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AMATORI E PROFESSIONISTI, NON FACCIAMO CONFUSIONE

Conversazione con Tommaso Napoli

 

Di sé dice: sono nato nel 1981 a Milano, città in cui ho iniziato a studiare il violino (con Maurizio Schiavo, Laura Riccardi ed Elena Ponzoni) e mi sono laureato, sotto la guida di Giulio Giorello e Marina Calloni, prima in epistemologia e poi in sociologia. Dal 2012 ho frequentato il dottorato di ricerca in Pianificazione delle Politiche Pubbliche presso lo IUAV di Venezia, conseguendo il titolo sotto la guida di Pierluigi Crosta con la tesi "Politiche di partecipazione musicale". Attualmente lavoro come Copywriter presso l'agenzia di comunicazione La Fabbrica, ma la mia vera passione è la musica. Nel 2012 ho infatti fondato AIMA - Associazione Italiana Musicisti Amatori, che organizza le attività musicali di oltre 300 musicisti appassionati dell'area di Milano e di Roma. Sono membro del Consiglio Direttivo del WFAO (World Federation of Amateur Orchestra) e rappresentante italiano presso l'IAC (International Advisory Council) di ACMP (Amateur Chamber Music Players).



Chi sono i musicisti amatori.

Persone che suonano per passione.

Lapidario. Qual’è la linea di confine fra amatori e professionisti?

Primo, il professionista vive del lavoro musicale, mentre l’amatore vive di un altro lavoro. La stessa differenza che c’è fra Ronaldo e me che vado a giocare a calcetto con gli amici.

Ovviamente questo comporta anche una differenza di qualità, di approfondimento, di tempo che si dedica alla musica. Ronaldo è sicuramente più bravo del ragazzo che gioca per strada.

Quello che dici è molto chiaro, ma ho dei dubbi. Il primo è sul fatto che gli amatori suonino sempre gratis.

Possono avere dei rimborsi, a fronte di spese sostenute. Questo non c’entra con la storia dei finti rimborsi spese, in nero. Quelli per me sono dei cachet, seppur piccoli. In questo caso si sta facendo del cattivo professionismo.

Chiaro e netto. Però ho l’impressione che esista in mezzo una sorta di zona grigia.

Vero, c’è una zona grigia. E il punto è che una parte non piccola della vita musicale italiana si svolge in questa zona grigia. Che è abitata da giovani di talento che non riescono ad emergere per mancanza di spazi e di opportunità, ma anche da tanti che da noi si ritengono professionisti – e non lo sono - mentre altrove si ritengono amatori, cioè persone che suonano per il piacere di suonare.

Per esempio: in Germania ho sentito orchestre di amatori che suonano le Sinfonie di Mahler. In Italia le persone che suonano a quel livello tecnico si considerano e si dichiarano professionisti. Ma sono e dovrebbero dirsi amatori.

Forse dipende dal fatto uno abbia o meno un altro mestiere, un altro reddito…

Certo, ciascuno sceglie quali sono i suoi orizzonti professionali. Nei nostri gruppi ci sono avvocati giudici, preti...è gente per cui la musica non è un lavoro. Al più, c’è qualche insegnante di musica nella scuola media.

Ecco un caso concreto: un insegnante di musica nella scuola media, come esecutore è un professionista o un amatore?

Secondo me è un amatore. Così mi sento dire da tanti all’estero. Certo se fa 200 concerti all’anno e l’insegnamento è solo un di più, una sicurezza di riserva, è un altro discorso. Ma se ne fa 3, è ovviamente un musicista ma come esecutore è un amatore, secondo me.

Questione complicata: quasi tutti i musicisti sono insegnanti.

Penso che la discriminante non sia il livello della performance – fra l’altro, sul piano della qualità esecutiva ci sono eccellenti amatori, e ci sono mediocri professionisti. L’unica discriminante possibile è se la performance è pagata o no: è la performance, il modo in cui ci si presenta al pubblico, che si qualifica come amatoriale o professionale, non la persona.

Cambiando argomento: quanti sono gli amatori?

In Italia pochi rispetto ad altri Paesi. Sono riuscito a contare 25-26 orchestre amatoriali includendo anche semplici scuole di musica, gruppi giovanili eccetera. In Germania per fare un esempio ci sono 8/900 orchestre sinfoniche amatoriali. E in Gran Bretagna includendo anche i gruppi che fanno musica etnica si va oltre i 4000.

Poi ci sono i cori.

Qui in Italia va un po’ meglio – se ricordo bene una ricerca del Comune di Milano qualche anno fa ne censiva 200 in città - ma il confronto è sempre impari.

