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sei in: DIDATTICA>QUADERNI DELLA RIFORMA/STORICI/MAGAUDDA

I quaderni della riforma/Storici


Le risposte di
AUSILIA MAGAUDDA
 

Diplomata in Pianoforte, Ausilia Magaudda si è laureata in Musicologia presso il DAMS di Bologna con il massimo dei voti. Dopo aver insegnato nei conservatori Pianoforte complementare e Teoria e solfeggio, dal 1982 è docente di Storia della musica. Presso il Conservatorio di Novara è stata coordinatrice dei corsi biennali e triennali superiori sperimentali di Violino barocco e di Violoncello barocco e basso continuo. Attualmente è docente di Storia della musica presso il Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano.
Dal 1979 svolge, anche in collaborazione con Danilo Costantini, ricerche sulla vita musicale nel Regno di Napoli e nello Stato di Milano per i secoli XVII e XVIII confluite in pubblicazioni su atti di convegni musicologici internazionali e su periodici quali la «Rivista Italiana di Musicologia», «Il Saggiatore Musicale», «Musica e storia», «Fonti musicali italiane», «Nuova rivista musicale italiana», «Amadeus», «Archivio storico per le province napoletane», etc.
Ha inoltre lavorato alla ricostruzione dell’attività di importanti committenti di musica e della biografia e produzione musicale di compositori meridionali e milanesi del periodo barocco, tra i quali Giulio D’Alessandri e Giacomo Francesco Milano. Su alcuni di essi ha redatto le voci per l’ultima edizione del New Grove e per il Dizionario Biografico degli Italiani, valorizzandone il repertorio attraverso la pubblicazione di articoli e la promozione di esecuzioni musicali in prima moderna.


Sergio Lattes - C’è una polemica ricorrente a proposito della prevalenza, nella cultura accademica italiana, della dimensione storica su ogni altra, in ogni ambito disciplinare. Ovvero, estremizzando, della tendenza a ridurre ogni disciplina alla sua propria storia. Anche nel nostro settore, per fare un esempio, il termine “musicologia” ha stentato a farsi accettare in Italia, incontrando diffidenza nella cultura d’ispirazione storicistica. E a tutt’oggi la musicologia italiana è da alcuni considerata come quasi esclusivamente “storica”. Pensi che questa peculiarità esista, e che sia effettivamente un limite?

Ausilia Magaudda - Io sono per la salvaguardia dell’impostazione storica della musicologia, che non riconosco come un limite del nostro paese, anzi in Italia il campo della ricerca storica sulla musica delle civiltà occidentali dovrebbe essere maggiormente sostenuto ed incrementato. Abbiamo un patrimonio musicale sterminato che giace ancora inesplorato negli archivi e biblioteche musicali, compresa una buona parte del Fondo Noseda della biblioteca del Conservatorio di Milano, perché in Italia non ci sono fondi per la ricerca, o semplicemente perché non è considerato degno di particolare attenzione; mentre, al contrario, gli stranieri, compresi anche musicologi giapponesi, sono spesati per soggiornare nel nostro paese allo scopo di studiarlo e valorizzarlo.

SL Il ruolo e il peso che l’ordinamento del 1930 attribuisce alla storia della musica oggi ci sembrano insufficienti e inadeguati nella formulazione dei contenuti. Tuttavia furono a quel tempo il frutto di una “battaglia culturale” vinta. Infatti l’esame, con le sue famose tesi, fu stabilito come un catenaccio senza il quale non si potesse arrivare al compimento degli studi di qualunque strumento.
Per ottenere questo, si dovettero superare le forti resistenze di chi opponeva l’argomento che non si potesse negare il compimento degli studi musicali a uno strumentista di grande talento ma di scarsa alfabetizzazione. Come dire: se è bravo, non importa che non sappia la storia della musica.
Esiste anche oggi questo modo di pensare? E con quali argomenti si può affrontarlo?

AM Purtroppo il pregiudizio che l’allievo dotato di talento, ma di scarsa alfabetizzazione, come lo definisci, abbia diritto a conseguire titoli di studio nei Conservatori, compresi diplomi accademici di primo e secondo livello, senza conoscere la storia della musica, né tanto meno le altre materie teoriche e culturali previste dalla riforma, è ancora molto radicato, soprattutto tra alcuni insegnanti di strumento legati per formazione alla vecchia concezione artigianale dei conservatori, secondo la quale l’insegnamento musicale si trasmette acriticamente da maestro ad allievo. La si potrebbe combattere con una presa di posizione comune da parte dei docenti di materie culturali, che dovrebbero negare qualunque possibilità agli allievi non preparati di superare gli esami, ma soprattutto a livello didattico facendo capire agli allievi, sicuramente più malleabili dei loro insegnanti, come la consapevolezza critica sia fondamentale per una corretta esecuzione musicale.

