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L'alta formazione musicale in Italia

DALL'ITALIA


GIANNINI E L'AFAM

 

Dunque Stefania Giannini è l'unica testa importante caduta nella staffetta Renzi-Gentiloni. Non è qui il caso di fare ipotesi sulle ragioni del cambio di ministro. Qualche considerazione, invece, sul suo operato nei confronti del settore Afam, che sia lei sia il suo premier hanno ripetutamente indicato come specifico e cruciale per le peculiarità nel nostro Paese e del suo patrimonio culturale.

L'elenco delle cose che Giannini non ha fatto per l'Afam, e in particolare per la formazione musicale, è nella newsletter che il sito della Conferenza dei docenti dei Conservatori (www.docenticonservatorio.org) ha inviato in questi giorni ai suoi iscritti. Ed è puntuale: dalla mancata emanazione del regolamento sul reclutamento, e di tutti i regolamenti mancanti, alla messa a ordinamento dei Bienni, all'attivazione del terzo livello degli studi, fino alle questioni economico-finanziarie e alle annose questioni che riguardano il personale.

A questo elenco aggiungerei un paragrafo su una questione apparentemente tecnica, ma in realtà sostanziale. Sono ormai anni, e il ministero Giannini non ha cambiato rotta, che le poche cose che sono state legiferate sul nostro settore sono state sparse in leggi che parlavano d'altro, in decreti milleproroghe, in leggi di stabilità, in leggi sulla scuola ordinaria. Questo non è solo lo specchio limpido della mancanza di un disegno d'insieme, ma è anche una perversione legislativa che impedisce a una persona normale di sapere quali sono le norme che regolano un settore, e la obbliga a rivolgersi a un tecnico di codici e pandette. Con il risultato che solo pochi tecnici, appunto, detengono il potere della conoscenza che è il presupposto di ogni azione di governo, a qualunque livello.

Tutto ciò premesso, bisogna ricordare che nella primavera scorsa il ministro Giannini ha dedicato alla formazione musicale una parte consistente della sua relazione alla VII Commissione del Senato. In quella sede Giannini ha esposto una sua visione d'insieme del sistema. Che ovviamente si poteva condividere in tutto o in parte, o per niente: ma innegabilmente era una visione d'insieme. Ne faceva parte la questione della separazione della fascia pre-accademica da quella accademica, in una prospettiva di redistribuzione e di razionalizzazione del sistema della formazione musicale sul territorio. E la creazione di un dialogo di sistema fra la fascia pre-accademica nei Conservatori e la formazione musicale nella scuola ordinaria, dove nel frattempo si progettava di incrementare fortemente la parte pratica. In altre e più semplici parole: tutti studiano uno strumento nella scuola elementare e media, e man mano che si manifestano talenti specifici, vengono indirizzati verso i Conservatori pre-accademici, ben diffusi sul territorio. Mentre Trienni e Bienni, a vocazione specificamente professionale, si distribuiscono diversamente e più razionalmente nel Paese.

Questo disegno ha suscitato un putiferio nell'ambiente dei docenti perchè avrebbe avuto delle evidenti ricadute sulla loro posizione giuridica e contrattuale, anche se tutte da definire. Poichè però la riforma delle Poste si fa per gli utenti e non per i postini, sarebbe stato bello se fra i docenti, che sono professionisti, si fosse aperta una discussione professionale sulle ricadute di una simile proposta non sui docenti ma sull'utenza e sulla didattica. Per esempio, sulla possibilità di correggere, nella prospettiva indicata da Giannini, la stortura evidente per cui i Conservatori effettuano la selezione dei futuri musicisti sulla ristrettissima base numerica di quei pochi bambini o ragazzini che, per ragioni di cultura familiare, di censo, di zona abitativa chiedono l'ammissione in Conservatorio. Poche diecine, in territori con una popolazione scolastica di diecine o centinaia di migliaia di ragazzi in età atta a iniziare lo studio di uno strumento: una selezione inefficiente, oltre che spesso affidata a esami attitudinali poco attendibili.

Un altro aspetto della prospettiva enunciata dal ministro conteneva ricadute da discutere: la possibilità di differenziare le competenze didattiche di chi insegna nell'alta formazione da quelle di chi è chiamato a insegnare nelle fasi iniziali dello studio di uno strumento. Insegnare ai bambini è un mestiere. I Conservatori applicano tutt'oggi a tutti gli allievi - dal principiante allo studente di Biennio - lo stesso modello di didattica strumentale, quello tradizionalmente fondato sulla pratica artigianale, che si trasmette per imitazione e per suggestione. Modello che è irrinunciabile ai livelli alti della prassi esecutiva, molto meno nella didattica di base. Dove il docente ha invece forte bisogno di una formazione appunto didattica, di strumenti di aggiornamento continuo, di una rete di relazioni che permetta la circolazione di idee e di conoscenze sulle tecniche didattiche.

Dunque il disegno esposto da Giannini meritava forse di essere più approfonditamente considerato nell'ambiente. Il problema però è, come si suol dire, un altro. A questo disegno sistematico il ministro giungeva dopo ben 26 mesi di Cantieri, di Chiamate alle arti, di audizioni degli stakeholder e quant'altro, per poi tirar fuori questo piano del tutto inedito. Come se si cominciasse da capo. Come se lei stessa, il ministro, avesse davanti a sè un tempo indefinito. E come se non dipendesse dal ministro, appunto, la cosa più urgente: il completamento della legge di riforma, ancora incompiuta dopo diciassette anni.

Si sa come è finita: una manciata di mesi dopo il governo è caduto, il ministro è cambiato, e ben difficilmente questo governo a tempo avrà tempo per occuparsi di Afam e di Conservatori. Giannini, per noi, ha fatto quel che avrebbe forse potuto un buon Ufficio Studi del Ministero.

(s.l.)
Gennaio 2017                                                                                                                                                                                       pagina Facebook


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