I quaderni della riforma/Storici
Le risposte di
FRANCO PULCINI
Franco Pulcini è nato nel
1952 a Torino, dove si è laureato sotto la guida di Massimo Mila e Giorgio
Pestelli. Critico musicale dell’«Unità» dal 1980 al 1985, ha collaborato con le
principali riviste italiane, enti lirici, fondazioni. Vivi consensi hanno
ottenuto i suoi studi su Leos Janácek, della cui opera Il viaggio del Sig.
Broucek sulla luna ha curato la versione ritmica italiana, e sul quale ha
scritto la monografia L.J. vita. opere. scritti (Passigli, 1993). Ha
inoltre pubblicato pubblicato nella Storia sociale e culturale d’Italia
l’ampio saggio «La musica e l’opera in Italia dal 1638 ad oggi» (Bramante,
1987), la monografia Sostakovic (EDT, 1988), primo studio completo in
italiano sul grande musicista sovietico e il libro di conversazioni con Franco
Battiato Tecnica mista su tappeto (EDT, 1992). Insegna dal 1979 «Storia
della musica» presso il Conservatorio “G. Verdi” di Milano e dal 2005 lavora
nella Direzione Artistica del Teatro alla Scala in qualità di “Coordinatore
scientifico e responsabile editoriale”.
Sergio Lattes - C’è una polemica ricorrente a
proposito della prevalenza, nella cultura accademica italiana, della dimensione
storica su ogni altra, in ogni ambito disciplinare. Ovvero, estremizzando, della
tendenza a ridurre ogni disciplina alla sua propria storia. Anche nel nostro
settore, per fare un esempio, il termine “musicologia” ha stentato a farsi
accettare in Italia, incontrando diffidenza nella cultura d’ispirazione
storicistica. E a tutt’oggi la musicologia italiana è spesso considerata come
quasi esclusivamente “storica”. Pensi che questo limite esista, e che sia
effettivamente un limite?
Franco Pulcini -
Non credo sia un limite.
La storia è anche “storia” della critica, delle forme, della paleografia,
dell’estetica, delle edizioni a stampa pratiche e critiche, ecc. Ogni
approfondimento non deve divenire uno “sprofondamento” maniacale (magari
analitico, o di critica dell’interpretazione) avulso dal contesto storico. Il
fatto che fra gli anni ‘70 e gli anni ’80 si siano pubblicati più libri di
argomento musicale di quanti se ne sono pubblicati nella prima parte del secolo
ha pagato un po’ in termini di divulgazione storica, anche se oggi il gioco al
ribasso della cultura si è fatto molto più brutale, per cui si rimpiangono quei
tempi, anche se troppo “storici”... Penso comunque che la massa degli studenti
di musica, e il paese in generale, possa imparare a pensare in termini veramente
“musicologici” se la griglia delle discipline sarà equilibrata da una profonda
coscienza storica e umanistica, nel senso più profondo del termine. Se per
storicismo si intende la manualistica degli elenchi, dei titoli e delle date,
allora non avevo capito la domanda e affermo che ci vuole più musicologia, ma
non dichiarandolo, bensì permeandone i nostri discorsi con i ragazzi.
SL Quali sono a tuo avviso i problemi specifici
che il processo di riforma pone a Storia della musica intesa come disciplina?
FP Se alludi al
fatto che nei futuri conservatori verrà studiata meno, o meglio, gli allievi che
vi entreranno conosceranno già la storia della musica, non vi saranno problemi
specifici. Ma a una condizione: selezionare gli insegnanti di storia della
musica che andranno a insegnare nei licei musicali in base ai loro meriti
musicali, accademici a attitudinali. Penso di essere un buon conoscitore delle
giovani leve della musicologia perché ogni anno le testo nella mia attività
editoriale alla Scala. Sono tanti, amano la materia, spesso la sanno comunicare.
Sono creativi, fantasiosi, diversi tra loro, come lo siamo noi tutti. A loro il
compito di sgrossare i ragazzi che scelgono di studiare la musica, farli
diventare curiosi, aperti al nuovo. Poi i predestinati verranno al Conservatorio
dove troveranno problemi posti in modo più complesso. Se anche non verrà
chiamata storia, pazienza. La storia va rispettata anche se non viene nominata.