SL Ritieni che l’attuale corso ordinamentale di storia della musica debba svolgersi, in tutto o in parte, nel triennio (e quindi in tutto o nella stessa parte essere “abbonato” a chi abbia già conseguito la licenza prima di entrare nel triennio), oppure pensi che gli studi di storia della musica, nel triennio, debbano essere “altri”, e quindi che l’attuale corso debba costituire un debito per lo studente privo di licenza (salvo che dimostri una competenza equivalente in sede di esame di ammissione)?
E in questo secondo caso, pensi che la storia della musica nel triennio debba essere più approfonditamente sistematica, oppure monografica, oppure invece riguardare altri campi disciplinari dello stesso settore, come per esempio “storia delle forme e dei repertori musicali”?

AM Noi docenti di Storia della musica del Conservatorio di Milano siamo d’accordo sul fatto che la licenza di Storia della musica (conseguita a Milano in tre anni) non può in alcun modo far parte dei corsi del triennio. Per chi non l’ha conseguita prima dell’accesso al triennio può essere solo un debito.

I corsi di Storia della musica nell’ambito del triennio devono essere di approfondimento e/o monografici, da scegliere in rapporto agli interessi e alle esigenze degli studenti. Si propone in tutto una annualità e un semestre. Si dovrebbe ampliare l’offerta di corsi trasversali su argomenti che non coincidono con le storie del repertorio di singoli strumenti (ad es. storia del quartetto, Storia della musica da camera con pianoforte e con fiati, Storia della musica sinfonica e dell’orchestra)» (cito il verbale della nostra riunione del 4 febbraio 2010).

Non sono d’accordo sul fatto che la storia della musica dei Trienni possa essere sostituita con altri campi disciplinari dello stesso settore riguardanti il repertorio dei singoli strumenti. La formazione storico musicale del musicista non deve essere limitata al proprio repertorio. E’ dimostrata, ad esempio, la reciproca influenza tra musica vocale e strumentale in ogni periodo storico e non si può eseguire correttamente l’una senza conoscere l’altra. Nell’anno scolastico 2006-2007 ho incentrato un corso di Storia ed estetica della musica per il biennio dei clavicembalisti sulla musica vocale di Domenico Scarlatti, la cui conoscenza è indispensabile, secondo recenti studi, per comprendere la produzione per tastiera dello stesso compositore. La storia dei repertori musicali deve essere studiata nei Trienni, ma come altra materia, non come un’alternativa alla Storia della musica.

SL Fra le molte lacune che la nostra formazione musicale registra rispetto a quelle dei paesi di più forte tradizione musicale, si nota la mancanza di una educazione all’ascolto che metta lo studente, gradatamente, in una condizione di familiarità con i linguaggi/stili musicali del passato, e in condizione di riconoscerne all’ascolto i tratti caratteristici e distintivi. Si tratta di un approccio molto diffuso all’estero, e progressivamente coltivato fino a livelli sofisticati.
Pensi che Storia della musica, intesa come disciplina d’insegnamento, possa o debba farsi carico di un tale approccio, integrando sostanzialmente il tradizionale approccio verbale/scritto? E saresti d’accordo su un’applicazione sistematica di questo tipo di didattica, per livelli progressivi di abilità?

AM Credo che l’educazione all’ascolto sia importantissima e dovrebbe essere praticata nei Trienni all’interno dell’insegnamento di Storia della musica, privilegiando però l’inquadramento storico degli ascolti. Quello analitico è di pertinenza dell’insegnante di composizione, non dello storico della musica. Purtroppo il numero di ore riservate all’insegnamento della Storia della musica nei trienni è limitatissimo ed è difficile potere riservare agli ascolti lo spazio dovuto. Ritengo comunque che la storia della musica non si debba intendere solo come storia dei più importanti compositori, partiture e stili musicali, ma anche come storia delle istituzioni, della committenza, della ricezione e fruizione musicali.  

SL Chi deve insegnare le “storie” più vicine allo strumento? Dai decreti 90/09 (settori disciplinari) e 124/09 (ordinamento dei corsi, e corrispondenze fra settori disciplinari e classi di concorso) si ricavano conseguenze talvolta contraddittorie, o di non facile interpretazione.

AM Non trovo contraddittoria la presenza, tra le materie proposte dal ministero per i trienni, di insegnamenti come Storia delle forme e dei repertori musicali e Storia della teoria e della trattatistica musicale affidate agli storici della musica e Letteratura dello strumento, Trattati e metodi attribuiti ai docenti di strumento, in quanto i primi devono essere affrontati da un punto di vista storico, gli altri da quello della prassi esecutiva. Ad esempio, a mio parere, il docente di Storia della musica che si trova ad affrontare il trattato di Quantz è tenuto ad inquadrarlo storicamente e a sottolinearne l’importanza e la funzione nella storia della musica, non certo ad insegnare come si suonavano il flauto ed altri strumenti nel Settecento. Tutte le materie che portano la denominazione “Storia” dovrebbero essere affidate ai docenti di storia della musica ed essere caratterizzate da un’impostazione prevalentemente storica.

(febbraio 2010)

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