"Educazione
musicale: punto e a capo?" - Milano,
11-13 settembre 2009
Il convegno
SIEM 2009 visto da un organizzatore
di
Carlo Chiesa (Sezione
territoriale della SIEM di Milano)
A più di un mese dalla chiusura del Convegno Nazionale della SIEM
sull’”Educazione musicale: punto a capo?” non siamo ancora in grado di farne un
bilancio completo ed esauriente: per farlo occorrerebbe riprendere in mano le 15
relazioni, studiarle e confrontarle tra loro alla ricerca di convergenze e
divergenze significative; risentire gli interventi di apertura e chiusura del
Convegno; conoscere il lavoro fatto nei 6 laboratori sulla Creatività musicale
nella Scuola; valutare la portata delle interrogazioni durante i dibattiti;
sondare in qualche modo l’umore e le sensazioni dei 220 partecipanti (oltre 300
gli iscritti ufficiali) e soprattutto capire e interpretare le istanze palesi o
nascoste sottese ad ogni intervento che in qualche modo hanno reso vivo e vitale
un evento che poteva essere solo di freddo bilancio dopo 40 anni dalla
fondazione della SIEM o di sola autocelebrazione.
Mi limiterò quindi, quale partecipante interessato e abbastanza attento, a
riportare qualche eco dell’avvenimento e a sottolinearne qualche aspetto o
particolare di una certa importanza per il sottoscritto, cercando ovviamente di
essere il più possibile obbiettivo.
1.
A nessuno è sfuggita la molteplicità di sensi che il titolo del Convegno
(“Educazione musicale: punto e a capo?”) può sopportare, soprattutto con quel
punto di domanda che lo rende ancor più intrigante. Dal complesso del Convegno
si è capito che il punto di domanda può essere tranquillamente cancellato: si fa
il punto della situazione per ricominciare il lavoro educativo con rinnovato
slancio e consapevolezza del cammino fatto e di quella da fare.
2.
Il Convegno è stato incorniciato da due performances musicali: l’esibizione del
Coro di voci bianche Orecchioalato della Scuola di Musica “C. Monteverdi” di
Cologno Monzese e l’esecuzione da parte della Clarinettista Selene Framarin di
musiche di Stockhausen. Non è stata una scelta dettata dall’esigenza di trovare
elementi “ornamentali” per un Convegno che di musica pur trattava e neppure di
offrire ai partecipanti momenti spettacolari a sé stanti e avulsi dalle
tematiche affrontate. Al contrario, come hanno sottolineato sia Annibale
Rebaudengo nella sua presentazione che Roberto Neulichedl nella sua conclusione,
essi volevano rappresentare un esempio concreto del modo di “far musica” nella
scuola: se lo slogan di Luigi Berlinguer “un coro per ogni scuola” appare un po’
utopistico è pur vero che una didattica rinnovata deve portare a far emergere
gli aspetti “performativi” insiti nella musica “pratica”, soprattutto quando si
sposa con le altre arti sorelle come la danza o comunque il movimento e la
recitazione. Proprio l’esibizione della Clarinettista ha mostrato con evidenza
che quando la mimica e la danza si uniscono alla semplice esecuzione allo
strumento non solo viene esaltato il senso del brano, ma viene reso fruibile e
“digeribile” all’ascolto anche un pezzo come quello di Stockhausen che, servito
freddo e statico alle 9.00 del mattino, sarebbe risultato un po’ “pesante”,
come argutamente ha osservato Roberto Neulichedl.
Ma proseguiamo con una veloce sintesi delle tematiche emerse.
3. L’ esposizione dei Poster delle varie sezioni
con le attività fatte e in progetto ha contribuito a informare e a far sentire
la vitalità di una associazione come la SIEM che non deve rischiare di chiudersi
nel particolare locale.
Del resto proprio l’isolamento del singolo docente come delle singole sezioni e
ancora delle singole Associazioni sembra essere principio di asfissia, di
involuzione didattica, di atrofia delle forze di rinnovamento e di slancio in
avanti perseverante. Dario De Cicco, riferendo de “Il punto di vista e di
ascolto degli insegnanti delle sezioni territoriali SIEM” su vari argomenti
anche legati all’Educazione musicale nella scuola, ha proprio esordito facendo
presente che questo è il lamento diffuso da parte di molti insegnanti: il
sentirsi soli e un po’ abbandonati nell’affrontare i problemi quotidiani
dell’insegnamento. E’ un dato: la SIEM è nata , come ci ha raccontato Carlo
Delfrati, proprio dal tentativo di dare anche una risposta a questo problema e
quindi il fatto che sia ancora sentito oggi non può lasciare indifferenti.
