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sei in: DIDATTICA>QUADERNI DELLA RIFORMA/STORICI/BALDO

I quaderni della riforma/Storici


Le risposte di
LUCIA CRISTINA BALDO
 

Lucia Cristina Baldo diplomata in Pianoforte presso il Conservatorio di Brescia, in Analisi musicale presso il Conservatorio di Milano e laureata in Lettere all'Università degli Studi di Milano, ha svolto attività di critica musicale per il giornale Bresciaoggi e pubblicato contributi di carattere storico-analitico, di estetica musicale e sulla didattica della storia della musica (BresciaMusica, Musica e Cultura, Fenomenologia e scienze dell’uomo, I quaderni della civica scuola di musica di Milano, I quaderni del Conservatorio di Alessandria e di Brescia, Musica Domani, Analisi, AB, Il canto di Seikilos ed. Guerini, Metodi e strumenti didattici. Dall’esperienza musicale alla musica ed. Ricordi, Accordi ed. RCS Sansoni, Musica e Storia, atti del Convegno La didattica dell'ascolto, Fondazione Levi Venezia, in collaborazione con Il Saggiatore musicale). Ha pubblicato i libri Tempo e memoria, percorsi fra letteratura e musica (Edizioni dell’Orso) e Intrecci sonori, laboratori di ascolto su musica e parola (EDT). Per più di dieci anni ha curato gli incontri con le scuole Giovani a concerto collaborando con l’amministrazione provinciale di Brescia. È docente di storia ed estetica della musica presso il Conservatorio Luca Marenzio di Brescia-Darfo B.T.


Sergio Lattes
- C’è una polemica ricorrente a proposito della prevalenza, nella cultura accademica italiana, della dimensione storica su ogni altra, in ogni ambito disciplinare. Ovvero, estremizzando, della tendenza a ridurre ogni disciplina alla sua propria storia. Anche nel nostro settore, per fare un esempio, il termine “musicologia” ha stentato a farsi accettare in Italia, incontrando diffidenza nella cultura d’ispirazione storicistica. E a tutt’oggi la musicologia italiana è spesso considerata come quasi esclusivamente “storica”. Pensi che questa peculiarità esista, e che sia effettivamente un limite?

Lucia Cristina Baldo - Credo che la domanda si riferisca all’ambito didattico della storia della musica. Una delle tante “storie” nel nostro ambito disciplinare. Personalmente credo sia importante educare alla coscienza storica, ma sono convinta che si debbano riconsiderare i modi dell’insegnamento della storia. La narrazione cronologica si dovrebbe a mio avviso costantemente confrontare con l’attualità, gettando luce su problematiche contemporanee, in un interscambio fra passato e presente. E questo può valere anche per gli studi di musicologia storica in generale. Mi pare, però, che anche in Italia la musicologia non sia esclusivamente storica, che la musicologia sistematica sia piuttosto diffusa e che anche studiosi di musicologia “storica” si stiano occupando, ad esempio, di didattica della storia della musica e/o altri settori della musicologia sistematica.

SL Quali sono a tuo avviso i problemi specifici che il processo di riforma pone a Storia della musica intesa come disciplina?

LCB Il problema fondamentale credo stia nel fatto che il processo di riforma non affronta cosa si  intenda per insegnamento della storia della musica, e così si rischia (e molto) di identificarlo con un libro. Ma insegnare storia della musica significa innanzi tutto dare la conoscenza di un repertorio di musiche il più ampio possibile e di rendere i ragazzi capaci di discernimento stilistico all’ascolto.
Storia della musica, poi, rimane una disciplina insegnata solo nei (pochissimi) licei musicali e nei conservatori, rimanendo dunque ghettizzata in un ambito specificamente musicale, di formazione professionale, mentre credo che dovrebbe acquistare la medesima dignità attribuita alle altre storie, tanto più che molti argomenti di storia dell’arte, storia della letteratura, storia della filosofia si intersecano con altri di storia della musica.

SL Il ruolo e il peso che l’ordinamento del 1930 attribuisce alla storia della musica oggi ci sembrano insufficienti e inadeguati nella formulazione dei contenuti. Tuttavia furono a quel tempo il frutto di una “battaglia culturale” vinta. Infatti l’esame, con le sue famose tesi, fu stabilito come un catenaccio senza il quale non si potesse arrivare al compimento degli studi di qualunque strumento. Per ottenere questo, si dovettero superare le forti resistenze di chi opponeva l’argomento che non si potesse negare il compimento degli studi musicali a uno strumentista di grande talento ma di scarsa alfabetizzazione. Come dire: se è bravo, non importa che non sappia la storia della musica.
Esiste anche oggi questo modo di pensare? E con quali argomenti si può affrontarlo?

LCB Nei miei trent’anni di insegnamento, fra scuola media e conservatorio, ho visto gradualmente affievolirsi questa mentalità. Ora ho colleghi di strumento che credono nell’importanza dell’insegnamento della storia, e, anche di conseguenza, mi trovo a lavorare con ragazzi recettivi. Non sono però in grado di dire se questa tutto sommato positiva situazione sia da riferirsi all’ambito specifico del mio insegnamento (Conservatorio di Darfo, sez. staccata di Brescia) o se si possa considerarla come espressione di un generalizzato mutamento di mentalità. Credo che, comunque, gli argomenti per affrontare e cambiare tale “vecchio” modo di pensare stiano sempre, come detto prima, nei modi della didattica e nei modi della distribuzione del programma. Al di là della stessa compilazione delle famose tesine, entro le quali si possono perfino trovare degli errori oltre alla plateale pessima distribuzione degli argomenti, ritengo che un programma di storia della musica rivolto a strumentisti debba privilegiare la musica dal XVII secolo a tutto il XX secolo, fino anche ad affrontare esperienze contemporanee, limitando la trattazione della musica antica ai concetti fondamentali e alla formazione di una coscienza storica.