Le cause?

Sono varie. Intanto in Italia la tradizione sinfonica e quella cameristica non hanno grandi radici. Poi non c’è la mentalità del costruire, del prendere l’iniziativa: per lo più ciascuno aspetta che qualcun altro lo chiami a suonare. E’ difficile che una persona perché vuole suonare, si muova, cerchi gli altri, si organizzi. Anche gratis, perchè gli interessa farlo. Poi c’è il problema dell’abbandono: il più delle volte coloro che hanno compiuto un ciclo di studi musicali, se non riescono a diventare professionisti, smettono. Non continuano a suonare per passione, perché è bello suonare.

E la scuola?

Certo, la scuola incentiva poco. Si può uscire da un liceo senza sapere quando è vissuto Beethoven. Ma quello che manca sopratutto è l’idea del valore educativo del suonare. Non è una faccenda che riguardi solo chi “è portato per la musica”, e non gli altri. Manca la consapevolezza che suonare fa bene alla salute, educa la mobilità del corpo, educa allo stare insieme, educa ad ascoltare, fa conoscere altre persone, è un modo per interagire con gli altri in un modo intelligente, colto, raffinato. La musica andrebbe incentivata in quanto tale. E voglio aggiungere che non è solo una questione di costi: è una questione di mentalità. Manca l’idea di vivere la musica come un ambito della quotidianità, come andare a correre la mattina, e lo fanno in tanti.

A proposito di scuola, come vedi il rapporto fra istruzione musicale formale, i Conservatori in particolare, e il mondo amatoriale?


Ne vedo pochino, anche perché i Conservatori sono per definizione scuole professionalizzanti. Comunque qualcosa in giro c’è. A Padova per esempio hanno avviato delle iniziative rivolte agli amatori.

Ma ti faccio un caso concreto. Sono andato in giro nelle classi del Conservatorio di Milano a cercare un contrabbassista per un’orchestra amatoriale. La risposta-tipo dell’insegnante era: guarda, quelli bravi vogliono essere pagati, gli altri non sanno suonare e non te li consiglio. Intendiamoci: è giusto che i Conservatori mettano l’accento sulla qualità esecutiva e mirino a formare professionisti. Quello che rimane escluso dalla visuale è che anche per chi non è bravissimo la musica possa rimanere un valore, un valore che è essenzialmente sociale. E qui si torna al discorso di prima: i diplomati che non entrano nella professione non continuano a suonare, appendono lo strumento al classico chiodo.


E vengo all’altra questione: il rapporto fra gli amatori e le istituzioni concertistiche.

Parto da qui: noi abbiamo come regola quella di non suonare con biglietti o altre forme di pagamento. D’altra parte io temo sempre una forma di dumping, lo sfruttamento del fatto che gli amatori vengono gratis. Magari il concerto ha una sua appetibilità, viene messo in una stagione, costa zero, fa numero ai fini della produzione. Diventa così una produzione low cost che toglie lavoro ai professionisti.

Certo non tutto è da vedere in questa chiave. C’è anche il fatto che gli amatori possono portare nuovo pubblico, possono contribuire all’allargamento dell’utenza.

Però mi rimangono molti dubbi. Penso sia preferibile che i due ambiti rimangano distinti. Noi suoniamo, gratuitamente, per un pubblico che a sua volta non paga. I nostri incontri - parlo dei Cambristi – non si chiamano concerti ma raduni. Non c’è una finalità “estetica”, non c’è una programmazione pensata.

E questo è condiviso da tutti?

In ogni amatore alberga da qualche parte il segreto desiderio di essere considerato un professionista. Ma bisogna sapersi controllare, sapere in quale campo si sta. Il rischio è quello di passare da amatore a dilettante, presentandosi su un proscenio che non è quello giusto, vendendosi per quello che non si è.

Finora ci siamo riferiti alla musica classica, o colta o d’arte che dir si voglia. Ma c’è un numero molto maggiore di persone che per diletto o per passione suona le “altre” musiche, quelle di più largo consumo. Voi ne avete al vostro interno?

No, noi ci occupiamo di “classica”. Ma è indubbio che anche quelli che dici tu sono amatori, come del resto lo sono i musicisti delle bande, che hanno tutto un loro mondo.

Anche lì però c’è da vedere dove passa il confine fra amatori e professionisti. Molti gruppi hanno un elemento più professionale, mentre gli altri “di giorno” fanno altri mestieri.

Sono d’accordo. C’è da fare la stessa distinzione.


Ottobre 2019


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