Occorre trovare nuovi modi per far sentire la presenza di una forza collettiva
alle spalle di tutti i docenti a sostegno del loro sforzo e stimolare gli
stessi ad aprirsi verso il più vasto mondo musicale che li circonda.
Dall’isolamento del singolo docente a quello
possibile e reale delle Scuole da collegare fra loro. Maria Grazia Bellia ha
proposto la creazione di un Network di condivisione che permetta di scambiarsi
esperienze in rete e comunicarsi le novità, anche e non solo per lo sviluppo
della Ricerca/Azione come modalità didattica da diffondere. Rientra in questo
ambito anche il progetto NetMusic, illustrato da Neulichedl e presentato agli
interessati da Alessandro Lamantea grazie una postazione fissa nella hall.
Dalle Scuole alla “volontà di non camminare da
sole” da parte delle varie Associazioni musicali, ben rappresentate nel Convegno
che confrontandosi tra loro apertamente hanno contribuito al rafforzamento del
Forum per l’Educazione Musicale: organismo finalizzato a coordinare le varie
organizzazioni esistenti per sostenere i passaggi nodali di politica culturale
musicale.
Muovendosi quindi in maniera coordinata e
organizzata tutte queste forze sono chiamate ad affrontare alcuni “nodi
strategici” che rimangono ancora insoluti, come ci ha ricordato ancora Delfrati:
diritto all’esperienza musicale per i giovani al di sopra dei 14 anni; riforma
dei Conservatori; promozione delle nuove tecnologie; rinnovamento delle
pratiche.
Dirò succintamente qualcosa per ogni punto.
4. “Diritto all’esperienza musicale per i giovani
al di sopra dei 14 anni”. Su questo tema ci hanno offerto le loro informazioni e
riflessioni in particolare Sergio Scala e Emanuele Beschi. La conquista dello
spazio e degli spazi per l’educazione musicale all’interno dell’istruzione di
base e fino alla secondaria di secondo grado compresa non è stata ancora
completata: manca ancora quest’ultima fascia per poter dire almeno che tutti
vedono riconosciuto il loro diritto ad una educazione veramente completa che non
prescinda dalla componente musicale. Quella benedetta “musica per tutti”
invocata da Berlinguer è ancora lontana dall’essere realizzata. E’ vero che,
facendo il punto della situazione, si può affermare che dalla scuola
dell’Infanzia e Primaria dove con le maestre e, ancor meglio, con gli
specialisti qualcosa si fa, alla secondaria di Primo grado, dove l’insegnamento
della musica è curricolare e riconosciuto, si sono fatti parecchi passi avanti,
ma rimane il nodo cruciale delle Superiori. L’istituzione dei Licei musicali,
lungi da risolvere il problema, lo aggrava perché mantiene l’insegnamento
musicale in posizione appartata come una cosa a sé stante.
Mi viene personalmente da dire: ma se
l’insegnamento delle Lingue permane in tutti i Licei di qualsiasi indirizzo, pur
esistendo Licei Linguistici specializzati; se ore curricolari dedicati all’arte
sono istituite in tutte le Scuole superiori, mentre si mantengono Istituti
superiori specificatamente artistici e così via… perché non si offrono spazi per
l’educazione musicale indifferentemente in tutti i Licei pur istituendo Corsi
per chi voglia dedicarsi più approfonditamente a questi studi?
Forse la domanda è troppo ingenua o forse la risposta metterebbe a nudo ancora
una volta i pregiudizi di sempre nei confronti della musica e della pratica
musicale che la condanna a non essere riconosciuta come elemento importante se
non essenziale nella formazione della persona.
Conquistare quindi tutto lo spazio che compete alla formazione musicale è il
punto e a capo che spetta a tutti i competenti.
Ma fin dall’inizio con la prolusione di Bruno Zanolini, Direttore del
Conservatorio, ma più ancora dall’ambiente che ospitava il Convegno, dagli
accenni impliciti o espliciti di buona parte degli oratori e dalla
consequenzialità dei vari discorsi imbastiti si trattava di toccare, di mettere
in discussione l’Istituzione musicale per antonomasia e a cui vanno attribuiti
in gran parte i meriti e le colpe del “punto” positivo, ma ancora non esaltante
dell’Educazione Musicale in Italia. Si tratta ovviamente del Conservatorio e
della sua Riforma.
