saresti d’accordo su un’applicazione sistematica di questo tipo di didattica,
per livelli progressivi di abilità?
MR Nel biennio abilitante di Didattica della Musica (classi di concorso
A31-32 per l’insegnamento generale all’interno della scuola media, ora
“congelate” dal ministero e non più attivate dopo l’A.A. 2007-2008) il corso di
Didattica dell’ascolto era previsto dalla circolare istitutiva, con gran
dispiego di ore (quaranta), e me ne sono fatto carico di persona… Comunque,
l’approccio stilistico-formale con riconoscimento dei periodi così come delle
forme è stato sempre da me praticato anche in precedenza così come nel momento
attuale, all’interno dei corsi di storia previsti per gli abilitandi dell’A77
(didattica dello strumento). Più in generale, ritengo che tale approccio sia
assolutamente auspicabile e debba essere, come si dice nella domanda, applicato
in maniera sistematica.
SL Chi deve insegnare le “storie” più vicine allo strumento? Dai
decreti 90/09 (settori disciplinari) e 124/09 (ordinamento dei corsi, e
corrispondenze fra settori disciplinari e classi di concorso) si ricavano
conseguenze talvolta contraddittorie, o di non facile interpretazione.
MR In effetti, la confusione regna sovrana. Ma imporre a colpi di
circolari delle specializzazioni di campo che potrebbero, invece, esistere un
po’ in tutti gli ambiti teorici (storici con competenze strumentali ovvero
strumentisti e compositori con scrupoli storico-filologici…) mi pare francamente
assurdo. Dovrebbero essere i singoli Conservatori (che fine ha fatto
l’autonomia?) ad assegnare i compiti a seconda del materiale umano a
disposizione. Solo i singoli Conservatori possono conoscere realmente quale sia
l’ambito di specializzazione, quali gli interessi peculiari e approfonditi,
anche extra-ruolo, di ciascuno dei propri docenti…
(febbraio 2010) |