I quaderni della riforma/Storici
Le risposte di
ROBERTO IOVINO
Roberto
Iovino (1953), genovese, laureato in matematica e diplomato in Musica Corale e
Direzione di Coro, è docente di storia della musica al Conservatorio “N.
Paganini” di Genova. Insegna inoltre “Metodologia di educazione musicale” presso
la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Genova. Critico
musicale, collabora con “La Repubblica”, con l’Ansa, con “Club 3” con “Il
giornale dei Grandi Eventi” e, sin dalla sua fondazione, con “Il Giornale della
musica”. Per i suoi studi musicologici ha ricevuto il “Premio Internazionale
Luigi Illica 1998” ed è stato premiato al “Bancarella cucina 2007” per il libro
“Sinfonia gastronomica” (con I.Mattion). E’ vicedirettore artistico del “Premio
Paganini” e autore di varie pubblicazioni e di testi teatrali.
Sergio Lattes - Quali sono a tuo avviso
i problemi specifici che il processo di riforma pone a Storia della musica
intesa come disciplina?
Roberto Iovino - Credo che si debba partire innanzitutto da quello che è
il corso attuale di storia della musica con tutti i suoi limiti. Le famigerate
32 tesi sono francamente ridicole e anacronistiche. E’ possibile dedicare una
tesi a Guido d’Arezzo e una tesi a tutto il romanticismo tedesco o ai tre
classici? E’ possibile “sprecare” una tesi per la musica dei popoli primitivi?
Noi oggi siamo per legge vincolati all’utilizzo delle 32 tesi con tanto di
sorteggio in sede di esame. E’ chiaro che nello svolgimento del corso tutti i
docenti ampliano il campo d’azione e sviluppano il loro itinerario storico
indipendentemente dai lacci imposti dalle Tesi; è però altrettanto chiaro che
l’articolazione in due soli anni rende difficile uno svolgimento sereno e
costruttivo. Allora, cosa chiedere alla Riforma? Innanzitutto, naturalmente, la
liberazione dal vincolo di un programma rigidamente organizzato in tesi. In
secondo luogo la possibilità di immaginare un percorso a più ampio respiro con
esami annuali che permettano allo studente di non dover sostenere in un’unica
prova un programma di oltre 2000 anni di storia. Non so se sono
sufficientemente informato su quel che dice la Riforma a questo proposito, ma
penso che già poter lavorare in questa direzione sarebbe un passo avanti di non
poco conto.
SL Il ruolo e il peso che l’ordinamento del 1930 attribuisce alla
storia della musica oggi ci sembrano insufficienti e inadeguati nella
formulazione dei contenuti. Tuttavia furono a quel tempo il frutto di una
“battaglia culturale” vinta. Infatti l’esame, con le sue famose tesi, fu
stabilito come un catenaccio senza il quale non si potesse arrivare al
compimento degli studi di qualunque strumento.
Per ottenere questo, si dovettero
superare le forti resistenze di chi opponeva l’argomento che non si potesse
negare il compimento degli studi musicali a uno strumentista di grande talento
ma di scarsa alfabetizzazione. Come dire: se è bravo, non importa che non sappia
la storia della musica.
Esiste anche oggi questo modo di pensare? E con quali argomenti si può
affrontarlo?
RI Ho già risposto nel punto precedente a parte di questa domanda.
Certamente ancora oggi ci sono colleghi di strumento che considerano tempo perso
quello passato dai loro allievi sul libro di storia. Mi spiace per loro. Sono
convinto che una preparazione storica sia necessaria, così come sono convinto
che un artista autentico non si può limitare a lavorare sul proprio strumento.
Deve guardarsi intorno, conoscere, leggere, amare l’arte in genere. Altrimenti
cosa potrà mai esprimere attraverso la musica? Nel mio lavoro di critico
musicale ho spesso avvicinato musicisti di varia provenienza ed età. E ricordo
con nostalgia e affetto le conversazioni, abbastanza frequenti, con personalità
come Gavazzeni con il quale si spaziava dallo spartito oggetto della imminente
esecuzione ai poeti liguri, passando per considerazioni varie sulla nostra
società. Un artista deve aprirsi verso l’esterno ed avere coscienza di quello
che suona o canta. La studio della storia della musica dovrebbe avere questo
duplice scopo: dare strumenti di conoscenza e stimolare la curiosità anche nei
confronti di altre esperienze artistiche.
SL Ritieni che l’attuale corso ordinamentale di storia della musica
debba svolgersi, in tutto o in parte, nel Triennio – e quindi in tutto o nella
stessa parte essere “abbonato” a chi abbia già conseguito la licenza prima di
entrare nel Triennio - , oppure pensi che gli studi di storia della musica, nel
Triennio, debbano essere “altri”, e quindi che l’attuale corso debba costituire
un debito per lo studente privo di licenza (salvo che dimostri una competenza
equivalente in sede di esame di ammissione)?
