Pop/Rock un anno dopo
Un quaderno di conversazioni
Vincenzo De Vivo
con Sergio Lattes
Vincenzo De Vivo, organizzatore musicale, ha
diretto diversi teatri europei e istituzioni formative nel campo del teatro
lirico.
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Il Pop/Rock nei Conservatori.
Cominciamo da dove preferisci.
Chi si rivolge a un Conservatorio in cerca di una
formazione accademica - anche per affrontare un genere che ha normalmente un
iter formativo assolutamente antiaccademico - credo debba affrontare la materia
specifica come un campo di specializzazione, dopo aver seguito studi e
metodologie che formano il musicista tout court. Deve cioè seguire studi che gli
diano gli strumenti per analizzare e suonare la musica, quale essa sia. Dopo
viene la scelta di un genere in cui specializzarsi. Perciò mi lascia molto
perplesso l’istituzione di un percorso che non condivida buona parte della
formazione con tutti gli altri percorsi del Conservatorio.
Per verità, dal punto di vista
formale il piano di studi formulato dal Miur per il corso accademico Pop/Rock
non è diverso dagli altri percorsi più o meno tradizionali. Semmai quello che fa
la differenza sono le scelte culturali, nel senso che sono condivise con gli
altri percorsi solo le discipline
Teoria, ritmica e percezione e Storia della
musica. Che se considerate come studi di base sono ben poco come condivisione
con gli altri percorsi.
Non mi sembra
sufficiente. Se vuoi semplicemente imparare il Pop e il Rock
puoi scegliere fra molte scuole private. E probabilmente in Conservatorio
faresti molte cose che non ti serviranno. E, ancora, non è detto che i
Conservatori rappresentino la condizione migliore come spazi e come
attrezzature.
Se invece voi fare uno studio di tipo
accademico il tuo bagaglio dev’essere un altro. Devi avere la stessa base di
conoscenza e di pratica musicale da cui partono quelli che si occupano di altri
generi.
Per farne una
metafora: se vuoi occuparti di dialetto o di dialetti a livello universitario
non puoi prescindere dalla conoscenza della grammatica, della sintassi e della
letteratura della lingua, oltre a quelle del dialetto di cui ti vuoi occupare.
Se invece ti interessa semplicemente affinare il tuo dialetto per poter
scrivere, che so, un sonetto in romanesco, lo puoi fare in un altro contesto.
Forse la domanda centrale da
porsi è se il canone classico debba considerarsi elemento fondativo della
formazione di un musicista, o se sia un genere fra gli altri.
Sono per la prima risposta, soprattutto in una istituzione
pubblica. Se vai in Conservatorio, la formazione specifica deve poggiare su una
competenza musicale globale. Non si tratta semplicemente di superare un esame di
Storia della musica. Si tratta invece di conoscere concretamente il linguaggio
della musica occidentale, e le diverse declinazioni di questo linguaggio
attraverso le epoche e attraverso i generi.
Faccio qui un altro
esempio: se tutti i pittori astrattisti sono nati come figurativi, significa che
anche per fare il pittore astratto devi possedere il canone classico, che è
quello figurativo: se non altro, per poterlo negare.
Tornando al
discorso iniziale non vedo scandalo se il Conservatorio fa un corso accademico
su un genere antiaccademico. Significa però innestare la pratica e l’analisi di
un genere antiaccademico su una conoscenza della musica più ampia – come
fenomeno culturale e come fenomeno tecnico. Quindi comprendendo anche la pratica
di uno strumento “classico”, con il suo repertorio storico. E magari la pratica
di uno strumento, come il pianoforte, che sia funzionale all’analisi.
In conclusione si potrebbe dire che il musicista è
uno solo?
E’ colui che, all’interno di una tecnica,
ha ricevuto gli strumenti per poter analizzare e mettere in pratica qualsiasi
tipo di scrittura.
Febbraio
2019
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