5.“Riforma dei Conservatori”. Su questo tema ha
parlato specificatamente Mario Piatti che ha impietosamente messo il dito sulle
piaghe ancora aperte dichiarandosi pessimisticamente scettico sulla possibilità
che i Conservatori possano uscire dal “caos” normativo in cui sono immersi e
conseguentemente da una serie di impasse didattici, organizzativi, di rapporti
interpersonali e di gruppi, sindacali ecc. che bloccano l’evoluzione virtuosa
dell’Istituzione. Sarebbe troppo lungo addentrarci nei vari viluppi del problema
e, d’altra parte non ne avrei neppure la capacità.
Mi limito ad una osservazione un po’ ovvia fino a sembrare semplicista: il
Conservatorio (o Istituto di Alta Formazione) rimane pur sempre specchio della
società musicale di una certa epoca; da esso sono formati la maggior parte degli
insegnanti di Educazione musicale che a loro volta formeranno le nuove
generazioni: ci si aspetterebbe che gli addetti ai lavori, coscienti di tutto
ciò, ponessero mano alla riforma con la volontà efficace di portarla a termine
il meglio e il più presto possibile. E’ quello che anche Mario Piatti auspica:
che non venga a mancare la “passione per modificare”.
Ma una volta “occupati gli spazi” ed eventualmente
risolti i nodi cruciali delle Istituzioni, rimane ancora da rispondere a una
domanda fondamentale. Sì, poniamo per ipotesi che fossimo riusciti ad avere
“tutti” nelle classi pronti a farsi formare musicalmente, ammettiamo che
avessimo conquistato in ogni ordine e grado scolastico un posto per insegnare e
fare musica: a questo punto ci chiediamo… sì, ma come? Quali metodi, contenuti,
strumenti, mezzi e pratiche adotteremo per questo compito. Il “punto” della
situazione al riguardo ce lo offre sempre Dario De Cicco che riferisce i
risultati dell’indagine sull’insegnamento musicale nelle scuole emersa dalla
raccolta dei punti di vista e di ascolto degli insegnanti delle sezioni
territoriali SIEM. Di fronte alla nuova società che avanza non c’è un adeguato
progresso e rinnovamento della didattica: in particolare in quegli ambiti che
Delfrati aveva già riconosciuto come carenti: la Promozione delle nuove
tecnologie” e il “Rinnovamento delle pratiche”. Non possiamo non accennare a
queste tematiche.
6. “Promuovere le nuove tecnologie”. François
Delalande, da attentissimo e lucido conoscitore dei processi culturali nei
passaggi delle varie epoche, ci ha convinto del fatto che stiamo vivendo una
fase che ormai ha maturato compiute nuove tecnologie. Da qui, come la storia ha
dimostrato, da queste nuove tecnologie è nata una nuova musica e di conseguenza
si viene delineando una nuova società musicale. Tutti questi elementi convergono
e insistono sui concetti e i contenuti dell’educazione e a loro volta vengono
toccati e influenzati da questa. Questa analisi, espressa in sintesi atroce,
rende inevitabile che si ponga mano a queste nuove tecnologie, che le si
conosca, diffonda e le si usi nell’attività didattica. Dario De Cicco ci informa
che nelle scuole e da parte dei singoli docenti, per loro stessa ammissione, c’è
un uso assai scarso delle nuove tecnologie e questo per diversi motivi: non
ultimo, dico io, quello che a fronte delle suggestive e a volte entusiasmanti
possibilità offerte ad esempio dall’informatica nel campo musicale c’è ancora da
superare il guado delle difficoltà manuali, degli inconvenienti tecnici,
dell’inerzia e pigrizia mentale che rallenta e a volte blocca l’introduzione e
il successo di questi sistemi. Occorre anche qui prendere atto di questo
(punto) e ricominciare a diffondere iniziative di aggiornamento, di sostegno e
di diffusione più capillare di questi strumenti didattici (a capo).
Di progetti e risultati educativi in questo ambito ha poi parlato diffusamente
Roberto Neulichedl illustrando, come si è detto, anche il Progetto Net-Music
(per informazioni si rimanda al portale del progetto www.netmusicproject.org).
7. “Rinnovare le pratiche”. Far cantare e suonare
uno strumento rimangono pratiche tradizionali sempre valide e, anche se con
qualche incertezza, vengono lodevolmente portate avanti. Ma anche per queste
attività ci si chiede se non è giunto il momento di introdurre spazi per la
creatività, l’invenzione e l’improvvisazione, paurosamente assenti nel passato,
ma anche oggi disattesi dai più. La constatazione della scarsa attenzione posta,
dai docenti sul campo, a questi aspetti ci viene, come sempre, confermata da
Dario De Cicco.