SL Ritieni che l’attuale corso ordinamentale di storia della musica debba svolgersi, in tutto o in parte, nel triennio (e quindi in tutto o nella stessa parte essere “abbonato” a chi abbia già conseguito la licenza prima di entrare nel triennio), oppure pensi che gli studi di storia della musica, nel triennio, debbano essere “altri”, e quindi che l’attuale corso debba costituire un debito per lo studente privo di licenza (salvo che dimostri una competenza equivalente in sede di esame di ammissione)?
E in questo secondo caso, pensi che la storia della musica nel triennio debba essere più approfonditamente sistematica, oppure monografica, oppure invece riguardare altri campi disciplinari dello stesso settore, come per esempio “storia delle forme e dei repertori musicali”?

LCB Impossibile svolgere un programma di storia della musica che preveda l’intera trattazione dall’antichità ai tempi nostri nel corso del triennio, data la forte limitazione delle ore a disposizione rispetto al corso tradizionale. Quindi credo che decisamente gli studi debbano essere “altri” e che l’attuale corso debba rappresentare un debito nel caso lo studente non dimostri di avere una competenza equivalente in sede di esame di ammissione. (lasciando pure perdere il fatto che anche chi può aver ottimamente conseguito la licenza potrebbe non avere alcuna competenza sulla musica del XX secolo o avere una formazione “libresca” avulsa da un autentico ascolto analitico.

Propendo per una impostazione a carattere monografico, un po’ come avviene anche in ambito universitario, prevedendo anche una parte dell’esame di carattere generale, sulla base di una bibliografia incentrata sulla conoscenza generale della storia della musica.

SL Fra le molte lacune che la nostra formazione musicale registra rispetto a quelle dei paesi di più forte tradizione musicale, si nota la mancanza di una educazione all’ascolto che metta lo studente, gradatamente, in una condizione di familiarità con i linguaggi/stili musicali del passato, e in condizione di riconoscerne all’ascolto i tratti caratteristici e distintivi. Si tratta di un approccio molto diffuso all’estero, e progressivamente coltivato fino a livelli sofisticati.
Pensi che Storia della musica, intesa come disciplina d’insegnamento, possa o debba farsi carico di un tale approccio, integrando sostanzialmente il tradizionale approccio verbale/scritto? E saresti d’accordo su un’applicazione sistematica di questo tipo di didattica, per livelli progressivi di abilità?

LCB Indubbiamente, e credo a tal proposito di avere già risposto nelle precedenti domande. Personalmente non concepisco l’insegnamento della storia della musica come puro approccio verbale scisso dall’analisi musicale. E a tal proposito penso che sarebbe auspicabile una collaborazione con altri insegnamenti, come armonia e analisi. Sono convinta che l’insegnamento di storia della musica debba proprio essere concepito anche come educazione all’ascolto e avere fra i propri obiettivi l’acquisizione della capacità di riconoscere all’ascolto i tratti caratteristici di uno stile musicale. E dunque l’analisi della partitura legata all’ascolto dovrebbe costituire uno strumento imprescindibile nella didattica della storia della musica. Cito da un mio contributo al Convegno al Conservatorio di Alessandria “Dalla cornice al quadro”(aprile 2000), che vi allego per intero: “Credo, innanzi tutto, non ci si debba stancare di ripetere che non si può intendere la storia della musica soltanto come insieme di informazioni. Probabilmente nessuno più dà peso a nomi di trattati, date, elencazioni di opere, ecc.; a queste nozioni ne sono subentrate altre, di natura più concettuale, a volte anche di carattere analitico, con riferimenti precisi a delle composizioni. Peccato che spesso esse siano, comunque, legate ad un apprendimento «libresco», avulse dall’ascolto e, soprattutto, accompagnate, spesso, dalla incapacità di un loro utilizzo. Ne viene che un resoconto ben strutturato sul Barocco, ad esempio, possa essere accompagnato dalla mancanza di abilità nel riconoscimento di una musica barocca! Può sembrare grottesco, ma avviene. Insomma, credo che l’acquisizione del «sapere» debba essere ben legato alla formazione di capacità indirizzate alla utilizzazione delle nozioni apprese, al fine di comprendere qualcosa di «nuovo», come il riconoscimento di uno stile musicale di un’epoca o di un autore all’ascolto, l’osservazione critica e consapevole di varie interpretazioni di un medesimo brano, l’impiego del proprio patrimonio culturale, storico e analitico, nell’esecuzione.”  Mi chiedo anche, in proposito, se tutti i momenti di riflessione che negli anni scorsi si sono susseguiti su riviste o in convegni sono stati tenuti in considerazione nel processo di riforma. Personalmente ho seri dubbi in proposito, tanto da pensare che preferirei che fossero stati deliberatamente criticati e rifiutati piuttosto che ignorati, come purtroppo propendo a credere.

SL Chi deve insegnare le “storie” più vicine allo strumento? Dai decreti 90/09 (settori disciplinari) e 124/09 (ordinamento dei corsi, e corrispondenze fra settori disciplinari e classi di concorso) si ricavano conseguenze talvolta contraddittorie, o di non facile interpretazione.

LCB Ritengo, semplicemente, che ci si possa appellare ad un “sano empirismo”, ovvero affidandoli di volta in volta a chi possiede le competenze dello specifico insegnamento, non solo sulla base della propria titolarità, ma anche tenendo conto di titoli artistici, studi, attività, pubblicazioni.

(febbraio 2010)

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