Pop/Rock un anno dopo
Un quaderno di conversazioni
Daniela Uccello
con Sergio Lattes
Daniela Uccello, soprano, fa
parte della ristretta cerchia dei cantanti lirici che, oltre che all’Opera, si
sono dedicati a fondo al repertorio liederistico. Ama inoltre il repertorio
contemporaneo ed è autorevole interprete di Manzoni, Guarnieri, Furrer, Yun,
Morricone, Sinopoli, Sollima. Insegna Musica vocale da camera al Conservatorio
di Milano.
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Il nostro tema è il corso di Pop/Rock
nei Conservatori. Cominciamo a parlarne da dove preferisci.
Comincio da qui: se fossi
un aspirante musicista della Popular Music non andrei in Conservatorio. Primo,
perché l’accademizzazione di qualcosa che è popolare, per definizione, è un
ossimoro. Secondo, perché i Conservatori non sono attrezzati, la Popular Music
ha componenti complesse come quella visuale – clip, video – e quella della
“costruzione del personaggio” (comunicazione, marketing): che risposte può dare
il Conservatorio? Inoltre c’è bisogno di spazi, sale di registrazione e così
via. Il suono del Pop e del Rock è sempre frutto di un’elaborazione tecnologica,
occorre una strumentazione adeguata.
Al momento dell’emanazione del
decreto, in molti Conservatori ci sono stati malumori. E’ una questione di
“conservatorismo”?
Faccio una considerazione
di metodo. Penso che ci siano state discussioni e polemiche
perché non c’è stata una elaborazione culturale nei Conservatori. Se ci fosse
stato un dibattito all’interno del corpo docente – parlo del mio istituto ma
intendo anche a livello nazionale - l’innovazione sarebbe stata accolta meglio
di quanto non sia avvenuto. E magari sarebbe stata anche fatta meglio. Invece
così è stata vissuta da molti come un’imposizione calata dall’alto. Altro che
autonomia…
Ma tant’è. La mia idea non è preconcetta. Non credo si tratti
di prendere una posizione “passatista”, ostile pregiudizialmente a generi nuovi
o non “classici”. Bisogna vedere come si fa,
come questo si inserisce nella “missione” di un Conservatorio. La quale a me
sembra sia quella di formare strumentisti capaci, dare loro stimoli culturali
diversi, senza però perdere di vista la tutela del patrimonio storico. I
Conservatori sono in un certo senso musei, sono custodi di un patrimonio. Esiste
oggi un cultura museologica moderna, i musei sono oggi profondamente diversi da
50 anni fa e hanno un riverbero sociale talvolta molto alto. Tuttavia questo non
mette in discussione la tutela del patrimonio come primo valore.
Oltre che di convivenza fra
tradizione e contemporaneità, qui però si tratta di convivenza fra musica d’arte
e musica di consumo, o come la si voglia chiamare.
Non c’è necessariamente una
contraddizione. Esiste una continuità storica, per esempio, fra la
canzone di Dowland e la canzone del XX secolo. Cathy Berberian aveva un
programma “Da Monteverdi ai Beatles”. C’è sempre stata interferenza, scambio fra
musica popolare e musica colta. Il che non significa confonderle, perdere di
vista la densità, la ricerca, l’astrazione che sono proprie del prodotto d’arte.
Nel concreto, come valuti il percorso
proposto per il Pop/Rock?
Una delle cose che più mi lasciano perplessa è proprio la
“separatezza” del nuovo corso. Gli studenti faranno un percorso che non ha quasi
nulla in comune con gli altri studenti, salvo Teoria ritmica e percezione e
Storia della musica: veramente poco. Per il resto il corso è del tutto separato.
Vedo in questo varie conseguenze: una sperequazione con gli studenti degli altri
settori, che arrivano al triennio dopo un lungo percorso. I diplomati in
Pop/Rock avranno un titolo uguale entrando “direttamente in finale”, cioè
cominciando direttamente col Triennio. Avranno la stessa qualifica legale, la
stessa possibilità di accesso alle graduatorie per l’insegnamento.
Ci vedo una sperequazione non solo sul piano
dell’acquisizione di “diritti”, ma anche sul piano della sostanza, della
“densità” del percorso di studio. Il Pop/Rock comporta lo stesso carico di ore,
mesi, anni della vita dedicati allo studio tecnico dello strumento che
richiedono gli strumenti tradizionali o il canto? Ho qualche dubbio.
Ma la conseguenza è
negativa anche al contrario: gli studenti dei corsi tradizionali vengono ad
essere tagliati fuori da ogni contatto con la Popular Music, così come già con
il Jazz. Eppure sarebbe estremamente utile: per esempio non mi sembra sensato
che un pianista, un musicista cui oggi si richiede tanta duttilità e competenza,
arrivi a essere “laureato” senza aver avuto nemmeno un minimo contatto con il
linguaggio del Jazz.
Penso sarebbe stato molto
più utile se il Pop/Rock fosse stato pensato come una specializzazione, dopo una
solida formazione “classica”, comune a tutti, fino al triennio. Anzi, direi in
questo caso più specializzazioni, perché certamente alla Popular Music
afferiscono molte e diverse competenze professionali.
Voglio dire che la missione
del Conservatorio, come accennavo prima, è di formare musicisti capaci, colti e
qualificati: questo deve valere qualunque sia la specialità in cui si diplomano.
Vorrei a questo proposito ricordare che molti nomi illustri della Popular music
hanno avuto una formazione classica – cito qui solo Elio delle Storie Tese, ma
ce ne sono molti altri – oppure l’hanno cercata a un certo punto di una carriera
già avviata, e qui cito il caso di Gianni Morandi. Il Pop/Rock in sé e per sé si
può imparare dappertutto, senza le complicazioni di un percorso accademico.
Gennaio
2019
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