Nel Convegno il riferimento a questi, come
chiamarli?, “obbiettivi formativi” è stato trasversalmente presente in varie
relazioni. Cito soltanto, a mo’ di esempio, una convinzione che Maurizio Disoteo
ci ha trasmesso durante la sua relazione sulla Educazione Musicale
Interculturale e che io personalmente ho trovato come una delle intuizioni più
profonde e stimolanti di tutto il Convegno. Afferma Disoteo che il modo più
proficuo per attuare una vera Educazione Interculturale che comporti non solo
una vaga conoscenza dell’”esotico” o una saltuaria fruizione di prodotti
musicali “altri”, ma una vera e stabile modificazione dell’atteggiamento
interiore tale da comunicare in profondità con le persone di cultura diversa
anche a livello musicale, consisterebbe nello scoprire e valorizzare quelle
pratiche che accomunano in radice tutte le culture anche se poi le stesse si
sono divaricate e hanno avuto una “storia” peculiare. Si tratta delle pratiche
legate alla “mentalità orale, all’improvvisazione, anche collettiva…
all’apprendimento informale” alla creatività in una parola. Tali pratiche non si
porrebbero, mi pare di capire, in alternativa assoluta alla mentalità scritta,
alla esecuzione letterale delle partiture e all’apprendimento formale, ma
integrerebbero, rivitalizzandole, queste pratiche e soprattutto ci
accomunerebbero al modo di far musica ancora presente in culture diverse dalla
nostra, aiutandoci a capirle dall’interno.
Ma nel Convegno in funzione di queste pratiche
innovative è stato organizzato soprattutto il pomeriggio della seconda giornata,
durante il quale sono stati attivati i Laboratori paralleli dedicati proprio
alla “Creatività musicale a scuola”. Docenti che già da tempo hanno sperimentato
nei vari ordini di Scuola modalità e lavori, giochi e attività di animazione
musicale e didattica creativa hanno condotto questi Laboratori stimolando,
incoraggiando e soprattutto facendo vivere ai colleghi delle esperienze
didattiche spendibili e da cui prendere spunto per un rinnovato impegno in
questo senso.
Si è rilevato comunque a questo proposito proprio la carenza di materiale valido
e usufruibile offerto dall’editoria musicale in aiuto ai docenti in materia di
creatività, improvvisazione e invenzione. Questo appunto alle Case editrici di
testi musicali scolastici è stato fatto soprattutto da Rosalba Deriu durante la
sua relazione che passava in rassegna in modo critico il materiale presente nei
libri di testo più diffusi in Italia attualmente.
E’ giunto il momento di chiudere questa
chiacchierata che altro scopo non aveva se non di far intravvedere a chi non era
presente la ricchezza di temi, di problematiche, di voci udite durante il
Convegno e sottolineare l’importanza che i propositi, le volontà e le
prospettive emerse trovino esiti positivi per l’Educazione Musicale in Italia.
Ma non posso chiudere senza una riflessione finale.
Durante il Convegno è emersa evidente l’importanza
da dare al “corpo” nell’educazione musicale, come ha sottolineato Roberto
Neulichedl nelle sue conclusioni, cioè alla concretezza vs l’astruseria, alla
pratica vs la teoria a sé stante, alla fisicità vs l’immaterialità della musica
fruita solo dalla mente, al dinamismo vs la staticità di un insegnamento che
intenda la musica come valore assoluto che si imponga senza intermediazioni
intelligenti e aggiornate. E questo non per abdicare e rinunciare agli aspetti
di “testa” della musica, ma per una precisa visione antropologica nuova rispetto
al “gentilismo” perdurante in molti anche di coloro che hanno potere
decisionale.
E’ quello che con passione ha perorato Luigi
Berlinguer al termine del Convegno: perché tutto possa cambiare occorre mutare
la concezione della musica e collocarla di diritto come aspetto integrante di
una educazione piena e compiuta di ogni uomo. Bisogna, io direi, non più andare
“di testa”, ma, secondo un’espressione volutamente, ma solo apparentemente
volgare di Gaber in un suo spettacolo, andare “di corpo”, liberarsi dagli
impacci che ci intasano, ci bloccano e ci impediscono di vivere e far vivere
agli altri la musica come emozione che tocca tutti i sensi e ci fa muovere il
corpo necessariamente.
“Movimento” quindi: e “muoversi” in tutti i sensi
pare essere il mandato del Convegno ai partecipanti, ma anche a tutti gli
educatori di buona volontà. |