SL Il ruolo e il peso che l’ordinamento del 1930
attribuisce alla storia della musica oggi ci sembrano insufficienti e inadeguati
nella formulazione dei contenuti. Tuttavia furono a quel tempo il frutto di una
“battaglia culturale” vinta. Infatti l’esame, con le sue famose tesi, fu
stabilito come un catenaccio senza il quale non si potesse arrivare al
compimento degli studi di qualunque strumento.
Per ottenere questo, si dovettero superare le forti resistenze di chi opponeva
l’argomento che non si potesse negare il compimento degli studi musicali a uno
strumentista di grande talento ma di scarsa alfabetizzazione. Come dire: se è
bravo, non importa che non sappia la storia della musica. Esiste anche oggi
questo modo di pensare? E con quali argomenti si può affrontarlo?
FP Ho avuto alcuni
di casi di rifiuto della materia, che in genere era legato a un insuccesso e
alla propaganda negativa degli insegnanti di materia principale. Uno è pure
diventato una stella mondiale. L’ho interessato e lo studio gli è parso meno
arido. Il “nozionismo” del Sessantotto era divenuta la parola magica della
pigrizia intellettuale di alcuni musicisti. A dire il vero, ho visto bocciare
future dive del palcoscenico (allieve di altri) perché non ricordavano un
cavillo di canto gregoriano. Quindi i torti non stavano sempre da una parte. Il
giovane musicista che ha una marcia in più e sta emergendo, tende a trascurare
gli accessori culturali. Però è nostro dovere creare motivi d’interesse anche
nelle parti più lontane del repertorio corrente. E l’interesse non si crea
sbarrando brutalmente la strada al diploma, ma svegliando le menti alla
curiosità.
SL Ritieni che l’attuale corso ordinamentale di storia
della musica debba svolgersi, in tutto o in parte, nel Triennio – e quindi in
tutto o nella stessa parte essere “abbonato” a chi abbia già conseguito la
licenza prima di entrare nel Triennio - , oppure pensi che gli studi di storia
della musica, nel Triennio, debbano essere “altri”, e quindi che l’attuale corso
debba costituire un debito per lo studente privo di licenza (salvo che dimostri
una competenza equivalente in sede di esame di ammissione)?
E in
questo secondo caso, pensi che la storia della musica nel triennio debba essere
più approfonditamente sistematica, oppure monografica, oppure invece riguardare
altri campi disciplinari dello stesso settore, come per esempio “storia delle
forme e dei repertori musicali”?
FP La storia non va
mai abbandonata o data per fatta. Sono proprio gli studenti con una preparazione
abbastanza completa a voler approfondire, se capiscono che la cosa è utile e
interessante. Ogni approfondimento monografico è occasione di approfondimento
generale. La storia è fatta di tante piccole monografie ordinate
cronologicamente e geograficamente. Ho avuto studenti stranieri che alla prima
lezione dicevano che loro la storia l’avevano fatta al loro paese, e molto bene,
con l’aria di chi è lì a perdere tempo nelle burocrazie di un paese di
mandolinisti e pizzaioli. Poi, dopo anni di corso, confessavano che la materia
come veniva svolta nel nostro Conservatorio aveva un approfondimento e una
complessità di tematiche e angolazioni che li aveva molto arricchiti. E mi
stupiva che lo dicessero dopo l’esame... La storia è bene che la impostino prima
di entrare al Conservatorio, ma è chiaro che la devono anche approfondire. Senza
un approfondimento storico i futuri musicisti non hanno neppure i mezzi
culturali per fare una ricerca per la creazione di un repertorio personale o
inconsueto.
SL Fra le molte lacune che la nostra formazione
musicale registra rispetto a quelle dei paesi di più forte tradizione musicale,
si nota la mancanza di una educazione all’ascolto che metta lo studente,
gradatamente, in una condizione di familiarità con i linguaggi/stili musicali
del passato, e in condizione di riconoscerne all’ascolto i tratti caratteristici
e distintivi. Si tratta di un approccio molto diffuso all’estero, e
sistematicamente coltivato fino a livelli sofisticati.
