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sei in: DIDATTICA>QUADERNI DELLA RIFORMA/STORICI/MIOLI

I quaderni della riforma/Storici


Le risposte di
PIERO MIOLI
 

Piero Mioli (1947) insegna storia della musica al Conservatorio di Bologna, è consigliere d’arte dell’Accademia Filarmonica di Bologna, collabora con varie riviste, svolge attività di conferenziere. Ha scritto saggi e volumi su Bach, Martini, Rossini, Gluck, Donizetti, Verdi, l’opera e la cantata in genere. Ha curato un manuale di storia della musica, diversi atti di convegno (Gesualdo, Mozart, la musica a Bologna, il Conservatorio “Martini”, Carducci e la musica, Malibran) ed edizioni integrali dei libretti di Verdi, Mozart, Bellini, Rossini e Wagner. Ha pubblicato recentemente un Dizionario di musica classica in due volumi (BUR) e Il Seicento e Il Novecento della serie Recitar cantando. Il teatro d’opera italiano in quattro volumi (L’Epos).


Sergio Lattes - C’è una polemica ricorrente a proposito della prevalenza, nella cultura accademica italiana, della dimensione storica su ogni altra, in ogni ambito disciplinare. Ovvero, estremizzando, della tendenza a ridurre ogni disciplina alla sua propria storia. Anche nel nostro settore, per fare un esempio, il termine “musicologia” ha stentato a farsi accettare in Italia, incontrando diffidenza nella cultura d’ispirazione storicistica. E a tutt’oggi la musicologia italiana è spesso considerata come quasi esclusivamente “storica”. Pensi che questa peculiarità esista, e che sia effettivamente un limite?

Piero Mioli - Il “vizio” della cultura italiana è sempre stato l’iperclassicismo, l’idea che la cultura classica, antica, letteraria, filosofica dovessero sempre avere la meglio, anche sulle arti figurative e sulla musica. La dimensione storica della musica serve a rimediare al vizio: senza nulla togliere né alla poesia ecc. né alla musica vera e propria, quella fortunatamente cantata suonata e composta, ragionar di musica significa collegarsi a Platone e Aristotele, a Petrarca e Shakespeare, all’architettura teatrale, al costume, al mercato e così via. La storia della musica è una delle discipline più larghe, “democratiche” e divaricabili possibili fra arte somma e semplice vita quotidiana.

SL Quali sono a tuo avviso i problemi specifici che il processo di riforma pone a Storia della musica intesa come disciplina?

PM Che la disciplina rimanga subalterna a quella che ho chiamato musica vera e propria: nei licei bisognerebbe fare studiare la storia della musica come quella della civiltà, della letteratura, della filosofia ecc., ma temo che far suonare o addirittura comporre sembri sempre più opportuno (non lo è in quanto non si tratta di scuole attitudinali); nei Conservatori la disciplina non manca di fiducia o simpatia, nessun docente di strumento ha più la vecchia idea che siano tutte chiacchiere, i programmi sono abbastanza aggiornati. Certo bisogna affrontare tutto il programma, dalle origini a oggi; e far sì che l’oggi, cioè il Novecento, sia trattato per intero.

SL Il ruolo e il peso che l’ordinamento del 1930 attribuisce alla storia della musica oggi ci sembrano insufficienti e inadeguati nella formulazione dei contenuti. Tuttavia furono a quel tempo il frutto di una “battaglia culturale” vinta. Infatti l’esame, con le sue famose tesi, fu stabilito come un catenaccio senza il quale non si potesse arrivare al compimento degli studi di qualunque strumento.
Per ottenere questo, si dovettero superare le forti resistenze di chi opponeva l’argomento che non si potesse negare il compimento degli studi musicali a uno strumentista di grande talento ma di scarsa alfabetizzazione. Come dire: se è bravo, non importa che non sappia la storia della musica.
Esiste anche oggi questo modo di pensare? E con quali argomenti si può affrontarlo?