E in questo secondo caso, pensi che
la storia della musica nel triennio debba essere più approfonditamente
sistematica, oppure monografica, oppure invece riguardare altri campi
disciplinari dello stesso settore, come per esempio “storia delle forme e dei
repertori musicali”?
RI Mi
riallaccio all’ultima considerazione espressa nella precedente risposta.
Premesso che trovo scandaloso che uno studente di liceo classico studi storia
dell’arte e non storia della musica; premesso che trovo scandaloso che una
persona di cultura in Italia si senta in difficoltà se non ricorda un poeta o un
pittore ma non provi il minimo imbarazzo nel dichiarare di ignorare Mozart o
Wagner; io vedrei di buon grado l’attuale corso di storia della musica diluito
nel liceo, come base solida per studi futuri. E nel Triennio lavorerei in altre
direzioni: la storia delle forme e dei repertori musicali è certamente una
soluzione, ma credo che sarebbe interessare riformulare la storia della musica
nel suo rapporto con le altre storie e le altre discipline: dalla letteratura
alla filosofia, dall’arte alla matematica. Il problema della nostra scuola,
checché se ne dica, rimane la interdisciplinarietà. Parola spesso abusata, ma
vuota nella sua applicazione. Io mi sono trovato a parlare del “Combattimento di
Tancredi e Clorinda” e a scoprire che vari studenti ignoravano il nome di Tasso!
Un giorno tenevo una lezione sulla musica sacra in una classe di liceo e citai
l’Agnus Dei. Una studentessa (che tra l’altro era molto attenta e prendeva
appunti) mi chiese se era inglese (Agnus Day, il giorno dell’agnello!). Allora,
forse, non sarebbe male ripensare il corso anche in questa funzione
interdisciplinare per inserire la musica in un contesto più ampio e nello stesso
tempo per garantire un approccio culturale più serio, organizzato e armonico.
SL Fra le molte lacune che la nostra formazione musicale registra
rispetto a quelle dei paesi di più forte tradizione musicale, si nota la
mancanza di una educazione all’ascolto che metta lo studente, gradatamente, in
una condizione di familiarità con i linguaggi/stili musicali del passato, e in
condizione di riconoscerne all’ascolto i tratti caratteristici e distintivi. Si
tratta di un approccio molto diffuso all’estero, e sistematicamente coltivato
fino a livelli sofisticati.
A questa lacuna nell’insegnamento si
aggiunge spesso la scarsa abitudine degli studenti, anche avanzati, a seguire la
vita musicale e concertistica. Ne risulta una conoscenza della musica asfittica,
ridotta quasi totalmente a quanto viene direttamente conosciuto in sede di
studio dello strumento; e all’ascolto di dischi, spesso anche questo limitato
alla letteratura del proprio strumento.
Pensi che Storia della musica, intesa come disciplina d’insegnamento, possa o
debba farsi carico di un approccio sistematico all’educazione all’ascolto? E che
questo possa integrare sostanzialmente il tradizionale approccio
verbale/scritto?
RI Una educazione all’ascolto è fondamentale. La possibilità di spalmare
il corso tradizionale negli anni precedenti il triennio e di avere appunto il
Triennio a disposizione può servire per strutturare un programma nel quale gli
ascolti (ma anche la lettura di testi, così come la visione di quadri) abbiano
la giusta rilevanza, in termine di quantità e soprattutto di qualità: un ascolto
accompagnato da analisi, da valutazioni, da commenti.
SL Chi deve insegnare le “storie” più vicine allo strumento? Dai
decreti 90/09 (settori disciplinari) e 124/09 (ordinamento dei corsi, e
corrispondenze fra settori disciplinari e classi di concorso) si ricavano
conseguenze di non facile interpretazione.
Per esempio:
- “Storia
della musica elettroacustica” (CODM/05) è attribuito ai titolari di Musica
elettronica, e non di Storia.
- “Storia
del jazz, delle musiche improvvisate e audiotattili” (CODM/06) è attribuito ai
titolari di Jazz e non di Storia.
- Del
settore “Storia della musica” (CODM/04) – attribuito ai docenti di Storia della
musica – fanno parte alcune discipline collegate agli strumenti, come “Storia
delle forme e dei repertori musicali”, “Storia della teoria e della
trattatistica musicale”.
- Ma
allo stesso tempo di tutti i settori degli strumenti (CODI/01à22)
– attribuiti ai docenti di strumento – fanno parte, rispettivamente,
“Letteratura dello strumento” e “Trattati e metodi”, e inoltre “Fondamenti di
storia e tecnologia dello strumento”.
RI A questa domanda non saprei al momento
rispondere. Obiettivamente credo che i docenti di strumento possano a ragione
rivendicare il diritto alla trattazione della storia del loro strumento. Credo
tuttavia che si potrebbe pensare utilmente a un lavoro integrativo, con alcuni
momenti di lavoro comune.
(febbraio 2010) |