A questa lacuna nell’insegnamento si aggiunge spesso la scarsa abitudine degli
studenti, anche avanzati, a seguire la vita musicale e concertistica. Ne risulta
una conoscenza della musica asfittica, ridotta quasi totalmente a quanto viene
direttamente conosciuto in sede di studio dello strumento; e all’ascolto di
dischi, spesso anche questo limitato alla letteratura del proprio strumento.
Pensi che Storia della musica, intesa come disciplina
d’insegnamento, possa o debba farsi carico di un approccio sistematico
all’educazione all’ascolto? E che questo possa integrare sostanzialmente il
tradizionale approccio verbale/scritto?
FP Questa domanda è
già una risposta. Però, se i ragazzi non vanno ai concerti è spesso perché
abitano fuori città. I dischi non sono da trascurare. Ho ragazzi che scaricano
da internet musiche d’ogni genere. L’educazione all’ascolto è necessaria per
fissare la materia. Certo bisogna selezionare i passi e i brani. Personalmente
cerco di comunicare entusiasmo, cercando di sollecitare odi e idiosincrasie, ma
anche passioni. Per l’insegnante di storia della musica è più importante sapere
la musica che li lascia indifferenti di quella che li entusiasma. Sulla prima
bisogna lavorare. I ragazzi devono avere l’impressione di navigare in un mare
sconosciuto di capolavori che ad ogni sguardo gli compaiono nella loro
grandezza. Nostro compito è indicare loro le grandezze che riguardano altre
epoche e altri repertori. A quelli del loro strumento ci pensano gli insegnanti
relativi.
SL Chi deve insegnare le “storie” più vicine allo
strumento? Dai decreti 90/09 (settori disciplinari) e 124/09 (ordinamento dei
corsi, e corrispondenze fra settori disciplinari e classi di concorso) si
ricavano conseguenze di non facile interpretazione.
Per esempio:
-
“Storia della musica elettroacustica” (CODM/05) è attribuito ai titolari di
Musica elettronica, e non di Storia.
- “Storia
del jazz, delle musiche improvvisate e audiotattili” (CODM/06) è attribuito ai
titolari di Jazz e non di Storia.
- Del
settore “Storia della musica” (CODM/04) – attribuito ai docenti di Storia della
musica – fanno parte alcune discipline collegate agli strumenti, come “Storia
delle forme e dei repertori musicali”, “Storia della teoria e della
trattatistica musicale”.
- Ma
allo stesso tempo di tutti i settori degli strumenti (CODI/01à22)
– attribuiti ai docenti di strumento – fanno parte, rispettivamente,
“Letteratura dello strumento” e “Trattati e metodi”, e inoltre “Fondamenti di
storia e tecnologia dello strumento”.
FP L’insegnante di
strumento e lo storico illustrano un repertorio da angolature spesso differenti.
Naturalmente, per entrambi, dipende anche delle competenze sui singoli
repertori. Io non so cantare, eppure ritengo di essere in grado di tenere un
corso sulla drammaturgia di Verdi. Leggendo saggi e studi particolari in varie
lingue ho tenuto un corso di cui nessuno si è lamentato sulle Sonate di Skrjabin
pur non essendo pianista. Certo, il pianista, magari il grande pianista, che ha
letto anche “tutti i libri” sull’argomento, ha mezzi maggiori rispetto allo
storico. Può illustrare meglio i passi. Anche se non si può arrivare al
pessimismo del “nessuno è perfetto”, in questi campi così specifici i “perfetti”
sono pochi. Ma anche gli imperfetti, sul versante storico quanto su quello
strumentale, possono ovviare alle manchevolezze con l’applicazione. Bisogna che
la scuola si renda però conto che gli approfondimenti hanno bisogno di tempo:
un’ora di lezione frontale su specifico argomento a una platea di buoni
conoscitori di storia della musica è buona regola che si basi almeno su
due-quattro ore di preparazione da parte dell’insegnante, anche su argomento già
conosciuto e persino già spiegato. Fedele d’Amico mi diceva sempre che, anche
solo per scrivere un articolo di critica di un paio di cartelle che avesse un
minimo di senso ci volevano tre giorni. Abbiamo voluto la bicicletta-università?
Ora bisogna pedalare.
(febbraio 2010) |