PM Esiste e a volte è proprio vero. Vorrà dire che gli studenti più dotati come esecutori andranno eruditi quanto basta, senza volerne fare dei musicologi. Del resto la giornata è uguale per tutti: suonare molto e bene impedisce di studiare altrettanto, sia la storia della musica che le altre materie liceali. 

SL Ritieni che l’attuale corso ordinamentale di storia della musica debba svolgersi, in tutto o in parte, nel triennio (e quindi in tutto o nella stessa parte essere “abbonato” a chi abbia già conseguito la licenza prima di entrare nel triennio), oppure pensi che gli studi di storia della musica, nel triennio, debbano essere “altri”, e quindi che l’attuale corso debba costituire un debito per lo studente privo di licenza (salvo che dimostri una competenza equivalente in sede di esame di ammissione)?
E in questo secondo caso, pensi che la storia della musica nel triennio debba essere più approfonditamente sistematica, oppure monografica, oppure invece riguardare altri campi disciplinari dello stesso settore, come per esempio “storia delle forme e dei repertori musicali”?

PM Al triennio bisognerebbe accedere con la vecchia licenza biennale (se manca, la si può raccogliere in un solo e intensivo anno, come primo del triennio stesso): poi proporre allo studente un ventaglio di materie ulteriori dal quale scegliere due annate ed esami. Tipo: estetica e filosofia della musica, sociologia della m.usica, psicologia della musica, filologia della musica, etnomusicologia, drammaturgia (all’uopo posso allegare alcuni miei programmi di drammaturgia degli ultimi anni); in tutte queste, che ci siano una parte generale, anche se per sommi capi, e un corso monografico (non troppo peregrino).

SL Fra le molte lacune che la nostra formazione musicale registra rispetto a quelle dei paesi di più forte tradizione musicale, si nota la mancanza di una educazione all’ascolto che metta lo studente, gradatamente, in una condizione di familiarità con i linguaggi/stili musicali del passato, e in condizione di riconoscerne all’ascolto i tratti caratteristici e distintivi. Si tratta di un approccio molto diffuso all’estero, e progressivamente coltivato fino a livelli sofisticati.
Pensi che Storia della musica, intesa come disciplina d’insegnamento, possa o debba farsi carico di un tale approccio, integrando sostanzialmente il tradizionale approccio verbale/scritto? E saresti d’accordo su un’applicazione sistematica di questo tipo di didattica, per livelli progressivi di abilità?

PM La Storia della musica non può non essere sia “racconto” che ascolto della musica raccontata. Però non mancano le difficoltà: per esempio rifornire le biblioteche degli istituti di una ventina di copie della Messa di Notre Dame, dell’Orfeo, del Don Giovanni, dell’Eroica, del Tristan………, in modo che l’ascolto sia anche lettura (senza troppi commenti, per i quali manca il tempo); e poi, anche se si dedicano a Verdi, per esempio, due lezioni, gli ascolti non potranno essere che due mezz’orette, con ascolti forzatamente limitati.

SL Chi deve insegnare le “storie” più vicine allo strumento? Dai decreti 90/09 (settori disciplinari) e 124/09 (ordinamento dei corsi, e corrispondenze fra settori disciplinari e classi di concorso) si ricavano conseguenze talvolta contraddittorie, o di non facile interpretazione.

PM Il docente di Storia della musica non è onnisciente: se ha una sua specializzazione (per me si tratta del teatro d’opera), può proporre il suo settore (del resto il “mio” teatro d’opera coinvolge solisti e coristi di canto, compositori e direttori, pianoforte, tutti gli strumenti dell’orchestra); se no, può limitarsi a inquadramenti generali, senza scendere a particolari tecnici, magari bastevoli per più strumenti. Laddove il docente di strumento abbia possibilità di espletare la storia sua, tanto meglio; ma è impossibile dare una regola, anche perché se ogni strumentista tenesse un suo corso, la rete delle lezioni sarebbe complicatissima. 

(febbraio 2010)

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